venerdì 31 agosto 2018

L'orologiaio di Everton, Georges Simenon


Leggere un romanzo di Simenon dà la stessa, meravigliosa sensazione di rincontrare un vecchio amico. E così, ad anni di distanza dalla lettura di L’uomo di Londra e di L’uomo che guardava passare i treni, mi sono riavvicinato a questo grande maestro della narrativa mondiale, recuperando questo romanzo breve che può essere senza dubbio annoverato nella lista dei più celebri tra quelli scritti dal narratore belga.
L’orologiaio di Everton, qualche anno fa, venne portato sullo schermo dal regista francese Bertrand Tavernier: un grandissimo  Philippe Noiret, con un’interpretazione memorabile, riuscì a regalare l’immagine di un personaggio indimenticabile, capace di far breccia nelle emozioni  del pubblico.
E così, anni dopo la visione della pellicola, non ho potuto esimermi dalla lettura del romanzo e devo dire di essere rimasto davvero soddisfatto dalla scelta effettuata.
Scritto nel 1954 da un Simenon che, da qualche anno risiedeva stabilmente negli Stati Uniti, il romanzo mostra tutti gli elementi caratteristici delle opere dello scrittore. Con uno stile narrativo fluido, asciutto e scevro da estetismi, il vecchio Georges riesce a ricostruisce in maniera delicata ed essenziale una  vicenda profondamente drammatica, facendo affidamento ad un’arguta psicologia e ad una insuperabile capacità di osservare le gli umani accadimenti.

La trama è molto semplice. Dave Galloway, il protagonista, è  uomo ordinario ed abitudinario, privo di qualsiasi slancio. Ha vissuto un’esistenza umile, quasi sommessa, dedicandosi alla propria attività di riparatore di orologi e crescendo da solo il proprio figlio, Ben, dopo la repentina fuga della consorte (stufa di un’esistenza piatta e inconsistente) 
Un giorno, di punto in bianco, si trova coinvolto in una situazione imprevedibile:  Ben, scappato di casa insieme ad una ragazza, rimane coinvolto in un omicidio. 
Da questo momento in avanti, Simenon dà il meglio di sé. Scava con precisione nella psicologia dei personaggi, andando alla ricerca dei meccanismi che hanno prodotto le loro scelte, dei “germi” preesistenti che hanno condotto a tali conseguenze.
E, sempre in un miracoloso equilibrio tra sentimento e ragione, tra cuore e mente, arriva a dare una precisa lettura a quello che è il fattore scatenante dell’intera vicenda: lo spirito di ribellione, che Dave aveva soffocato dentro di sé per tutta l’esistenza, esplode invece poderoso ed incontrollato nella figura del figlio.
Ben non tiene a bada i propri istinti come il proprio genitore, ma li asseconda completamente, facendoli propri. Si addentra così in una strada senza via di uscita, completamente diversa da quella piatta, usuale ma rassicurante percorsa da Dave.

L’uomo di Everton è un romanzo che non lascia indifferenti. Colpisce profondamente per la sua forza drammatica, ma soprattutto per l’invidiabile capacità di elevare una vicenda “gialla”, dai risvolti abbastanza ordinari, ai ranghi di un magnifico apologo sulla volontà umana e sul suo modo di esplicarsi nel mondo circostante.
Un romanzo che parla delle scelte e della profonda incapacità degli esseri umani nel riuscire a gestirle, armonizzarle e viverle consapevolmente, sempre in perenne equilibrio tra il “vorrei essere” ed il “sarò”.


Consigliato a: chi cerca un libro duro ma allo stesso tempo ricco di pathos e capacità di analisi ed a chiunque ami le opere di questo straordinario scrittore: romanzi che, nonostante il passare del tempo, conservano inalterata la loro forza e la loro attualità.  


