Ho trovato questo libro un po' troppo "furbetto". L'intento, più che ecomiabile, sarebbe quello di indagare il significato più profondo del dolore ricostruendo il rapporto tra un figlio e la madre malata terminale; alla fine, però, invece di toccare le corde dell'emozione e della commozione riesce a produrre solo irritazione nello sconsolato lettore.
Dave Eggers, in L'opera struggente di un formidabile genio, aveva trattato lo stesso argomento con risultati senz'altro migliori...
La scrittura di Peano non è affatto male e quindi, prima di massacrare definitivamente questo autore esordiente, attenderei un ulteriore banco di prova.
Questo romanzo, però, risulta a tratti sconcertante: la malattia, le cure inefficaci, la depressione, la rassegnazione e altro ancora vengono date in pasto all'inerme lettore che - ad un certo punto - viene decisamente sopraffatto/investito/travolto da questa mole di vicende.
Un po' di ironia, probabilmente, avrebbe giovato all'impianto del libro: a volte, prendersi troppo sul serio, rende la vita troppo triste. Ma l'autore - tutto di un pezzo - ha preferito incedere in questa via crucis, costellata di sangue, operazioni, cicatrici e sbrodolamenti vari, credendo di ricostruire la vita attraverso il sopraggiungere della morte.
In realtá, piú che una lacrima di commozione, è riuscito a strappare noia e disappunto, facendo balenare un solo, enorme interrogativo: "perchè ha scritto sta roba?"
Consiglio a Peano - visto che ama citare film a profusione - la visione di Daddy Nostalgie di Bertrand Tavernier: la malattia di una persona cara viene descritta in maniera senz'altro piú onesta, senza colpi bassi o stucchevoli reiterazioni di sfiga... e proprio per questo risulta toccante, capace di toccare le corde dell'animo umano. Corde che - ahimè - il povero Peano non riesce neanche a sfiorare.
Consigliato a: coloro che amano i romanzi che indagano la malattia in maniera clinica ed ossessiva ed a chiunque ami le storie drammatiche che forniscono "emozioni a buon mercato".
Voto: 3/10
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