martedì 31 dicembre 2019

Aadam ed Eeva, Arto Paasilinna

Alla faccia di chi pensava che i migliori romanzi di Paasilinna fossero già stati tutti tradotti!
Nonostante sia arrivato in Italia con parecchi anni di ritardo (in Finlandia è uscito nel lontano 1993!), questo libro merita sicuramente un posto d’onore nella vasta produzione dello scrittore finlandese. Al suo interno ritroviamo infatti tutte le peculiarità del vecchio Arto: in particolare quel senso dell’umorismo raro come una pietra preziosa che è in grado di tramutare la risata in un potente strumento di riflessione

Aadam Rymättylä è un piccolo imprenditore che tira avanti con difficoltà, schiacciato dai debiti e dai sempre più frequenti pignoramenti. Costretto a vivere nel capannone della ditta, nei sobborghi di Helsinki, continua indefesso le sue sperimentazioni con l’obiettivo di inventare una batteria super-leggera dal notevole impatto sul sistema energetico globale.
Sarà l’improvvisa comparsa di una donna a dare una svolta alla sua esistenza: grazie all’aiuto dell’avvocatessa Eeva Kontupohja, che ha il grosso merito di credere nel suo talento, costruirà un prototipo di batteria in grado di funzionare per davvero. L’invenzione gli farà salire i gradini della scala che conduce al successo ed alla ricchezza... mettendolo però in cattiva luce con i “grandi” della terra che, vedendo intaccati i loro interessi economici, assolderanno un sicario arrivato fresco fresco dalla Sicilia per eliminarlo.

Arto Paasilinna, purtroppo, ci ha lasciati nel corso del 2018. Grazie a Iperborea possiamo però continuare a leggere le sue storie straordinarie, capaci di divertire e commuovere allo stesso tempo (sono parecchi i libri che non sono ancora stati tradotti in Italiano).
Aadam ed Eeva è una storia brillante, divertente e surreale. In ogni riga riscopriamo lo stile magico e ineguagliabile dello scrittore, capace di strappare la risata ma anche la lacrima.
Il racconto, seppur contraddistinto da una serie di eventi concitati ed esilaranti, è percorso da una vena malinconica a sottolineare l’insensatezza che contraddistingue l’umana esistenza. Pare quasi che lo sguardo di Paasilinna - che si rivela ad ogni passo carico di humour e di disincanto - sia l’unica ancora di salvezza per un pianeta alla deriva che è solo capace di umiliare ed insultare le persone più deboli.
Sono poco più di duecento pagine… ma si divorano alla velocità della luce. Un ottimo libro con cui  chiudere questo 2019, che si è rivelato pieno di letture bellissime ed avvincenti.


Consigliato a: coloro che amano i libri in grado di divertire e commuovere allo stesso tempo ed a chiunque si appassioni ai personaggi stralunati e disincantati che sono il fiore all'occhiello della produzione paasilinniana.


Voto: 8/10


domenica 29 dicembre 2019

Tutta quella brava gente, Marco Felder



La collana Nero Rizzoli ha il grande merito di aver sdoganato il noir di casa nostra, fornendo un "rifugio" sicuro ed accogliente ad autori di assoluto talento come Piergiorgio Pulixi, Enrico Pandiani, Andrea Cotti ed altri ancora. Purtroppo, però, si è anche lasciata prendere la mano ed ha pubblicato romanzi di scrittori che con il poliziesco ci azzeccano come i cavoli a merenda. Se Enrico Franceschini, con il suo Bassa marea, aveva evitato il naufragio facendo ricorso alle sue ineguagliabili doti di giornalista/narratore, peggio di lui è andata a Marco Felder - un nom de plume dietro cui si celano Jadel Andreetto e Guglielmo Pispisa, membri dell'ensemble narrativo Kai Zen - che è riuscito a concepire uno dei peggiori romanzi che mi sia mai capitato di leggere (e ne ho letti parecchi...)

