martedì 31 marzo 2020

Vittima numero 2117


Abbiamo atteso per due anni ma, finalmente, la Sezione Q è tornata! 
Dopo il mezzo passo falso di Selfie, Adler-Olsen si ripresenta al meglio della sua forma e ci  regala un romanzo - l'ottavo della serie - frenetico, divertente e dal ritmo incalzante. 
La trama, questa volta, ruota quasi interamente attorno alla figura di Assad: il collaboratore di presunta origine siriana che per oltre dieci anni ha lavorato fianco a fianco di Carl Mørck e Rose Knudsen ed ha sempre sorpreso tutti per la conoscenza degli argomenti più disparati, per la capacità di esprimersi in svariate lingue e per l'abilità di non farsi trovare impreparato di fronte al nemico. Ma sappiamo davvero chi sia Assad, da dove provenga e, soprattutto, quali segreti porti dentro di sé? 
La lettura di Vittima numero 2117 risponderà a tutti i quesiti.

Il corpo di una sconosciuta viene restituito dalle acque del Mediterraneo. La donna però non è vittima di annegamento (come parrebbe a prima vista); è stata assassinata. Quando Assad vede la foto della naufraga, subisce un improvviso trauma dal punto di vista emotivo. Da quel momento in avanti avrà inizio uno sfibrante conto alla rovescia: un attacco terroristico senza precedenti sta per essere messo in atto, con Carl Mørck e la sua squadra che si troveranno ad affrontare una delle prove più difficili della loro carriera. Un’inchiesta che farà emergere, a poco a poco, tutta la verità sul passato segreto di Assad.

Adler-Olsen questa volta ha affrontato alcuni temi centrali della realtà contemporanea - il terrorismo islamico, la paura di un attacco a sorpresa e la disperata situazione dei rifugiati in cerca di libertà - e li ha contestualizzati all'interno di un thriller elettrizzante.
Nonostante le oltre cinquecento pagine, il romanzo non perde un colpo e riesce a mantenere un adeguato livello di tensione per tutta la durata. L'autore alterna abilmente i capitoli, dedicandoli all'uno o all'altro personaggio, ed innesta sulla vicenda principale una seconda storia, con un giovane "gamer" che minaccia una strage al momento in cui il lugubre contatore delle vittime del mare raggiungerà una determinata quota.
Sostenuto da una scrittura vivace, che sa spaziare in pochi istanti dal dramma allo humour, e da una traduzione perfettamente all'altezza, Vittima numero 2117 è un libro dal ritmo inarrestabile, che vi scivolerà via dalle mani senza che ve ne accorgiate. Ogni tanto - è vero - si riscontra qualche lieve incongruenza nel plot... ma nell'economia di un libro simile, che mescola diverse trame e sottotrame, questo ci può anche stare.
E poi... come non affezionarsi ai personaggi sviluppati dall'autore? Si tratta di protagonisti davvero unici, lontani anni luce dallo stereotipo a cui ci ha abituato tanta (troppa?) letteratura poliziesca. Carl Mørck e i suoi collaboratori portano sulla pelle e nell'anima una serie di evidenti menomazioni che li rendono senz'altro più umani agli occhi di un pubblico contemporaneo che è stanco di eroi invincibili, senza macchia e senza paura.


Consigliato a: coloro che amano i thriller avvincenti, dal ritmo incalzante e carichi di adrenalina ed a chiunque apprezzi quei protagonisti capaci di mostrare, allo stesso tempo, la loro forza e le loro debolezze. 


Voto: 7,5/10 




sabato 28 marzo 2020

Professione angelo custode, Arto Paasilinna


Chi conosce Paasilinna, sa benissimo come l'autore finlandese abbia sempre prediletto, all'interno delle sue opere, temi pregnanti quali il rispetto della natura, l'ecologia e il desiderio di fuga dalla quotidianità. Di tanto in tanto, però, il buon Arto si è anche preso qualche breve congedo dalle vicissitudini della vita terrena e - come già accaduto con Il figlio del Dio del tuono - ha provato a raccontare ciò che accade in paradiso e in mezzo agli dei. È proprio questo il caso di Professione angelo custode: libro che si svolge in parte sulla terra e in parte tra le sfere celesti (che, per l'occasione, si trovano collocate nella grande chiesa in legno di Kerimäki). 

Il romanzo racconta la stravagante vicenda di un insegnante di religione, Sulo Auvinen, che dopo la morte finisce per diventare l'angelo custode di Aaro Korhonen, uno scapolo quarantenne che è titolare di una libreria antiquaria con annesso bar. 
Nonostante le buone intenzioni, il compito si dimostrerà più difficile del previsto per l'angelo alle prime armi. Sulo si rivelerà infatti un tremendo pasticcione ed il suo protetto incapperà in accuse di riciclaggio, commozioni cerebrali, naufragi navali oltre a venire schiacciato dalla personalità di due aspiranti fidanzate disposte a farsi la guerra. 