Voto: 8/10


mercoledì 29 agosto 2018

Dove siamo arrivati... #10

Salve gente!
Caspita, siamo già al decimo appuntamento con questa "rubrica"... 😍

Everyman
Roth ci racconta la storia di un uomo partendo dal suo funerale emandando poi indietro tutta la cassetta per rivedere la sua vita da quando era bambino fino al momento della sua morte.
Ci mostra il lavoro del padre, il legame col fratello, la presenza della madre.
Ci parla della malattia, dell'amore, della paura e dell'essere umani.
Roth ci racconta la storia di un uomo, che però è quella di tutti.
Un libro breve che però lascia molto a cui pensare, ma d'altra parte stiamo parlando di Roth, che di certo non è l'ultimo degli arrivati.
(qui la recensione di Gio)

Vendetta ai mondialiOmicidio al giro
La mia estate in giallo prosegue con questi due volumi della serie con protagonista il commissario Igor Attila. Come si può intuire, ci si occuperà rispettivamente di calciatori e di ciclisti. Il mio preferito continua ad essere il terzo, ma anche questi sono molto piacevoli da leggere. (E adesso non vedo l'ora di recuperare l'ultimo uscito...!)

Estate artica
Qui arriva il tasto dolente del giorno: un libro che dovrebbe parlare di E.M. Forster, delle condizioni degli omosessuali nella sua epoca... dico dovrebbe perché purtroppo sono crollata ancora prima di pagina 50. La scrittura è troppo lenta e noiosa, per i miei gusti: si perde troppo in dettagli e formula frasi in un modo troppo... "troppo", mentre io preferisco stili più diretti.
Per sapere se il problema ero io o il libro ne ho letto un passaggio a Gio e anche lui ha storto un po' il naso.

Hiroshige
Finalmente mi sono dedicata a questo artista leggendo il dossier su di lui e WOW. Devo dire che, tra quelli letti fino ad ora, è decisamente il migliore come contenuti: ci sono moltissime tavole e il suo stile viene spiegato bene. L'autore resta concentrato sull'artista, sul suo lavoro e sulle sue evoluzioni.
Mi si è aperto un mondo, mi è venuta voglia di vedere le opere di Hiroshige e non vi descrivo la mia felicità quando ho scoperto che a breve ci sarà un'esposizione a Bologna con anche pezzi di Hokusai!!!


Grazie per essere arrivati fin qui, per oggi è tutto e vi rimando alla prossima!

lunedì 27 agosto 2018

La provvidenza rossa, Lodovico Festa


Non ci potrebbe essere errore più grande di quello di catalogare questo libro come un semplice “giallo”. Anche se è innegabile che l’incipit, la trama e lo scioglimento dei nodi narrativi appartengano di diritto al mondo della fiction poliziesca, non è affatto errato considerare quest’opera alla stregua di un romanzo storico: La provvidenza rossa, infatti, rappresenta un vero e proprio salto nel passato che riesce a spiegarci quale fosse la vita quotidiana del PCI milanese negli anni Settanta del secolo scorso.
Con lo scorrere dei capitoli, assistiamo ad una meticolosa e precisa ricostruzione di quello che era l’apparato burocratico del partito, estremamente radicato nel territorio ed in grado di tenere sotto controllo qualsiasi cosa: dai circoli culturali alle cooperative, dalle strutture industriali alle organizzazioni sindacali.

La fioraia Bruna Calchi viene assassinata con una raffica di mitra nei pressi del suo chiosco adiacente al cimitero monumentale di Milano. La giovane donna è una militante del PCI, iscritta alla sezione Sempione, ed è conosciuta per la sua vis polemica e bellicosa.
Mentre la polizia assegna il caso all’ispettore Ciccio Modena, un uomo con simpatie di sinistra, il Partito Comunista Italiano comincia una contro-indagine segreta, affidata al presidente della commissione probiviri Dondi e al suo vice, l’ingegner Cavenaghi.
Inizia così una specie di sfida tra l’indagine ufficiale e quella “sotterranea” che – pur priva di presupposti legali - può comunque contare sulla collaborazione di decine e decine di militanti.

