sabato 22 agosto 2020

Nero come la notte, Tullio Avoledo



Tullio Avoledo, già autore di opere memorabili come L'elenco telefonico di Atlantide, Mare di Bering e Lo stato dell'unione, esordisce ufficialmente nel noir con questo romanzo duro, cinico e violento, ambientato in un’immaginaria città del nordest. C'è subito da dire che in Nero come la notte ritroviamo quelli che sono i temi ricorrenti delle precedenti opere di Avoledo - distopia, profezie sociali e colpi di scena - ma anche la capacità dello scrittore friulano di spaziare tra generi diversi e in apparenza poco compatibili per assorbirli in un’unica narrazione onnicomprensiva.
Ma partiamo, come al solito, dalla trama.

Sergio Stokar era un buon poliziotto... almeno fino a quando ha pestato i piedi alla gente sbagliata. E così qualcuno l’ha abbandonato in fin di vita presso il complesso delle "Zattere": un coacervo di edifici abbandonati in cui si è insediata una comunità di extracomunitari clandestini. Col tempo, ha assunto l'incarico di "sceriffo”, col compito di mantenere l’ordine e indagare su piccoli reati. Fino a quando il consiglio che amministra quella struttura abusiva gli affida un'importante missione: quella di indagare sulla morte di alcune giovani che sono state assassinate in maniera cruenta. C'è un crudele assassino in agguato e solo Stokar è in grado di scovarlo!

Ambientato in un Nord-Est duro e disilluso, incentrato sulla figura di un ex poliziotto dal passato oscuro e tormentato, Nero come la notte è un thriller che, nonostante l'impronta futuristica, risulta di grande attualità. I temi trattati - che vanno dalla corruzione economico/finanziaria alla discriminazione razziale, dall'abusivismo edilizio allo sfruttamento della prostituzione - sono all'ordine del giorno e, inseriti in un contesto che riecheggia le atmosfere di Mad Max e Arancia meccanica risultano ancora più evidenti e carichi di significato    
Il noir metropolitano e di forte impronta sociale, in questo caso, si sviluppa in un'ambientazione del tutto atipica: un luogo da incubo, senza speranza, in cui alla tradizionale legge degli uomini non è permesso entrare.
Forse, ad essere pignoli, una sforbiciata di un centinaio di pagine avrebbe reso più fluida la narrazione che, talvolta, perde un po' di verve. Il libro, al di là di tutto, è scritto con una prosa rapida e priva di fronzoli e riesce ad assolvere il duplice compito di intrattenere e di far pensare: trattandosi di letteratura di genere, è una cosa tutt'altro che scontata!


Consigliato a: coloro che amano i noir duri e senza speranza e a chiunque sappia apprezzare la commistione tra l'hard-boiled di stampo classico e le ambientazioni futuristiche che strizzano l'occhio alla fantascienza. 


Voto: 7/10


  

mercoledì 19 agosto 2020

Cronache di un venditore di sangue, Yu Hua


Cronache di un venditore di sangue - il mio primo incontro con Yu Hua - è stato una lietissima sorpresa che mi ha fatto maturare la convinzione di avere scoperto un grande autore. Dopo aver letto gran parte delle opere del sommo Mo Yan, Premio Nobel per la letteratura, sentivo la mancanza di narratori che si dimostrassero appassionati "cantori" della Cina contemporanea; questo romanzo mi ha dato le risposte che cercavo, tanto da spingermi immediatamente in libreria per accaparrarmi gli altri romanzi (ho altri quattro Yu Hua in rampa di lancio!)    

Il protagonista, Xu Sanguan, lavora in una fabbrica di seta. Un'antica tradizione insegna che gli uomini che non vendono il loro sangue non troveranno mai moglie. “Tutti gli uomini sani vendono il sangue. Ricevono ogni volta trentacinque yuan, quanto si guadagna lavorando la terra per sei mesi.”
Considerato però che il sangue è sacro perché deriva dagli antenati, non lo si può cedere per motivi qualunque. E così il nostro Sanguan, facendo convivere le ragioni morali con quelle della necessità, sarà costretto per ben dieci volte a vendere la parte più liquida di sé per sostenere la propria famiglia nei momenti di crisi, di malattia e di carestia.