Come sempre, i libri di Paasilinna sono una piacevole lettura: i toni sono scanzonati e le risate assicurate, tra humour nero, peripezie e colpi di scena. Questa volta, però, la trama - pur essendo intrigante ed originale - non riesce del tutto a decollare.
Nonostante il romanzo sia ricco di inventiva, il tutto appare un po' raffazzonato; l'accumulo forzato di disavventure alla fine stanca un poco il lettore, le situazioni surreali si ripropongono un po' meccanicamente ed i personaggi non vengono costruiti con adeguata profondità. Anche il tradizionale umorismo finlandese, di cui Arto è uno degli anfitrioni, stavolta viene utilizzato in misura eccessiva, rendendo il risultato un pochino stucchevole. 
C'è comunque da dire che la prosa è rapida e scorrevole come sempre ed i paesaggi nordici vengono restituiti con tale squisita precisione da farci immergere, senza che ce ne accorgiamo, all'interno delle vaste ed affascinanti lande finlandesi.


Consigliato a: tutti gli amanti dello humour nero e surreale ed a coloro che apprezzano le favole moderne capaci di donare al lettore qualche ora di serenità e leggerezza.


Voto: 6,5/10


mercoledì 25 marzo 2020

La fiamma nel buio, Michael Connelly


La fiamma nel buio (titolo originate The night fire) è il secondo romanzo in cui vediamo interagire Harry Bosch e Renée Ballard e bisogna dire che la scelta di accoppiare i due investigatori si sta rivelando una mossa vincente.
Il vecchio leone Bosch, oramai in pensione, è lo stesso a cui ci siamo affezionati nel corso degli anni (forse solo un po' acciaccato); la presenza di Ballard - un personaggio femminile forte ed intelligente - contribuisce però ad introdurre un soffio di vitalità giovanile nei metodi per nulla convenzionali di Harry, facendo emergere un amalgama di caratteri, dialoghi ed intuizioni davvero ben riuscito.
Partiamo, come sempre, dalla trama...

All'epoca in cui Harry Bosch era un investigatore alle prime armi, aveva un mentore di nome John Jack Thompson, che gli aveva insegnato a prendere ogni indagine sul "piano personale". Dopo la morte di John Jack, Harry riceve dalla di lui vedova un quaderno relativo ad un caso che Thompson aveva portato con sé al momento in cui si era congedato dal LAPD, una ventina di anni prima: l'omicidio irrisolto di un giovane avvenuto in un vicolo spesso utilizzato per scambi di droga.
Bosch decide di consegnare a Ballard il quaderno, chiedendole di aiutarlo a scoprire che cosa sia stato di quel caso, che aveva acceso il "sacro fuoco" di Thompson tanto tempo prima. Questo sarà il punto di partenza della loro indagine...

Michael Connelly si conferma per l'ennesima volta come uno dei più grandi autori di crime-fiction di tutti i tempi. Il suo tratto distintivo è l'innata capacità di comprendere e decodificare la natura umana, abilità che nasce sia dalla sua formazione giornalistica sia dalla sua lunga esperienza di narratore di razza. 
Certo, anche per lui la "necessità" di sfornare un best-seller a cadenza annuale diventa spesso un ostacolo non facilmente raggirabile e non sempre il vecchio Michael riesce ad eguagliare il top della sua produzione (parlo di romanzi come Il poeta o Debito di sangue, tanto per intenderci). Nonostante tutto, le sue opere sono sempre di altissimo livello e la serie dedicata a Bosch continua ad appassionare i lettori di tutto il mondo malgrado abbia raggiunto la ragguardevole cifra di 22 (ventidue!) libri.   
La fiamma nel buio, pur scontando le difficoltà legate ad una trama un po' ingarbugliata, è comunque un ottimo romanzo, con un'ambientazione che si sposta senza soluzione di continuità dagli accampamenti dove vivono e muoiono i senzatetto agli uffici giudiziari ubicati negli scintillanti grattacieli di Bunker Hill.
La prosa dell'autore è impeccabile, intrisa di umorismo e cinismo, e rappresenta un esempio di come anche la narrativa di genere possa riuscire ad accendere i riflettori sulla vita contemporanea. Lo stile di scrittura - veloce e senza fronzoli - è studiato appositamente per mantenere le cose in costante movimento, senza lasciare il tempo di tirare il fiato: i capitoli brevi, in cui si alternano i due protagonisti, sono uno sprone a procedere nella lettura... fino al momento in cui non si arriverà all'ultima pagina.