L'idea di partenza sarebbe anche buona: quello di un poliziotto in servizio a Roma - Tanino Barcellona - che viene trasferito (per dispetto? per punizione? per puro caso? questo non si sa) in una fredda regione del Nord Italia. Però... però... E vabbe'... credo che al buon Antonio Manzini siano un po' fischiate le orecchie, anche se stavolta al posto di Aosta c'è Bolzano, altra città in cui purtroppo... Non è (mai) stagione!
Appena arrivato, viene immediatamente coinvolto in un'indagine delicatissima: quella su un assassino seriale che strangola le sue vittime senza lasciare traccia. Tanino viene pertanto affiancato al rude Karl Rottensteiner, un veterano della Squadra Mobile che ricorda un po' il vecchio Serpico di Paciniana memoria. 
La strana coppia di poliziotti dovrà risolvere un enigma che affonda le proprie radici in un passato mai dimenticato, in cui l'eco dei nazionalismi e delle bombe al tritolo non è ancora stato del tutto silenziato. 

Personaggi tagliati con l'accetta, una trama infarcita di luoghi comuni e la totale assenza di ispirazione (pare quasi che qualcuno abbia chiesto a (ai) Felder: "scrivici qualcosa di noir da schiaffare nella collana!") sono gli aspetti più irritanti di un romanzo che non lascerà grande traccia del suo passaggio all'interno della letteratura di genere. 
Il gruppo Kai Zen si è sicuramente fatto valere in altri ambiti diversi dal noir; in questo contesto i due componenti del collettivo appaiono come due pugili suonati che cercano di fare stare in piedi una baracca traballante. Il plot confuso e ripetitivo non li aiuta di certo nell'intento; i colpi di scena sono telefonati e lo sfondo storico/politico che sta alle spalle della vicenda ha la friabilità di un biscotto secco. 
La noia ben presto giunge a farla da padrone, ricoprendo con la sua patina viscida ed appiccicosa ogni dettaglio, ogni pagina, ogni buon proposito del lettore. 
Che altro c'è da dire? Spero che chi cura la collana Nero Rizzoli, d'ora in avanti, faccia delle scelte più sagge e meno improntate al "numero" dei noir da pubblicare.... perché esiste un livello di decenza letteraria sotto cui nessuna casa editrice dovrebbe mai scendere. E credo che con Tutta quella brava gente si sia, come si suole dire, toccato veramente il fondo. 


Consigliato a: chi vuole farsi un'idea dell'Alto Adige e dei suoi nazionalismi mai sopiti e sempre pronti a sbocciare come funghi dopo un temporale. 


Voto: 2/10 


sabato 28 dicembre 2019

Le particelle elementari, Michel Houellebecq


Dopo la parziale delusione di Sottomissione - libro di cui, a mio parere, si è parlato sin troppo e spesso a sproposito - ho deciso di dare un'altra occasione a Houellebecq... ed il mio sforzo è stato degnamente premiato. Le particelle elementari è un signor romanzo da cui emerge il talento cristallino di un autore che si distingue dai contemporanei sia per lo stile particolare sia per i contenuti provocatori, che gli garantiscono una posizione di primo piano tra i grandi nichilisti del mondo letterario.

Michel Djerzinski e Bruno Clément sono due fratellastri che non potrebbero essere più diversi l'uno dall'altro. Michel è un insigne scienziato, che ha dedicato la propria vita allo studio e alla sperimentazione, e che nutre il desiderio di arrivare un giorno a clonare gli esseri umani. Bruno, invece, è un insegnante patologicamente attratto dal sesso, tanto da avere alle spalle numerosi ricoveri in cliniche specializzate. 
Bruno e Michel, in realtà, non sono che due facce della stessa medaglia; il loro comportamento non è altro che la naturale conseguenza del mondo in cui vivono: un territorio algido e terrificante, in cui l'incidenza del caso e l'isolamento dell'individuo finiscono per farla da padroni. Attraverso l'esame dei due personaggi l'autore prova a descrivere con freddo ed analitico disincanto la solitudine umana nella società occidentale.