La scelta di far raccontare la vicenda da un ex funzionario di partito che, a distanza di anni, si confessa risulta particolarmente azzeccata: dalle parole del narratore scopriamo così che cosa fu veramente il PCI e comprendiamo fino in fondo il funzionamento di quella straordinaria macchina organizzativa in cui dirigenti e militanti lottavano per un obiettivo comune.
Purtroppo, l'accavallarsi eccessivo di personaggi – funzionari di partito, giornalisti, simpatizzanti – non aiuta affatto: ogni tanto il lettore rischia di perdersi in mezzo alla marea montante di nomi che sopraggiungono copiosi di pagina in pagina. Inoltre, la vicenda poliziesca non viene sviluppata in maniera adeguata, trasformandosi sin dall’inizio in un mero specchietto per le allodole al servizio del racconto/saggio storico.
Al di là di tutto, La provvidenza rossa risulta un’opera fondamentale ai fini di ricostruire la mentalità dei militanti di quel periodo, con un potere evocativo che – per coloro che hanno davvero vissuto quegli anni – diventa sorprendente.


Consigliato a: coloro che cercano un romanzo storicamente fondato, in grado di spiegare con precisione un periodo importante della nostra storia recente, ed a chiunque voglia approfondire il funzionamento di una macchina di partito impeccabilmente strutturata com’era il PCI anni Settanta.


Voto: 6,5/10


venerdì 24 agosto 2018

Il complotto contro l’America, Philip Roth


Qualcuno ha definito questo romanzo come il parto di un “Roth minore”. Ma sarà davvero così?
In questo caso, il grande Philip indossa – almeno per una volta – i panni dell’intrattenitore, lasciando un pochino da parte la sua abituale mansione di caustico analista dell’America contemporanea.
Inoltrandosi in un racconto ucronico, ci mette davanti una questione già trattata in passato da altri scrittori (si pensi, ad esempio, a Fatherland di Harris): come sarebbe andata a finire se gli Stati Uniti non fossero intervenuti nel secondo conflitto mondiale?

Un ragazzino ebreo – che si chiama, per l’appunto, Philip Roth - è la voce narrante di questo curioso racconto, nel quale l’autore immagina una situazione del tutto alternativa alla rielezione di Roosevelt: l’incarico presidenziale attribuito a Charles Lindbergh, il quale basa il suo programma sulla politica del “non-intervento”, oltre che su principi antisemiti e filonazisti che lo rendono immediatamente inviso ai genitori di Philip e a gran parte della popolazione ebraica.
Il romanzo mostra fino in fondo la fragilità dell’apparato democratico statunitense, sviscerando fino in fondo le problematiche che possono condurre all’instaurazione di un regime totalitario, assolutista e liberticida: l’odio razziale, il fanatismo e l’intolleranza.
Purtroppo, la nascita di un partito Nazista in America, l'antisemitismo di Lindbergh, le aggressioni del Ku-Klux-Klan ed il “Bund” di matrice teutonica erano fatti reali ed assodati (illuminante, a questo proposito, è il Poscritto del libro): i germi di un'evoluzione totalitaria degli USA erano già presenti e perfettamente in grado di destabilizzare un regime democratico. E alla fine della fiera, se ci pensiamo bene, sarebbe bastato ben poco per cambiare la storia del ventesimo secolo: il “non intervento” americano avrebbe – forse - trasformato il mondo in un’apologia nazista su vasta scala. 

Si tratta, a mio parere, di un romanzo arguto ed in grado di allargare l’orizzonte di un lettore a volte un po’ troppo pigro, forse per la forzata abitudine di adagiarsi sulla normalità del “sentito dire”. L'estrema attualità del tema, la scrittura mirabolante di Roth e la caratterizzazione di personaggi, ambienti e situazioni sono, come sempre, straordinarie.


Consigliato a: coloro che amano la storia "alternativa", capace di mostrare evoluzioni diverse da quelle reali, ed a chiunque apprezzi la scrittura ammaliante e tagliente di uno dei più grandi narratori contemporanei.


Voto: 7,5/10


giovedì 23 agosto 2018

Il mugnaio urlante, Arto Paasilinna


Arto Passilinna è ormai un autore di culto. Nessuno come lui è in grado di coniugare dramma e humour travolgente, spingendo il lettore a sorridere anche delle storie più tragiche.
Anche Il mugnaio urlante, come le opere precedenti, mantiene fede alle aspettative, rivelandosi un romanzo gradevole, ironico e denso di significati. Ma procediamo con ordine, partendo dalla trama.  