Consigliato a: tutti coloro che amano i "thriller con l'anima" ed a chiunque si lasci catturare da quei romanzi capaci di unire la tensione della letteratura di genere con un'accurata visione della società americana contemporanea.


Voto: 7,5/10





venerdì 20 marzo 2020

Il lungo inverno di Dan Kaspersen, Levi Henriksen






Il titolo originale del romanzo, tradotto in italiano, significa più o meno "la neve cadrà sulla neve caduta". Definizione non poteva essere più appropriata per questa storia tutta scandinava, ambientata in mezzo a paesaggi gelidi ed innevati, che riesce a descrivere il difficile punto di equilibrio tra forza e fragilità all'interno dell'animo umano.
Levi Henriksen è un autore che va tenuto d'occhio. Se si dovesse per forza trovare una corrente letteraria in cui far confluire le sue opere, punterei decisamente sul "realismo sporco": la spiccata tendenza alla sobrietà, la precisione e la stringatezza nell'uso delle parole riconducono proprio in quella direzione.
Ma andiamo con ordine, partendo da un rapido sunto del plot.

Dan Kaspersen, dopo due anni di galera per traffico di stupefacenti, fa ritorno alla fattoria in cui è nato e cresciuto. I suoi genitori sono morti da parecchi anni ed il fratello minore Jakob si è da poco suicidato. 
Abbattuto dal senso di colpa per non essere riuscito ad impedire la sua morte, Dan si ritrova ad essere il principale sospettato di una feroce aggressione ai danni di Oscar Thrane: un ricco possidente che è anche il nonno di Kristian, colui che un paio d'anni prima aveva progettato il losco traffico, uscendone indenne dopo aver addossato ogni responsabilità allo sventurato Dan. 
Come se tutto ciò non bastasse, si troverà ad affrontare la persistente ostilità dell'ispettore Rasmussen e le reiterate prepotenze di Kristian. Nonostante sia forte, in lui, la tentazione di vendere la fattoria ed andarsene definitivamente, l'incontro con la dolce e generosa Mona lo aiuterà a trovare la giusta dose di coraggio per fare i conti con il passato. 

L'ambientazione norvegese, con inverni tutt'altro che clementi (che implicano temperatura abbondantemente sotto lo zero, tonnellate di neve e vento impietoso) è il giusto palcoscenico su cui si svolge questa vicenda: la lotta di un uomo che tenta di trovare un significato alla propria esistenza dopo un periodo trascorso dietro le sbarre. 
Nonostante gli ingredienti di base siano quelli del romanzo poliziesco - ovvero un crimine irrisolto, un uomo dal passato criminale ed una svolta drammatica che genera nuovi enigmi - Il lungo inverno di Dan Kaspersen si differenzia dalla ordinaria letteratura di genere per il suo interesse riguardo al dramma interiore del protagonista e alla sua ricerca del senso della vita. 
Henriksen, di cui avevo già apprezzato il bellissimo Norwegian blues, è un autore notevole, che riesce a creare immagini sorprendenti, attingendo ad un linguaggio che sa essere, al tempo stesso, crudo e tenero: riesce a descrivere con uguale efficacia il macello sanguinolento di un maiale ed il profumo della pelle bagnata di un neonato. 


Consigliato a: coloro che apprezzano le storie che insegnano a trovare il giusto posto nel mondo e a chi ama le vicende famigliari che raccontano il dolore, l'amore e la creazione di una nuova vita. 


Voto: 8/10 


Gio





mercoledì 18 marzo 2020

Ballata irlandese, Adrian McKinty


Adrian McKinty è una delle voci più interessanti del thriller/noir contemporaneo. Dopo lo strepitoso successo di The chain - il libro che l'ha fatto conoscere a livello mondiale - la BUR ha rieditato quest'opera, passata quasi del tutto inosservata qualche anno fa, ma che merita senz'altro di essere recuperata. Si tratta di un romanzo torbido e divertente, duro e conflittuale, intenso ed a tratti persino poetico, ma comunque caratterizzato da una profonda "anima" irlandese. 

Michael Forsythe, il protagonista, deve lasciare Belfast dopo essere stato sorpreso a lavorare mentre era intento a percepire il sussidio di disoccupazione. Arrivato illegalmente a Brooklyn, entra a far parte della piccola ma ambiziosa banda criminale gestita dal boss Darkey White. Dopo aver effettuato diversi lavori per White, Michael e tre suoi colleghi vengono spediti in Messico per concludere un affare di droga. Purtroppo, qualcuno li tradirà e finiranno rinchiusi in una squallida prigione messicana, in cui dovranno affrontare la fame e violenti conflitti con gli altri prigionieri. Michael riuscirà a fuggire a costo di inimmaginabili patimenti, cominciando il suo viaggio di ritorno in America per vendicarsi di coloro che lo hanno tradito.