Houellebecq, come ben si sa, è un autore duro, cattivo e talvolta indisponente. Le particelle elementari è un libro che risulta di difficile classificazione dal punto di vista stilistico e della struttura. Se da un lato può essere interpretato come un racconto a metà strada tra la realtà e la finzione; da un altro può essere definito come un elaborato saggio che utilizza i canoni della narrativa per cercare di dare un'adeguata soluzione all'annoso problema dell'umana esistenza.
Lo sviluppo della trama alterna atteggiamenti umani piuttosto comuni e standardizzati (l'attrazione sessuale, ad esempio) a studi scientifici molto ben descritti. 
L'indagine sulla psicologia dei personaggi si sviluppa su due versanti opposti ed inconciliabili - come sono quelli in cui si collocano i due fratellastri - ma capaci di far emergere un disagio che li accomuna inesorabilmente. La tematica scientifica (Michel) e quella sessuale (Bruno) sono i due altari/contraltari su cui si sacrifica l'esistenza di due personaggi che l'autore accompagna in maniera quasi cinica verso il loro destino. 
Ed alla fine, se si vuole scorgere a tutti i costi un punto di contatto tra le due storie, questo lo possiamo trovare nell'OSSESSIONE: un morbo inguaribile che aggredisce l'esistenza di Bruno e di Michel, rendendoli totalmente incapaci di costruire un serio legame affettivo.


Consigliato a: chi desidera affrontare un approccio diverso dal solito al problema della solitudine nella civiltà occidentale ed a chiunque ami la letteratura capace di confrontarsi con le grandi ed insolubili domande sull'esistenza.


Voto: 7,5/10
















giovedì 19 dicembre 2019

La bella sconosciuta, Gianni Farinetti





Chi ha ucciso Bruno Chiovero, uomo scontroso ed aggressivo, che risultava antipatico a tutti?
Questo è il perno attorno a cui ruota l’intera narrazione di La bella sconosciuta, ultimo romanzo di Gianni Farinetti, ambientato nei luoghi cari all'autore: i paesaggi delle Langhe racchiusi tra il Piemonte e la Liguria di Ponente.
Come nei due libri precedenti – i fortunati Rebus di mezza estate e Il ballo degli amanti perduti – l’indagine viene condotta dal Maresciallo della locale stazione dei Carabinieri, Beppe Buonanno, coadiuvato dall'irresistibile Sebastiano Guarienti, sceneggiatore gay dotato di sagacia ed intuito.

Siamo nel bel mezzo di una torrida estate. Un’improvvisa disgrazia, come un fulmine a ciel sereno, viene a turbare la pace e la tranquillità di quei luoghi incantevoli: il corpo senza vita di un uomo inviso all'intera comunità viene ritrovato all'interno di una cisterna. Il Maresciallo, però, non è propenso a credere ad un evento accidentale; anzi, pare convincersi sin da subito che si tratti di un delitto.    
La matassa da sbrogliare si presenta complessa ed intricata, simile ad un gioco di specchi che forniscono riflessi contrastanti. Ogni singolo dettaglio, però, sembra avere a che fare con la figura di Angela, la “bella sconosciuta” che si trova ospite di Guarienti ed attorno a cui ruotano i destini di tre uomini in costante competizione per carpirne le attenzioni.

Si tratta di una “commedia con delitto” nel classico stile farinettiano: godibilissima, piacevole e divertente. La trama poliziesca, seppur ben congegnata, soggiace ben presto alla notevole costruzione dei personaggi: nobili vedove, pedanti professori, svampiti accompagnatori e dispotiche matrone si alternano sul palcoscenico narrativo, in un concentrato di ironia davvero ben riuscito, che è in grado di strappare un sorriso anche al più serioso dei lettori.  
Destinato soprattutto agli amanti del giallo di stampo classico – se siete fan di Donato Carrisi passate oltre – La bella sconosciuta rappresenta un (sempre più) raro esempio di lettura amabile e coinvolgente.
Il linguaggio scorrevole, i dialoghi scoppiettanti e l'eccellente ambientazione sono ulteriori elementi che danno forza e consistenza al racconto, che si sviluppa in maniera lineare e convincente, facendoci annusare da vicino gli odori ed i tepori di un’estate piena di intrighi e di misteri.