Ambientato negli anni compresi tra il 1940 e il 1970, questo romanzo racconta le peripezie di una famiglia che, malgrado discordie, disgrazie e rancori, riesce a mantenere l'unità e a sopravvivere nei momenti più difficili della Repubblica Popolare Cinese. Allo stesso tempo, però, contiene dentro di sé la storia del lungo percorso affrontato da un intero popolo; le traversie di Xu Sanguan diventano infatti l'occasione per raccontare la Cina del Novecento, dalle comuni popolari al Grande balzo in avanti, dalla grande carestia alla Rivoluzione culturale, fino a giungere ai nostri giorni.  
Risulta particolarmente interessante la descrizione della Cina più profonda e meno nota - quella delle comuni agricole lontane da Pechino - che viene raccontata in maniera originale e piena di pathos, mantenendo il giusto equilibrio tra dramma e comicità. 
La lettura di questo volume risulta fluida e per nulla complicata; lo stile è asciutto ed essenziale ma pregno di significati metaforici. Yu Hua sa utilizzare un registro di toni narrativi molto ampio, che va dal comico al grottesco, dal bozzettistico al commovente. Una parte di rilievo è però rappresentata da quell'ironia di fondo che finisce con il permeare di sé l'intero tessuto narrativo: un'ironia candida, semplice, quasi infantile, ma allo stesso tempo piacevolissima ed intelligente.


Consigliato a: coloro che amano i romanzi che sanno essere allo stesso tempo comici e commoventi e a chiunque voglia fare la conoscenza di un grande autore e straordinario cantore della Cina contemporanea.


Voto: 8+/10


domenica 16 agosto 2020

La cena, Herman Koch


Da parecchio tempo avevo intenzione di leggere La cena di Herman Koch: un libro di cui si è parlato moltissimo e che, nella sola Europa, ha superato la ragguardevole cifra di un milione di copie vendute. L'impatto degli atti di violenza sulla vita familiare - specialmente quella borghese - è un argomento all'ordine del giorno: quotidianamente, sfogliando i giornali, si riscontrano casi simili a quelli raccontati dall'autore olandese nel suo romanzo. Purtroppo, però, la scelta di affrontare un argomento di attualità non garantisce automaticamente il successo... e in questo caso, nonostante le buone intenzioni, i risultati non sono in linea con ciò che si aspettava.     

Siamo ad Amsterdam, in un rinomato ristorante.
La storia è narrata in prima persona da Paul Lohman, ex insegnante di storia. Lui e sua moglie Claire si incontrano col fratello maggiore Serge - un politico in ascesa, in lizza per la carica di primo ministro - e la di lui consorte Babette. L'obiettivo della serata è quello di discutere su come gestire una situazione difficile: i loro figli adolescenti, Michel e Rick, hanno commesso un crimine tremendo e l'atto violento è stato filmato da una telecamera di sicurezza e diffuso in TV (anche se, al momento, i colpevoli non sono stati identificati). I genitori devono quindi decidere il da farsi. 
A poco a poco, cominciano a emergere segreti che gettano una strana luce sul comportamento dei due giovani e si formano alleanze inaspettate nel momento in cui i genitori rivelano ciò che sarebbero disposti a fare per proteggere i propri figli.

Due famiglie solo in apparenza legate tra loro. Due visioni contrapposte del rapporto tra genitori e figli. Una tensione crescente, mentre il tempo viene scandito dalle varie portate all'interno di un ristorante. Questi sono gli ingredienti principali di La cena.
Negli ultimi anni sono stati numerosi i tentativi letterari di rappresentare l'angoscia dei genitori della middle-class: basti pensare, a mero titolo di esempio, a Carnage di Yasmina Reza (portato sul grande schermo da Roman Polanski) o a Lo schiaffo di Christos Tsiolkas. Koch prova a fornire il suo contributo con quest'opera ambiziosa e originale ma, purtroppo, non riesce nel tutto nell'intento, scivolando sulle bucce di banana della prevedibilità e dell'implausibilità.       
Si tratta di un romanzo sicuramente inquietante, che vorrebbe raccontare come i germi del male possano annidarsi anche nell'animo di individui insospettabili, ma che col passare dei capitoli diventa sempre più inattendibile e indigesto. 
Nonostante un inizio promettente, si perde per strada per l'assurdità del tutto: al di là dell'improbabile scelta di un ristorante pubblico per una discussione così delicata e del fatto che la storia non stia in piedi (i genitori riconoscono i figli da un semplice fotogramma mentre la polizia, con tutte le poderose strumentazioni di cui dispone, continua a brancolare nel buio), la narrazione si trasforma ben presto in una rappresentazione di personaggi così antipatici e ripugnanti da rendere la storia del tutto sgradevole. Inoltre, pare che Koch si sia dedicato più allo "stile" - curando in maniera lodevole e accurata lo sviluppo degli snodi narrativi - piuttosto che alla sostanza, che rimane rattrappita e richiusa nel novero delle buone intenzioni.   