Noir di solida impostazione classica, con alcune digressioni nel "gangster book" ed una trama che strizza l'occhio a Il conte di MontecristoBallata irlandese è quasi interamente incentrato sulla figura complessa e ben disegnata del protagonista: un giovane uomo fedele alle tradizioni ed alla disperata ricerca della vendetta. È davvero notevole l'ambientazione newyorchese anni '90: una metropoli che si dibatte tra vandalismo ed abbandono ed in cui è in corso una crudele guerra tra bande per il controllo del traffico di droga. 
Dopo una lenta combustione, che dura il tempo di una manciata di pagine, la storia diventa avvincente e si dipana ad un ritmo vertiginoso. McKinty fa un ottimo lavoro nel catturare le immagini ed i suoni della New York pre-Giuliani, mostrando particolare attenzione alla descrizione dei luoghi (non per niente i capitoli portano spesso il nome di strade della Grande Mela) ed alle relazioni personali.   
La scrittura è scorrevole, densa di pathos e violenza ma non scevra da buone intuizioni politico/filosofiche; i dialoghi sono suggestivi, corredati da un sardonico senso dell'umorismo
Se dobbiamo per forza cercare un punto di riferimento, possiamo pensare ai primi romanzi di Dennis Lehane (il paragone con Mystic river sorge quasi spontaneo) o alle opere di David Peace. Al di là di tutto, McKinty sembra possedere i giusti cromosomi per entrare a far parte della ristretta élite dei maestri del noir contemporaneo; l'unica speranza è che mantenga saldo il vecchio spirito irlandese, senza lasciarsi catturare dalle sirene del business e del successo commerciale "ad ogni costo".


Consigliato a: coloro che cercano un noir adrenalinico e pieno di pathos ed a chiunque voglia fare la conoscenza di un autore promettente, da cui si attendono grandi cose. 


Voto: 8/10    







sabato 14 marzo 2020

La casa sul canale, Georges Simenon



La casa sul canale, pubblicato nel 1933, è una delle prime opere post-Maigret e rientra a pieno titolo nei cosiddetti "romanzi duri" - per usare la terminologia dell'autore - ovvero quei libri di argomento non poliziesco in cui Simenon riuscì a sviluppare una vera e propria epica del conflitto tra uomini e donne, tra famiglie e tra gruppi sociali.
Partiamo, come di consueto, dalla trama...

Edmée, rimasta orfana all'età di sedici anni, giunge alle Irrigations, la vasta proprietà terriera dello zio materno. La ragazza è pallida e minuta, dall'aspetto quasi anemico... ma ha la capacità non comune di riuscire a farsi obbedire. I due cugini - il dinamico Fred e l'introverso Jef - si lasciano ben presto ammaliare dal fascino di quella creatura, ambigua e dominatrice, che si rivela così diversa da loro. 
Col passare del tempo, Edméè assumerà sempre più ascendente sulle loro vite, provocando un'insana discordia tra i due "fratelli-rivali" che culminerà, tempo dopo, in un'imprevedibile tragedia.

Ambientato in mezzo a straordinari paesaggi fiamminghi ed immerso in atmosfere torbide e malsane, La casa sul canale è un romanzo dall'aspetto quasi gotico, in cui il grigio scuro rappresenta la tonalità prevalente. Lungo il fluire del tempo, che pare scorrere pigro ed indolente, si percepisce un'atmosfera di tragedia imminente a cui niente e nessuno può scampare.
I personaggi sono ambigui ed enigmatici, ma allo stesso tempo dotati di un'innata semplicità che li rende credibili e realistici. Tra tutti, è indimenticabile la figura della protagonista Edmée: una piccola donna che, pur non avendo l'aspetto della femme fatale, possiede l'incredibile potere di destabilizzare la società rurale che l’aveva accolta.
La descrizione di luoghi ed ambienti è precisa e convincente tanto che, mentre procediamo nella lettura, pare quasi di ritrovarsi accanto ai protagonisti lungo gli argini del canale.
La lettura è scorrevole ed ammaliante: Simenon - manco ce ne fosse bisogno - dimostra per l'ennesima volta come si possa provare empatia anche per quei personaggi che hanno passato gran parte dell'esistenza ad agire in maniera scorretta.


Consigliato a: chi ama i romanzi in cui si svela fino in fondo l'atavico conflitto tra eros e thànatos ed a chiunque voglia gustare un libro di Simenon meno noto di altri ma meritevole di onori ed attenzione.