Consigliato a: coloro che amano i gialli dalla solida impostazione classica, privi di sangue e di violenza, incentrati soprattutto sullo svolgimento dell’indagine e sull'ottima caratterizzazione dei protagonisti.


Voto: 7,5/10


Gio  

lunedì 16 dicembre 2019

I ragazzi della Nickel, Colson Whitehead


Oltre ad essere uno dei migliori scrittori statunitensi delle ultime generazioni, Whitehead è un vero e proprio paladino della lotta per i diritti civili delle persone di colore. Dopo lo straordinario successo di La ferrovia sotterranea - libro che gli è valso il Pulitzer e il National Book Award – l’autore ha scritto un nuovo romanzo che intende far luce su un'altra pagina oscura della storia americana. Rispetto all'opera precedente, però, la narrazione sembra appartenere più al realismo che  ai territori della fantasia.

Siamo nel 1963, in un momento storico in cui il movimento per i diritti civili sta prendendo lentamente piede all'interno della comunità di colore. Elwood Curtis è un ragazzino senza genitori che è stato cresciuto dalla nonna e che è rimasto affascinato dagli insegnamenti di Martin Luther King. In procinto di cominciare il college, un giorno accetta incautamente un passaggio in auto: errore fatale! Elwood viene rinchiuso in una sorta di riformatorio chiamato Nickel Academy, che si rivelerà un vero e proprio teatro degli orrori.

Come ben sappiamo, il percorso verso l’uguaglianza di tutti i cittadini è stato lungo e violento. Proprio negli anni in cui è ambientato il romanzo, infatti, l’America era un magma incandescente in cui si stavano gettando le fondamenta per dare vita ad un “nuovo mondo”: la fine della segregazione nelle scuole, il gesto di Rose Parks (che su un tram occupò un posto riservato ai bianchi) e le pesanti condanne dei militanti del KKK erano tanti piccoli passi del tragitto verso la legge per i diritti civili, che avrebbe  stabilita l’illegalità della discriminazione razziale.
Questo romanzo racconta una storia di disumano razzismo e di diritti negati in un’America attraversata dall'irresistibile vento del cambiamento; una vicenda fitta di crudeltà e di abusi di potere impuniti che si rivela un pugno allo stomaco persino per il più scafato dei lettori.
Purtroppo, però, sembra che Whitehead si sia fatto un po’ prendere la mano... il desiderio di denuncia arriva ben presto a prevalere sull'impianto narrativo, fagocitandosi un po’ tutto – descrizione di luoghi, caratterizzazione di personaggi e pathos espositivo – e rendendo piatto e didascalico l’intero svolgimento.
Nel complesso resta un encomiabile atto di accusa che merita di essere letto per la sua coerenza e la sua volontà di far emergere un dramma in cui vessazioni e crudeltà avevano il posto d’onore. Dall'autore, però, ci aspettiamo molto di più.


Consigliato a: coloro che amano le vicende di denuncia civile, che aprono uno squarcio sulle nefandezze della storia umana, ed a chiunque senta il dovere morale di affrontare l’ingiustizia con uno sguardo partecipato e sincero.


Voto: 6,5/10


lunedì 9 dicembre 2019

I milanesi ammazzano al sabato, Giorgio Scerbanenco


Questo è il quarto e ultimo romanzo - dopo Venere privataTraditori di tutti e I ragazzi del massacro - della fortunata serie imperniata su Duca Lamberti: un ex medico che, dopo essere stato radiato dall'ordine per aver praticato l'eutanasia su un malato terminale, si è trasformato in valente investigatore.
Come nei libri precedenti, ci troviamo al cospetto di un giallo “vecchio stile”, con personaggi ben disegnati, un trama semplice ma avvincente ed un’ambientazione milanese tipicamente fredda e nebbiosa.