Siamo in un minuscolo villaggio finlandese, all’indomani della guerra. Un bel giorno, del tutto inaspettatamente, arriva al paesello Gunnar Huttunen: un uomo "senza passato" (per citare il titolo di un film del grande Aki Kaurismaki, che con Paasilinna ha non pochi punti in comune).
Il nuovo arrivato decide di comprare il vecchio mulino, da anni abbandonato. Questo personaggio, però, è parecchio stravagante: nei momenti di tristezza si mette ad ululare per ore ed ore, turbando i sonni della popolazione circostante. La pubblica autorità, che lo considera matto da legare, lo farà rinchiudere in una clinica psichiatrica. Ma Huttunen non accetterà supinamente questo verdetto: riuscirà ad evadere dalla struttura, con l’intento di far valere le proprie ragioni.
Ce la farà? Per scoprirlo, non vi resta altro da fare che leggere il libro.   

Nel dipanarsi della trama riscopriamo le classiche situazioni – comiche, stralunate, surreali - a cui l’autore ci ha abituato anche se, in questo caso, sono spesso ammantate da un velo opaco di tristezza.
È inevitabile, con lo scorrere delle pagine, che il lettore finisca per fare il tifo per il povero  Gunnar, vittima dell’intolleranza e dell’ottusità della gente.
L’umana follia, una volta tanto, viene trattata in maniera lieve ed originale: vengono lasciate da parte le valutazioni a carattere psichiatrico e si affronta il triste argomento del (pre)giudizio sociale che la popolazione del villaggio cova nei confronti del forestiero.
Il tema della diversità è affrontato con garbo e pudore; i personaggi e le situazioni si inseriscono alla perfezione in un contesto sociale eterogeneo, collocato in un ambiente naturale straordinario.


Consigliato a: coloro che amano la letteratura nordica, a chi apprezza il senso dell’umorismo capace di flirtare con la tragedia ed a chiunque adori le storie capaci di avvolgere il corpo ed il cuore del lettore come una calda coperta.


Voto: 7,5/10


mercoledì 22 agosto 2018

Adamsberg: la seconda trilogia

Buongiorno gente!
Non so cosa mi sia successo ma ultimamente sto leggendo un sacco di gialli e, in particolare, mi sono dedicata al recupero della seconda trilogia del commissario Adamsberg, scritta da Fred Vargas e pubblicata in Italia da Einaudi.

Ho letto la prima trilogia qualche anno fa, per una lettura condivisa e in ordine più o meno casuale. Il personaggio del commissario mi ha subito colpita, l'ho trovato simpatico e "stronzetto q.b.", mi è piaciuto molto anche quello del capitano Danglard, un pozzo di conoscenza letteralmente senza fondo, e ho immediatamente comprato il secondo volume, che comprende:  
Sotto i venti di Nettuno
Nei boschi eterni
Un luogo incerto
Il tomone è però rimasto qualche anno sugli scaffali, fino a che non ho finalmente sentito lo stimolo per tornare dal caro Jean Baptiste.
Ma andiamo con ordine...

Sotto i venti di Nettuno
La squadra si sta preparando per uno stage in Quebec, ma un articolo sul giornale fa accendere una lampadina d'allarme nella testa del commissario. Quello che ha letto riporta alla luce un ricordo legato al fratello e ad alcuni omicidi avvenuti anni prima. La faccenda si tramuterà in un'ossessione, per Adamsberg, il quale deciderà di non mollare la presa e dare la caccia ai suoi fantasmi finché non sarà riuscito a risolvere il caso.

Nei boschi eterni
Jean Baptiste si trova davanti ad un puzzle davvero strano: dovrà trovare un collegamento fra due cadaveri, delle tombe riaperte e dei cervi uccisi. Naturalmente non sarà facile, soprattutto perché nella squadra è arrivato un nuovo membro che sembra avere dei conti in sospeso col commissario, ma piano piano tutti i pezzi verranno messi al loro posto.