Voto: 7,5/10

giovedì 12 marzo 2020

Il nostro bisogno di consolazione, Stig Dagerman



Stig Dagerman, sensibile e talentuoso poeta/giornalista/scrittore, concluse la propria breve esistenza suicidandosi all'età di 31 anni. Per la somma di questi fattori rimane ancora oggi una figura di riferimento all'interno della letteratura svedese.
Il nostro bisogno di consolazione è un breve monologo, raccolto in qualche decina di fogli, che incarna la toccante confessione/riflessione di un autore straordinario afflitto del "male di vivere": quel male tipico del Novecento per cui numerosi letterati di talento presero coscienza di avere perso la fede in ogni cosa... compreso l'uso della parola:

Dagerman era un uomo totalmente privo di fede e sentiva dentro di sé di non poter mai aspirare alla felicità. Questo breve scritto, di conseguenza, punta il dito sull'incongruenza che esiste tra il desiderio di essere felice e l'impossibilità di esserlo. Inoltre, evidenzia un altro elemento che è un po' la "trave di volta" dell'opera omnia dello scrittore: l'assoluto bisogno di libertà che si infrange contro quello scoglio insuperabile rappresentato dalla schiavitù dell'esistenza.
L'autore si sentiva, infatti, talmente schiavo del proprio talento da non avere più "il coraggio di farne uso per il timore di averlo perso”; era inoltre pesantemente osses­sionato dallo scorrere del tempo e dall'intima incapacità di ribellarsi alle pressioni imposte dalla società. 

Il libricino è piccolo solo per quanto riguarda la dimensioni: si tratta, in realtà, di un testo straordinario, composto da poche pagine, dentro cui è racchiuso un dolore di vivere impregnato da una profonda tristezza. Siamo al cospetto di una confessione lancinante, che ci mostra un uomo al culmine del suo genio ma incapace di trovare la via di fuga da una realtà opprimente, che lo avvolgeva come un malefico sudario. 
Lo stile di Dagerman - che già avevo conosciuto in Autunno tedesco - è inconfondibile: dolce ed al tempo stesso malinconico, colpisce a fondo per la sua asciuttezza ed il suo afflato lirico. 
Concludo riportando l'incipit dello scritto: 
"Mi manca la fede e non potrò mai, quindi, essere un uomo felice, perché un uomo felice non può avere il timore che la propria vita sia solo un vagare insensato verso una morte certa".


Consigliato a: coloro che vogliono scoprire un gigante della letteratura del Novecento, vittima del male di vivere, ed a chiunque ama i libri pregnanti, che rivelano un mondo intero nell'arco di poche pagine.


Voto: 8/10


mercoledì 11 marzo 2020

Gorilla blues, Sandrone Dazieri


Gorilla blues è il terzo romanzo che leggo con protagonista Sandrone Dazieri (sì, perché il protagonista ha lo stesso nome dell’autore!), per tutti “il Gorilla”: un detective privato che opera ai margini della legge, valicandone spesso i limiti, ed è caratterizzato da uno schizofrenico sdoppiamento di personalità.

Questa volta il nostro Sandrone, per fare un piacere ad un amico, accetta di recarsi ad Angera, sul lago Maggiore, per assumere il ruolo di sorvegliante di un minuscolo luna park. Purtroppo per lui, il compito si rivelerà meno facile del previsto: un misterioso stalker cercherà di fare una strage nel corso di un matrimonio in costume e Sandrone si troverà impegnato a proteggere una giovane e bella ragazza dalle ossessive attenzioni del maniaco.

Il Gorilla è un personaggio unico nel panorama del giallo/noir di casa nostra. Paladino di cause difficili (se non perse in partenza), ha un “socio" alla pari, che si occupa del cosiddetto lavoro sporco: quando lui se ne va dormire… il suo alter ego entra prontamente in azione (e viceversa).
Partendo da una banale storia di violenza, l’autore finisce col riallacciarsi ad un tema più grande: il suo protagonista si troverà ben presto ad indagare all'interno degli ambienti politici estremisti (sia di destra sia di sinistra) fino ad arrivare a Genova durante la commemorazione del tragico G8.
La trama, sinceramente parlando, non è il punto forte del libro: di tanto in tanto ha dei passaggi a vuoto e qualche (evitabile?) rallentamento che appesantisce la narrazione. È però un’esperienza estremamente gradevole perdersi nelle descrizioni di Dazieri ed è apprezzabile il modo in cui riesce a tratteggiare le realtà urbane contemporanee, piene di personaggi che vivono “al limite”. E poi – questo va sottolineato - le battute del Gorilla, sempre azzeccate e fulminanti, sono davvero piacevoli da leggere.