Consigliato a: coloro che amano i conflitti familiari, il complesso rapporto tra genitori e figli e le vicende della middle-class contemporanea. 


Voto: 5/10












venerdì 14 agosto 2020

Caccia all'uomo, Robert Crais



Partiamo da un dato di fatto: Robert Crais non sbaglia un colpo! 
Lo scrittore statunitense - già sceneggiatore di celebri telefilm come Miami Vice e Quincy - rappresenta uno dei rari esempi di "autore noir" in grado di sfornare best-seller a getto continuo senza rinunciare alla qualità. Anche questa volta riesce a centrare in pieno il bersaglio, regalandoci l'ennesimo romanzo pieno di suspense, di sorprese e di personaggi interessanti. 
"Sembrava un caso semplice, prima che i cadaveri iniziassero ad accumularsi".
Devon Connor, madre single, assume il detective Elvis Cole per indagare sul problematico figlio adolescente Tyson. Il ragazzo negli ultimi tempi sta maneggiando un po' troppo denaro e lei teme che sia in qualche modo coinvolto nello spaccio di stupefacenti. La verità è completamente diversa: il giovane, assieme ad altri due complici, si è reso responsabile di una serie di furti con scasso in ville di lusso. Questa follia criminale si trasforma però in un terribile gioco mortale quando uno dei ragazzi viene brutalmente assassinato e Tyson e la sua partner sembrano scomparire improvvisamente nel nulla. 

Iniziamo da un consiglio spassionato: se volete un buon thriller da leggere sotto l'ombrellone, Caccia all'uomo fa proprio al caso vostro! 
Questo è il diciassettesimo episodio della serie incentrata sull'investigatore privato Elvis Cole e sul suo socio Joe Pike... e, manco a dirlo, i due si ritrovano alle prese con un dei casi più difficili della loro carriera. 
La storia procede a ritmi vertiginosi, rimbalzando tra Elvis Cole e i due killer su commissione - Harvey e Stems - e consentendo al plot di svilupparsi attraverso punti di vista alternativi. Ogni volta, col cambio del registro narrativo (che si sviluppa in prima persona nel caso di Cole, in terza persona per gli altri), i lettori ottengono un nuovo pezzo del puzzle che si sta componendo pian piano davanti ai loro occhi. 
L'elemento più affascinante del romanzo sta nello stile di scrittura di Crais. L'autore articola la narrazione in capitoli brevi e concisi che danno all'insieme un ritmo perfetto. Risulta notevole l'abilità nella costruzione dei dialoghi, che sanno essere rapidi, divertenti e intrisi di un sottile senso del sarcasmo. 
L'unico difetto, forse, sta nella raffigurazione dei cattivi che, talvolta, danno l'idea di una coppia comica da avanspettacolo piuttosto che di due killer spietati. 
Se non conoscete ancora Robert Crais, Caccia all'uomo rappresenta l'opportunità perfetta per fare il grande passo: oltre ad essere sicuro che non rimarrete delusi, potrebbe essere pericoloso per il vostro portafoglio perché vi costringerà ad aggiungere parecchi nuovi libri alla vostra wish-list! 


Consigliato a: coloro che amano i detective privati, le indagini serrate e piene di colpi di scena, il ritmo frenetico della narrazione, ed a chiunque desideri fare la conoscenza dell'unico vero erede dei Chandler e dei Ross MacDonald. 


Voto: 7,5/10 


mercoledì 12 agosto 2020

Big fish, Daniel Wallace


Quella del "libro meglio del film" non è una regola assoluta; esistono, purtroppo (o per fortuna), delle eccezioni. Questo romanzo di Daniel Wallace, pur essendo un'opera audace e originale, non riesce neanche ad avvicinarsi alle auree vette del lungometraggio di Tim Burton. 
     