Un luogo incerto
Quest'avventura mi sembra paragonabile al gioco enigmistico "unisci i puntini per vedere che figura compare". Ciò che però dovrà essere unito sono delle vecchie scarpe trovate in Inghilterra, un omicidio avvenuto in Francia e una storia che ha radici abbastanza antiche da essere leggendarie.
Attenzione: può contenere scene abbastanza schifosette.

Che dire?
La seconda trilogia mi è piaciuta più della prima, perciò ora farò in modo di recuperare i volumi successivi. Il primo è stato quello con la trama che ho preferito, il secondo è stato quello più intricato, il terzo è quello che emotivamente colpisce di più. Insomma: ognuno ha il suo pro, il suo contro e il suo perché. E le pagine scorrono veloci... quindi non posso che consigliarli a tutti!


martedì 21 agosto 2018

Lamento di Portnoy, Philip Roth


Lamento di Portnoy è il romanzo che lanciò definitivamente Philip Roth e lo fece conoscere al grande pubblico, cambiando per sempre la storia della letteratura americana contemporanea.
Sesso ed ebraismo rappresentano una miscela potenzialmente esplosiva: mai come in questo caso le contraddizioni tra sessualità e religione, natura ed educazione, istinto e normalità vengono spiegate al pubblico in maniera dissacrante, realistica, spontanea.

Il protagonista, Alex Portnoy, nevrotico ed erotomane, racconta allo psicanalista la storia della sua vita. Assistiamo così ad un lungo monologo, impetuoso come un fiume in piena, in cui le pastoie delle radici ebraiche sono come lacci stringenti ed avvolgenti che impediscono la realizzazione di se stessi mentre la sessualità - esposta in maniera caustica, sboccata, sarcastica e scurrile - diventa lo strumento del protagonista per uscire da questo stato delle cose: quasi che il fatto di "penetrare" col proprio organo sessuale una donna non ebrea costituisse una sorta di passepartout per intrufolarsi nel suo ambiente sociale.

Si tratta di un romanzo che, all'epoca della sua uscita (seconda metà degli anni '60), creò scandalo e polemiche ma che oggi, a distanza di anni, possiamo apprezzare per l'umorismo sottile - quasi alla Woody Allen -, la potenza espositiva, la lucida invettiva e la fredda determinazione.
Roth è uno scrittore eccellente. Nell'arco della propria carriera ha trattato una serie di argomenti diversi, potenzialmente antitetici e conflittuali, riuscendo sempre a ricondurre ogni vicenda sotto il grande mantello dell'ebraismo. 
Con ironia e spirito di provocazione, capacità di analisi e senso di appartenenza, l'autore riesce ad esporre in maniera sincera e totale i sentimenti di inadeguatezza di un uomo che risulta in perenne conflitto: contro l'ambiente familiare rigido ed oppressivo, contro le proprie strampalate concezioni di amore e sentimento, contro il desiderio sessuale spasmodico ed eccessivo.... ma soprattutto contro se stesso.


Consigliato a: coloro che vogliono conoscere il primo Roth - irriverente, sarcastico, sboccato - ed a chiunque sia capace di apprezzare la grande letteratura intrisa di originalità e senso dell'ironia.


Voto: 7,5/10


lunedì 20 agosto 2018

Il sangue è randagio, James Ellroy



Il sangue è randagio rappresenta il terzo ed ultimo capitolo di una straordinaria trilogia – iniziata con America Tabloid e proseguita con Sei pezzi da mille - attraverso cui, facendo ricorso ad un’azzeccata commistione di fiction e eventi reali, James Ellroy è riuscito in un’impresa quasi impossibile: quella di raccontare la storia “underground” degli Stati Uniti tra il 1958 e il 1973, costituita da una serie di accadimenti strettamente connessi e fortemente condizionati dalla dilagante corruzione politica.
Questo romanzo, in particolare, si svolge negli anni compresi tra il 1968 e il 1973 e attraversa un periodo storico parecchio agitato, in cui assistiamo al conflitto del Vietnam, al dilagare del movimento Black Power ed alla morte di Hoover, conducendoci fino all’avvento del l'amministrazione Nixon.

