Nuovo
episodio delle avventure di Rocco Schiavone: il controverso vice-questore romano
trasferito ad Aosta – diventato oramai un’icona nazionale – che sa essere al
tempo stesso cinico e malinconico, arrogante e ricco di umanità.
Formula
che vince non si cambia, si dice di solito… ma è sempre così? Sarebbe sbagliato
darlo per scontato. Il nuovo romanzo, infatti, ripercorre i medesimi cliché
delle storie precedenti, non aggiungendo granché alla storia del personaggio.
Una scelta che, seppur ripagando dal punto di vista commerciale (Fate il vostro gioco è in vetta alle
classifiche di vendita), rischia di trasformare la serie di Schiavone in una
sorta di feuilleton
Rocco
Schiavone, questa volta, si ritrova alle prese con una brutta storia di ludopatia
e di dipendenza dal gioco d’azzardo. L’omicidio di un anziano signore, pensionato
del Casinò di Saint-Vincent, lo porterà a scoprire una sporca vicenda di avidità
e riciclaggio in cui sono coinvolte persone apparentemente insospettabili. Nel
corso dell’indagine entrerà in contatto con individui disperati, soffocati dai
debiti, e con affaristi senza scrupoli che lucrano sulla volubilità degli
esseri più deboli.
La
fiche di un altro casinò, ritrovata
tra le dita del cadavere, sarà utile per la risoluzione del caso? La scena del
delitto fornirà al vice-questore delle valide indicazioni sull’omicidio? E,
soprattutto, riuscirà il nostro Rocco a consegnare il colpevole nelle mani
della giustizia? Tutte domande a cui il lettore riuscirà a dare risposta solo
al termine del volume…
Manzini
cerca di lavorare sull’evoluzione del suo personaggio: un uomo eternamente
sospeso tra passato e presente, che tenta di giungere a patti con i propri
fantasmi e che sembra aver accettato fino in fondo l’ineluttabilità del proprio
destino. Oltre a riproporre le classiche ossessioni di Rocco – quella per le
Clarks, ad esempio – ed a cimentarsi per l’ennesima volta nella descrizione del
gelido clima valdostano, l’autore romano prova a metter giù un po’ di critica
sociale, soprattutto nei confronti di uno Stato che fa cassa sulla pelle di
coloro che sono inermi prede del demone del gioco d’azzardo.
La
lettura, come sempre, è abbastanza divertente; però pare che Manzini ci abbia
messo meno “anima” del solito: nel senso che la freschezza dei primi romanzi
sembra persa (momentaneamente?) per strada e che i propositi “commerciali” incidano
profondamente sulla sua attività di scrittore. Inoltre, la trama presenta
alcune situazioni al limite del verosimile: non si è mai visto un poliziotto che
sceglie di ospitare a casa propria una persona sospettata di un grave delitto!
Che
dire? Manzini è un grande talento della narrativa gialla di casa nostra. C’è da
sperare che recuperi la verve e l’inventiva dei primi libri, risolvendo una volta
per tutte le vicende - personali/umane/sentimentali - legate al passato del suo protagonista; se così non fosse, correrebbe il pericolo
di riscaldare un po’ troppo la solita minestra, rendendola decisamente insipida.
Consigliato:
a coloro che amano il giallo di casa nostra, con la sua commistione tra
comicità e vicende drammatiche, ed a chiunque apprezzi i personaggi tormentati
e sopra le righe.
Voto:
6,5/10
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