Edward Bloom ha avuto un'esistenza incredibile. Ha salvato vite, ha domato giganti, gli animali lo adoravano, era apprezzato dalla gente ed amato dalle donne. Inoltre, conosceva più barzellette di qualsiasi altro uomo vivente.
Ma chi era veramente quest'uomo? Un eroe dal profilo leggendario oppure, più semplicemente, un vecchio pazzo tornato a casa per trascorrere gli ultimi giorni della sua vita? 
William, giunto al capezzale del padre, si interroga su quel genitore che si è distinto soprattutto per la perenne "assenza" e dal quale vorrebbe sentirsi rivelare la verità. Ma, come dice Edward, un uomo, a forza di raccontare storie, diventa parte di quelle storie stesse. 

Si tratta di un interessante romanzo d'esordio. A metà strada tra la favola e la metafora dell'esistenza, racconta la vicenda di un giovane che tenta di risolvere i misteri legati alla vita del padre, cercando di ricostruirla attraverso una serie di racconti esagerati ed esuberanti.
Mentre il film di Burton, però, è riuscito nell'intento - per niente facile - di dare un ordine (ed un senso compiuto) alle numerose vicende, fornendo loro un determinato indirizzo, il libro non convince del tutto. Si rivela niente di più di un grande contenitore di storie - talvolta diverse da quelle della versione cinematografica - che non risultano sempre "consequenziali" e legate fra loro, pur rivelando ad ogni passo un'atmosfera fiabesca e seducente. 
A Big fish (inteso come opera letteraria) manca del tutto il dono della sintesi: è composto da una miriade di raccontini, modellati sulla vita di Edward Bloom ed esposti attingendo alla tecnica del flashback, che non riescono però a fondersi in un'opera coesa e compatta. 
Quindi, più che con un vero e proprio romanzo, abbiamo a che fare con una serie di abbozzi ingegnosi, talvolta neanche troppo compiuti, che faticano a raggiungere lo scopo principale della narrazione: quello di raccontare in maniera fantasiosa e commovente l'amore di un figlio per il padre in fin di vita.


Consigliato a: coloro che amano le opere audaci e fantasiose, caratterizzate da una forte influenza fiabesca, e a chiunque voglia fare un confronto tra il libro e il bellissimo film del Maestro Tim Burton.


Voto: 5,5/10


domenica 9 agosto 2020

Il ragazzo inglese, Leonardo Gori



Tanti auguri al Capitano (diventato poi Colonnello) Bruno Arcieri che compie vent'anni!
Dall'uscita di Nero di maggio, primo volume della serie, sono ormai trascorsi due lunghi decenni, ma il personaggio ideato da Leonardo Gori non sembra affatto sentire il peso del tempo che passa: questo nuovo romanzo - il dodicesimo della serie - è straordinariamente riuscito e, sicuramente, merita un posto di rilievo nella produzione dello scrittore fiorentino.
Partiamo, come al solito, da una breve sintesi della trama. 

Siamo nell'aprile 1940, un momento storico che rappresenta il punto di "non-ritorno" per l’Italia fascista. In Europa il conflitto è ormai dilagato, ma il nostro paese si trova in quella terra di nessuno che separa la "non belligeranza" dall'ingresso in guerra al fianco della malabestia hitleriana. 
In quel frangente, Arcieri si trova a Firenze accanto alla fidanzata Elena Contini. La ragazza lo introduce presso alcune amiche appartenenti alla piccola comunità inglese che si è insediata negli antichi palazzi fiorentini. L'intento, però, non è esclusivamente mondano: l'anziana padrona di casa, Barbara, vorrebbe che Bruno aiutasse Johnny - un giovanotto inglese che lei considera alla stregua di un nipote - a sfuggire all'arruolamento nelle file del'esercito britannico. Di fronte alla diffidenza iniziale di Bruno, il ragazzo mette sul tavolo qualcosa di davvero inaspettato: quella che appare come un'importante merce di scambio da barattare con una nuova identità.