Come nelle due opere precedenti, Ellroy sceglie di utilizzare il medesimo metodo narrativo, raccontando la vicenda dal punto di vista di tre diversi personaggi: in questo caso si tratta dell’ex poliziotto Wayne Tedrow Jr, dell’agente FBI Dwight Holly e del giovane detective privato Don Crutchfield.
La trama prende il via all’indomani degli omicidi di Martin Luther King e di Robert Kennedy. In quel momento, gli Stati Uniti paiono sull’orlo del collasso, con disordini e speculazioni politiche che scuotono vigorosamente le basi dell’ordinamento democratico tanto che il capo dell'FBI, J. Edgar Hoover, è pronto ad usare le maniere forti.
Holly, uomo di fiducia di Hoover, si occuperà di alimentare dissidi all’interno dei gruppi del potere nero; Tedrow lavorerà per il miliardario Drac-Howard Hughes alla costruzione di case da gioco in Centro America; Crutchfield, investigatore di basso livello, verrà coinvolto in vicende troppo grandi per lui.

Il sangue è randagio è un romanzo imponente, lungo quasi 900 pagine, in cui i fili della storia – reale o di fantasia - si intersecano e si avvinghiano ripetutamente, facendo emergere quello che è un vero e proprio "incubo americano": dalla morte di Kennedy in avanti, in sostanza, si giunse a suggellare quell’orrore protratto nel tempo che aveva già avuto inizio con la guerra vietnamita. Questo dramma senza fine rappresenta il logico punto di arrivo per una nazione come l'America, che è stata costruita su un substrato fatto di razzismo, di massacri e di schiavitù.
Nonostante sia lievemente inferiore – per equilibrio e compattezza – ai due romanzi che lo precedono, questo libro tiene desta l’attenzione e non molla la presa per un solo istante.  Con lo scorrere delle pagine, il lettore diventa l’inerme spettatore di una situazione difficile, in cui si verifica un progressivo indebolimento della struttura democratica, con l’esplicarsi di un’azione anti-comunista che arriva a giustificare praticamente ogni azione.
Crudo, spietato, violento, Il sangue è randagio è sorretto da una trama avvincente, che non risparmia nessuno e riesce a stimolare nel lettore le emozioni più disparate - paura, disgusto, indignazione - affidandosi a personaggi indimenticabili, capaci di ispirare allo stesso tempo simpatia e ripugnanza.


Consigliato: a tutti coloro che amano il Noir con la N maiuscola – duro, intenso, cattiiiiivo – ed a chiunque desideri assistere ad una rappresentazione fantasiosa ed ”alternativa” (ma per niente disprezzabile) della storia americana degli anni  a cavallo tra i sessanta ed i settanta.


Voto: 7,5/10



venerdì 17 agosto 2018

Il piccolo libraio di Archangelsk, di Georges Simenon


Come accade in gran parte dei romanzi di Simenon, viene narrata una vicenda che – seppur ambientata nel microcosmo di una piccola città francese – arriva presto ad assumere una valenza a carattere universale.
Il protagonista del romanzo è Jonas Milk, un libraio di origine russa, timido ed abitudinario. Ha sposato la giovane e trasgressiva Gina, bella ed esuberante compaesana che gli aveva precedentemente fatto da governante. Quando la donna, dopo essere uscita una sera, non fa ritorno a casa, Jonas si trova improvvisamente in difficoltà: di fronte alle domande dei concittadini comincia a mentire e si trova isolato da un mondo circostante crudele e beffardo, incapace di mostrare anche un solo briciolo di umana comprensione nei suoi confronti.

Abbiamo a che fare, indubbiamente, con un dramma della solitudine, disegnato in maniera esemplare dall’autore. La descrizione dei sentimenti di Jonas è intensa, incisiva e folgorante: capace di lasciare il segno anche nel lettore più disincantato. Simenon si conferma per l’ennesima un vero maestro nell'esplorare i lati più oscuri e segreti dell'animo umano, mostrando allo stesso tempo un’inarrivabile capacità nella caratterizzazione dei personaggi: piccoli esseri che, molto spesso, fanno trapelare tutta la loro inadeguatezza e meschinità.
Il finale, di grande impatto emotivo, è duro e lancinante come un colpo di baionetta e lascia sicuramente un poco di amaro in bocca: raramente è capitato di veder descritta in maniera così forte e realistica la disperazione di un essere umano.