Consigliato a: coloro che amano il noir di solida matrice americana ma ambientato in un contesto sociale tipicamente nostrano ed a chiunque voglia fare la conoscenza di un personaggio… che ne vale due!


Voto: 6,5/10



domenica 8 marzo 2020

Yoshe Kalb, Israel J. Singer



Israel J. Singer, come ben sappiamo, è il fratello maggiore del premio Nobel Isaac Bashevis. A volte, però, mi sorge il dubbio che abbiano assegnato il prestigioso premio al fratello sbagliato. Mentre i libri di Isaac Bashevis paiono invecchiare col passare del tempo, quelli di Israel Joshua sono ancora capaci di emozionare, intrattenere ed appassionare nonostante il trascorrere inesorabile degli anni.  

Yoshe Kalb è il mio quinto incontro con I.J. - in precedenza avevo letto La famiglia Karnowski, I fratelli Ashkenazi, La fuga di Benjamin Lerner e A oriente del giardino dell'Eden - e rappresenta una lettura di grande spessore, che ci fa toccare con mano quello che accadeva al cospetto di una corte ebraica dell'Ottocento.
Mai come in questo romanzo - e questo fatto va sottolineato con vigore - è stata tratteggiata in maniera così completa la tragica figura del cosiddetto "ebreo errante": un personaggio leggendario che ha avuto numerose elaborazioni in quasi tutte le letterature europee.
Ma partiamo dall'inizio....

Un personaggio misterioso giunge presso la corte rabbinica di Nyesheve, in Galizia, causando un putiferio.
Chi è veramente quest’uomo vestito di stracci? Il genero del Rabbi di Nyesheve, che era scomparso quindici anni prima in modo misterioso, oppure Yoshe Kalb, un miserabile e silenzioso mendicante soprannominato "il tonto di Bialogura”?
Infatti, mentre diverse persone lo reputano il genero dell'anziano Rabbi Melech, altri riconoscono in quello strambo soggetto il marito della figlia dello scaccino di Bialogura, fuggito la notte delle nozze e ritenuto responsabile della cruenta epidemia che aveva travolto la città.
Numerosi saggi, accorsi a Nyesheve da tutte le parti d'Europa, cercheranno di risolvere l'enigma che sta tormentando l'intero mondo ebraico: "Chi è veramente quell'individuo?" .

Non c'è che dire: I.J. Singer, come al solito, si dimostra abilissimo nel raccontare una società lontana da noi nel tempo e nello spazio, attingendo ad una minuziosa ricerca storica e facendo ricorso ad un sapiente uso delle parole.
L'ambientazione nell'est europa asburgico, in mezzo ad ebrei hassidici - e pertanto molto ligi ed osservanti - gli dà modo di descrivere una serie di personaggi a tinte vivaci, alcuni dotati di una vitalità debordante ed altri, invero, piuttosto slavati e silenziosi.
La prosa dello scrittore polacco è notevole: prende per mano il lettore ed allontana da lui qualsiasi accenno di noia o disaffezione. Il senso dell'umorismo tipicamente Yddish Humor è un altro elemento che non va sottaciuto, in quanto aiuta a sdrammatizzare le situazioni  tragiche che, di tanto in tanto, costeggiano la narrazione.
Lievemente inferiore ad altre opere (personalmente ritengo che sia quasi impossibile raggiungere l'aureo livello degli Ashkenazi), questo romanzo possiede dentro di sé i cromosomi e le sembianze di una favola...  che si accompagna però con le luci e l'allegria  di una fiera paesana.


Consigliato a: coloro che amano la letteratura ebraica, con le sue ambientazioni ed i suoi personaggi indimenticabili, ed a chiunque apprezzi le storie che - in maniera assolutamente pirandelliana -  raccontano le evoluzioni di una "doppia identità" a metà strada tra tragedia e commedia.



Voto: 7,5/10


sabato 7 marzo 2020

La signora del martedì, Massimo Carlotto



Di tanto in tanto - quando troviamo un libro che può rientrare nelle corde di entrambi - torniamo a dedicarci alle nostre letture di coppia.
Questa volta la nostra scelta è ricaduta su La signora del martedì, di Massimo Carlotto. Premettiamo che, mentre Gio conosceva alla perfezione lo stile e i temi dell'autore (è un grande appassionato della saga dell'Alligatore), per Mely si è trattato del primo contatto con lo scrittore veneto. 
Com'è andata?
Facilissimo saperlo... non vi resta che proseguire la lettura dell'articolo... 