Donatella Berzaghi è una ragazza bellissima che soffre di un grave ritardo mentale; il padre, al fine di proteggerla, la tiene segregata in appartamento, in cui può vivere circondata da bambole e personaggi della Disney.
Quando la giovane scompare improvvisamente nel nulla, l’uomo si rivolge alla polizia che affida l’indagine a Duca Lamberti. Il medico-investigatore si butterà alla frenetica ricerca di Donatella, arrivando a spingersi nei meandri più nascosti di una Milano nera e sudicia, in cui prosperano sfruttatori e case chiuse.

Giorgio Scerbanenco, come tutti sanno, è considerato il papà del giallo italiano: un cronista di straordinario  talento, capace come pochi altri di rappresentare in modo preciso e asciutto la realtà circostante.
La sua più grande abilità è stata quella di saper narrare le più nefande pulsioni della cosiddetta Milano bene, facendo ricorso ad uno stile crudo e diretto, lontano anni luce da qualsiasi concezione di “politicamente corretto”.
I milanesi ammazzano al sabato, nonostante sia stato pubblicato cinquant’anni fa, è ancora un libro molto attuale; un romanzo duro, che indaga in profondità nel mondo del malaffare evitando il buonismo di facciata e non risparmiando dettagli violenti.
La scrittura è rapida e lineare, in grado di avvolgere il lettore in una lenta spirale senza lasciarlo più andare. La descrizione minuziosa della Milano dei bassifondi, in cui prosperano  marciume ed afflizioni, è un ulteriore elemento che contribuisce a fornire realismo e consistenza ad una storia nera in cui si svolge la consueta battaglia tra il bene e d il male.


Consigliato a: chi ama il giallo d’atmosfera, intriso di profonde venature noir, ed a chiunque voglia fare un tuffo nella torbide e nebbiose atmosfere della Milano degli anni Sessanta.


Voto: 8/10



martedì 3 dicembre 2019

Meridiano di sangue, Cormac McCarthy


Sinceramente, non riesco a comprendere come uno scrittore del calibro di Cormac McCarthy non susciti lo stesso entusiasmo di altri autori famosi ma che, alla fine dei conti, si dimostrano molto meno dotati ed originali di lui (ogni riferimento agli ultimi due Nobel è puramente casuale).
Meridiano di sangue, oltre ad essere un grandissimo libro, è sicuramente uno dei romanzi più crudi  e violenti che mi sia mai capitato di affrontare (escludendo, per ovvie ragioni, ciò che rientra nel campo del thriller o dell’horror).

Ambientato a metà del diciannovesimo secolo nel vasto territorio che si estende tra il Messico e le regioni americane limitrofe, si svolge sullo sfondo di una natura descritta in maniera tutt’altro che comune e che sa dimostrarsi in ogni momento pericolosa e selvaggia.
Il protagonista è un quattordicenne – nel romanzo viene semplicemente chiamato “il ragazzo” – che sceglie di aggregarsi ad una banda di cacciatori di scalpi capeggiata dal temibile ed imponente Giudice Holden: una sorta di filosofo/guerriero che guida una masnada di derelitti, mezzosangue ed emarginati che lasciano ad ogni passaggio un’impronta di sangue, crudeltà e morte. Per il giovane, tale esperienza costituirà una vera e propria iniziazione alle violente leggi della frontiera.