Il ragazzo inglese rappresenta un nuovo importante tassello all'interno del percorso di Bruno Arcieri: guardando in quel profondo baratro rappresentato dal passato, Gori approfondisce ulteriormente la psicologia del suo personaggio, cesellandola accuratamente come un fine scultore di parole e arricchendo il background del Capitano di importanti dettagli che si espliciteranno definitivamente nelle opere successive. 
Il racconto si dipana attraverso due piani narrativi, ambientati in differenti periodi temporali: la fine degli anni Sessanta e gli anni Trenta/Quaranta del Novecento. Utilizzando sapientemente la tecnica del "flash-back" - a cui aveva già fatto ricorso in La nave dei vinti - Gori riesce a raccontare in maniera credibile la Firenze nei mesi che precedono il conflitto: la vicenda del 1940 viene infatti rievocata, a decenni di distanza, da un colonnello Arcieri ormai alle soglie della vecchiaia, che la espone nel corso di un viaggio in auto da Firenze a Reggio Emilia al Maresciallo Guerra.
Lo scrittore riesce a fondere nel flusso narrativo generi diversi: dal giallo alla spy-story, dal thriller al romanzo rosa; la parte del leone va però decisamente alla fantapolitica, che rappresenta l'anima trainante del romanzo e - mai come in questo caso - risulta seguire percorsi solidi e realistici (dalle fonti ufficiali, infatti, risulta che numerosi apparati dello Stato tentarono fino all'ultimo di convincere Mussolini a non entrare in guerra).
L'ambientazione storica e le descrizioni geografiche, documentatissime, rappresentano un ulteriore fiore all'occhiello di questo libro che è senza ombra di dubbio tra i romanzi di genere più riusciti di questo 2020. 


Consigliato a: coloro che amano i gialli storici dalla struttura solida e realistica e a chiunque abbia voglia di tuffarsi nei momenti che precedettero l'ingresso in guerra dell'Italia Fascista: un conflitto che, alla luce di quanto accaduto, poteva essere evitato.



Voto: 8/10   


Gio  

domenica 2 agosto 2020

Follie di Brooklyn, Paul Auster


Nonostante Follie di Brooklyn sia ambientato nella Grande Mela - come la precedente e più celebre Trilogia di New Yorknon potrebbe riscontrarsi una differenza maggiore tra due libri. Mentre i romanzi che compongono la trilogia sono assolutamente sperimentali e attuano una sorta di gioco di gatto col topo post-modernista tra lo scrittore e il lettore; Follie di Brooklyn, di contro, è un'opera costruita su una trama e su personaggi piuttosto semplici ma comunque avvincenti. 
Partiamo, come sempre, da un rapido sunto del plot.

Nathan Glass è un ex assicuratore in pensione, giunto a Brooklyn per terminare la propria esistenza. Reduce da una brutta malattia, divorziato e in rottura con l'unica figlia, è alla ricerca di solitudine e anonimato. Quando Nathan incontra il nipote Tom - che non vedeva da tempo - impegnato come commesso in una libreria locale e lontano anni luce dalla brillante carriera accademica a cui sembrava destinato, tra i due si sviluppa una stretta amicizia che li spingerà a riallacciare l'antico rapporto.
Sarà Lucy, la nipotina di Tom, col suo ingresso improvviso nelle loro vite a riaprire quel ponte tra passato e futuro che pareva interrotto, offrendo a entrambi una possibilità di redenzione.

Un uomo va a Brooklyn per morire... ma invece ritrova la vita. Così possiamo descrivere, in una manciata di parole, il contenuto di questo libro superbamente divertente ed eccezionalmente intelligente.
L'abilità di Auster sta, soprattutto, nel descrivere gli eventi così come accadono: un continuo alternarsi di situazioni impreviste in cui nulla è programmabile a priori e dove le gioie e le tribolazioni si susseguono incessanti, con l'essere umano a cui non rimane altra scelta se non quella di accettarle.
Ne scaturisce un romanzo gradevole, gustoso e avvincente che rappresenta, al tempo stesso, un ritratto affettuoso di New York: una metropoli colossale e debordante ma con il suo côté intimista che riesce a trasformarsi, incredibilmente, in una sorta di rifugio dello spirito umano.
La prosa di Auster è semplice e acuta; i dialoghi sono scoppiettanti e i personaggi ben costruiti. Tra loro emerge la figura del protagonista, Nathan Glass: burbero, sgarbato e divertente, ma anche insicuro, generoso e con gli occhi spalancati sul mondo.
Mi ha sinceramente stupito che gran parte della critica e dei lettori abbiano stroncato questo libro senza possibilità di appello. A mio parere Follie di Brooklyn è un libro che merita di essere letto: l'ennesima storia indimenticabile raccontata da uno dei maestri della narrativa americana contemporanea. 


Consigliato a: coloro che amano le storie semplici, scorrevoli e avvincenti e a chiunque voglia approcciarsi a quello che, probabilmente, è il più "europeo" nel novero degli autori americani di oggi.


Voto: 8/10