Trama
Tre personaggi. Tre storie differenti. Tre diverse solitudini. 
Bonamente Fanzago è un attore di film hard sul viale del tramonto, che trascina stancamente la sua esistenza nel difficile tentativo di sbarcare il lunario. Ogni martedì pomeriggio, una donna senza nome paga i suoi servizi da gigolò presso la pensione Lisbona, un anonimo alberghetto disperso tra i vicoli cittadini. Il proprietario della pensione, il signor Alfredo, vive nascostamente la sua natura di travestito, al riparo da un mondo perbenista e bacchettone, che lo osserva con malcelato disprezzo. 
Un fatto del tutto imprevisto giungerà a spezzare il loro consolidato tran-tran, diventando il punto di partenza per una serie di eventi indesiderati. 
A quel punto... sarà davvero dura per i tre protagonisti tirarsi fuori dai guai...

Mely:
Un libro che riesce a raccontare la solitudine umana, facendo ricorso a tre personaggi davvero particolari: molto difficilmente, nella letteratura italiana (abituata a riproporre le "solite cose"), scopriamo figure di questo tipo.
Un elemento importante, che emerge durante la lettura, è il disprezzo della società nei confronti delle persone diverse. I protagonisti sono capaci di trasmettere una tenerezza infinita (anche se, talvolta, li avrei presi a schiaffi!)
Lo stile è bello e scorrevole. Avendolo fruito in modalità "audiolibro", una nota di merito va alla lettura da parte dell'autore, capace di scandire con la propria voce i momenti salienti della vicenda. 
Voto: 8,5/10

Gio
Carlotto è un maestro del noir nostrano, su questo non esistono dubbi. Stavolta, del tutto inaspettatamente, decide di allontanarsi dai temi a lui più consoni per addentrarsi in una vicenda molto particolare: descrivere le peripezie di tre personaggi che, pur nella loro diversità, hanno in comune il fatto di essere dei reietti, degli esclusi dalla cosiddetta società perbene. 
L'autore è bravissimo nel raccontare il loro dolore e la loro capacità di resistere alle difficoltà; i protagonisti, però, sono un po' troppo "sopra le righe": i loro gesti e le loro azioni non rientrano per nulla nell'alveo della plausibilità e, di tanto in tanto, pare di assistere ad un qualcosa di irreale e di fittizio, quasi se la trama fosse un escamotage per far interagire tra loro i personaggi piuttosto che la base dell'intero romanzo.
La lettura è rapida e scorrevole; il libro si legge in una manciata di ore... però, sinceramente, spero che per Carlotto si sia trattato di una breve divagazione e che faccia presto ritorno al noir in senso lato: genere in cui si dimostra sicuramente più a suo agio. 
Voto: 7/10


E anche questa volta ce l'abbiamo fatta. Pure se non ci siamo dimostrati d'accordo al cento per cento... per certi versi abbiamo entrambi apprezzato La signora del martedì, libro che - al di là di tutto - merita di essere letto.
Grazie per l'attenzione... e arrivederci ad una delle prossime avventure.




martedì 3 marzo 2020

Il treno per Istanbul, Graham Greene





Forse non lo sapevate ma, ben due anni prima della pubblicazione di Assassinio sull'Orient Express di Agatha Christie, il celebre treno che attraversava mezza Europa lungo il suo tragitto da Ostenda ad Istanbul era già stato teatro di un altro importante romanzo. 

Il treno per Istanbul di Graham Greene racconta la storia di una serie di individui che si ritrovano per caso nel corso di un viaggio ferroviario; l'autore descrive mirabilmente questa sorta di microcosmo, rendendo il lettore partecipe delle varie relazioni che si sviluppano tra i passeggeri e descrivendo le loro difficoltà di adattamento alle circostanze.
Mentre il paesaggio cambia in continuazione, i viaggiatori si immergono in una statica realtà fatta di incontri, chiacchiere e reciproche diffidenze.

La trama, come vi dicevo, ci mostra diversi personaggi i cui destini si mescolano in maniera casuale ma inesorabile. Ognuno porta con sé il proprio fardello di tormenti dovuti al fallimento politico, alla frustrazione sessuale, alla povertà e persino alla propria razza. Tra questi, sono indimenticabili le figure dell'uomo d'affari ebreo Carleton Myatt, della giornalista lesbica Mabel Warren, della ballerina indigente Coral Musker e del dottor Czinner, un rivoluzionario intento a ritornare in Patria a cinque anni di distanza da una condanna a morte. Ognuno di loro racchiude nell'anima un segreto oscuro e profondo che sboccerà in maniera improvvisa mentre il treno procede indolente il suo viaggio.