McCarthy, con quest'opera, riscrive di fatto il mito del Vecchio West che in passato ci è stato spesso propinato in modalità nobile ed edulcorata. Cancella via gli aspetti più suadenti – l’amicizia virile, l’eroismo, la fratellanza tra gli uomini – per catapultarci nelle zone più tenebrose e putrescenti dell’animo umano, narrandoci uno straordinario apologo sull’individuo e la sua capacità di sopravvivenza. Tutti i personaggi descritti hanno un unico elemento che li accomuna: non conoscono alcuna pietà o misericordia, ma rivelano esclusivamente i loro peggiori istinti che li rendono impassibili e crudeli come le belve allo stato brado.
Romanzo epico, senza speranza, dalle forti connotazioni metafisiche, rivela tutto il talento di uno scrittore unico, capace di emozionare in qualsiasi istante: anche quando si limita a descrivere un bivacco desolato o una luce che si svela all’orizzonte.
La scrittura è fantastica! Sa essere di fuoco e di ghiaccio allo stesso tempo, supportata da uno stile unico che combina una prosa penetrante alla Faulkner con descrizioni di luoghi dal sapore quasi Shakespeariano.
Tra i personaggi si staglia inesorabilmente la figura del Giudice Holden: un essere contraddistinto da un’indole amorale, spietata e depravata, che  rappresenta una delle figure letterarie più memorabili che mi sia capitato di incontrare.



Consigliato a: coloro che vogliono rivivere il mito del Vecchio West affrontato in una maniera differente dal solito – ma probabilmente più vera e credibile - ed a chiunque desideri fare la conoscenza di un Gigante della letteratura contemporanea.



Voto: 8+/10



lunedì 2 dicembre 2019

L’ultima volontà, Roberto Perrone



Con il terzo episodio della serie dedicata all’ex colonnello Annibale Canessa, Roberto Perrone torna ai livelli che gli competono: il precedente - L’estate dei misteri, uscito lo scorso anno - appariva abbastanza scontato nel plot e con pochissimi guizzi; con L’ultima volontà, invece, lo scrittore genovese si riscatta dal mezzo passo falso e costruisce un thriller adrenalinico ed avvincente, come neanche gli americani riescono più a fare. 

Un ex brigatista in punto di morte rivela una scomoda verità: non è stato lui l’artefice della strage per cui ha scontato lunghi anni in prigione. Questa confessione “al contrario” dimostra un fatto incontestabile: i veri assassini sono ancora liberi e, attraverso continui depistaggi, hanno occultato in maniera subdola ed arrogante la realtà dei fatti.
Ma Canessa non è un uomo che si lascia intimidire dalle avversità, perciò darà il via ad un'indagine complessa e pericolosa, che lo condurrà ad esplorare i meandri più oscuri della storia del nostro paese. Si troverà così alle prese con una vicenda drammatica, che trae origine dagli eventi della Resistenza estendendosi fino ai giorni nostri, attraverso un percorso contrassegnato dal sangue di persone innocenti.

Perrone ha ambientato il romanzo sullo sfondo di un'Emilia nebbiosa e crudele: una regione che assurge al ruolo di co-protagonista al fianco di personaggi a cui, libro dopo libro, si finisce con l’affezionarsi.
La trama è tesa, suggestiva e ricca di sfaccettature. L’idea di costruire una storia nera, capace di coniugare in un unico contesto gli episodio della Liberazione e gli anni di piombo, è assolutamente degna di nota.
Con uno stile essenziale, limpido e coinvolgente, l’autore catapulta il lettore in una vicenda che – pur essendo di fantasia -  rispolvera uno dei periodi più difficili della nostra storia e li rende attuali e comprensibili anche per coloro che non li hanno vissuti in prima persona.
L’unico difetto – a mio personalissimo parere – è l’eccessiva “mitizzazione” del protagonista: “Carrarmato” Canessa, intuitivo come Sherlock Holmes e più indistruttibile di Rambo e Terminator messi insieme, è un personaggio non molto credibile… e sappiamo benissimo che, se sei immune da difetti, alla fine risulti antipatico al mondo intero (o quasi).


Consigliato a: chi ama i thriller avvincenti, che scorrono rapidi e trancianti come un proiettile e che si divorano alla velocità della luce, ed a chiunque nutra ancora dei dubbi sul fatto che il noir di casa nostra, talvolta, possa risultare più adrenalinico di quello d’oltre oceano.

Voto: 7,5/10