Greene definì questo suo romanzo come una sorta di "divertimento", facendo ampio ricorso a momenti melodrammatici che avrebbero potuto trovare posto nel più convenzionale dei thriller. Malgrado ciò, lo scrittore inglese utilizzò questi elementi per andare al di là del modello apparente e costruire un romanzo di ben più ampio respiro, in grado di raggiungere un pubblico assai più vasto di quello della letteratura di genere.
Antisemitismo e comunismo, amore e disprezzo, omosessualità e lussuria, delitto e castigo: questi sono i temi portanti dell'opera, che si sviluppano con armonia nel corso della narrazione. Sono rilevanti anche la questione della fedeltà, della predominanza degli obblighi verso gli altri rispetto a quelli nei confronti di se stessi, e la riflessione sul fatto se fare il proprio dovere ripaghi oppure no.
I personaggi - questo è innegabile - sono stereotipi di figure dell'epoca: l'ambizioso capitalista, la lesbica che sfida i maschi, l'intellettuale rivoluzionario e persino lo scrittore "popolare", in grado di incantare il pubblico dei propri lettori.
Nonostante Myatt - il giovane giudeo - venga dipinto come una sorta di perdente e descritto in maniera umoristica, si può dire che il libro contenga un attacco al capitalismo imperante piuttosto che contro la razza o la religione ebraica.


Consigliato a: chi vuole scoprire un piccolo gioiello della letteratura del Novecento, opera di uno scrittore considerato all'epoca - e del tutto impropriamente - come semplice giallista ed annoverato, col passare del tempo, tra i Grandi Autori della letteratura britannica.


Voto: 8/10





domenica 1 marzo 2020

Anello di piombo, Piero Colaprico



Ritorna l’ispettore Francesco Bagni, già protagonista della Trilogia della città di M - Premio Scerbanenco nel lontano 2004 - e di La strategia del gambero.
Ben vengano gialli di questo tipo - questa è la mia prima considerazione - che, oltre a funzionare dal punto di vista dell'indagine poliziesca, fanno riscoprire al lettore uno dei momenti più oscuri nella storia del nostro paese: i cosiddetti "anni di piombo".
Piero Colaprico, oltre a costruire un buon plot ad incastro, indirizza di frequente lo sguardo alla Milano degli anni Settanta, riaprendo pagine che, purtroppo, rappresentano ancor oggi una ferita indelebile sulla pelle di tutti noi: la strategia della tensione, il terrorismo di estrema destra, le stragi senza colpevoli.    
Ma partiamo dalla trama, come sempre...

Siamo a Milano, negli anni Ottanta. Lo psichiatra Eleuterio Rupp viene ucciso a revolverate sotto casa sua. La Questura di Milano dà l'incarico di risolvere l'enigma ai suoi migliori poliziotti, ma nei giorni successivi due di loro vengono ritrovati morti. Tra le vittime, l’amico e mentore di Bagni Sebastiano Nesi, soprannominato "Tanone".
Alcuni anni dopo l'ispettore Bagni riprende l'indagine su quei misteriosi delitti. Nella sua ricerca della verità è guidato da un diario - pieno di indizi e di suggerimenti - che era stato redatto dallo stesso Nesi durante quei giorni febbrili. 
Passo dopo passo, arriverà a stabilire dei legami tra l'omicidio dello psichiatra e la bomba di piazza Fontana, aprendo una nuova prospettiva su alcuni eventi drammatici del nostro recente passato.  

Anello di piombo è una lettura scorrevole, trascinante e coinvolgente, che fa riflettere sui tanti misteri del Bel Paese. Con uno stile quasi giornalistico, rapido ed avvincente, Colaprico affronta un pezzo di storia italiana tuttora irrisolta; la trama gialla lo aiuta a raccontare un'epoca neanche troppo lontana, dove le lotte intestine tra i servizi "deviati", forze politiche e criminalità producevano conseguenze laceranti per il tessuto connettivo della società. 
Di tanto in tanto, la trama gialla sembra mostrare un po' la corda, trasformandosi quasi in una sorta di "pretesto" per raccontare un passato scomodo e difficile; d'altra parte l'argomento "Piazza Fontana" è già stato sviscerato decine di volte: sia dalla saggistica sia dalla letteratura (di genere e non). Inoltre - a mio personalissimo parere - l'ispettore Bagni fatica un pochettino ad imporsi al "centro dell'attenzione", apparendo spesso come un galoppino al servizio dell'autore piuttosto che come uno sbirro dotato di autonomo carisma e spessore.           
Resta comunque un romanzo interessante, che scorre rapidamente, supportato da uno stile fluido ed essenziale che lo farà apprezzare non solo agli appassionati di "Storia Patria", ma anche da coloro che cercano una lettura di genere, liscia ed appassionante, a cui abbandonarsi senza remore.   


Consigliato a: coloro che amano i gialli a sfondo storico, che riaprono pagine importanti della storia italiana, ed a chiunque apprezzi i libri scorrevoli e coinvolgenti.


Voto: 7/10