A mio parere si tratta di uno dei migliori romanzi dell’autore belga. Supportato da una scrittura impeccabile, lucida e pregnante, descrive in maniera essenziale ed equilibrata la deriva di un piccolo (ma lo sarà per davvero?) uomo che si trova suo malgrado al di fuori del tempo e della storia.
Giudizio: imperdibile.


Consigliato a: coloro che amano i romanzi in grado di rendere psicologie ed atmosfere in maniera realistica e a chiunque voglia avvicinarsi ad una delle opere migliori di questo scrittore straordinario.


Voto: 8/10


giovedì 16 agosto 2018

A modo nostro, Chen He



Sellerio è sempre una sicurezza: la casa editrice siciliana, molto spesso, riesce a farci conoscere opere semisconosciute ma meritevoli di attenzione, scovandole nei quattro angoli del mondo. Anche stavolta, con questa nuova scoperta Made-in-Cina, riesce a centrare il bersaglio.
A modo nostro, oltre ad essere un’opera interessante e ben scritta, è il primo romanzo che riesce a raccontare in maniera realistica ed esaustiva il variegato universo dell’immigrazione cinese: un argomento di cui noi occidentali sappiamo poco o niente.

Il protagonista, Xie Qing, vive a Wenzhou – la città del sud della Cina da cui proviene la maggioranza dei cinesi che risiedono in Italia – e svolge l’attività di camionista per una società di trasporti. Quando l’ex moglie, che lo ha abbandonato diversi anni prima per trasferirsi a Parigi, muore in un tragico incidente stradale, si vede costretto a recarsi in Francia per il riconoscimento del corpo.
L’imprevisto viaggio all'estero costituirà per Xie Qing un’occasione più unica che rara per cambiare radicalmente la propria esistenza. Assisteremo così alla sua progressiva presa di coscienza ed al suo inserimento in un mondo radicalmente diverso da quello a cui era abituato. In parallelo, ripercorreremo la storia della donna e scopriremo a poco a poco i retroscena della sua scomparsa.

Utilizzando i classici stilemi del noir, Chen He riesce nell’intendo di raccontare le vicende di una cupola criminale in terra occidentale, in cui imperversano immoralità e corruzione. Allo stesso tempo, l’autore indirizza lo sguardo sulle comunità cinesi che vivono in Europa, raccontando le loro traversie, la loro inarrivabile capacità nel dedicarsi agli affari e il magmatico intreccio di contatti – sociali, politici, famigliari - da cui traggono linfa vitale.
Non tutte le parti del racconto, purtroppo, sono ugualmente interessanti: ogni tanto lo scrittore si dilunga eccessivamente nelle descrizioni, facendo perdere per qualche istante il filo della narrazione. Al di là di tutto, riesce comunque a costruire un notevole equilibrio tra lirismo e fattualità, facendo coesistere avventura e tragedia.
È apprezzabile il retrogusto un po’ amaro, profondamente malinconico, che come una patina sottile ricopre l’intera vicenda: una sensazione di accettazione del destino che accomuna tra loro diversi personaggi del romanzo.


Consigliato a: coloro che amano i libri che sanno essere allo stesso tempo lirici e realistici ed a chiunque intenda approfondire la conoscenza delle vicende delle comunità cinesi in Europa.  


Voto: 7/10



mercoledì 15 agosto 2018

Bibliofurgone #6

Buongiorno gente!
Eccoci tornati con le letture in prestito.


La mappa dei passaggi
Terzo libro della serie della Bottega Battibaleno scritta da Baccalario e di nuovo il mio pensiero vacilla. Continua l'estate e il protagonista è ancora alle prese con alcuni problemi legati alla Bottega: alla morte di un'anziana del paese il Piccolo Popolo si arrabbia moltissimo e questo porta a galla alcuni segreti. Ovviamente toccherà a Finley & co. sistemare le cose.
La scrittura è abbastanza scorrevole, la storia è pure carina, ma quest'avventura non mi ha del tutto convinta.

La bellezza del segno
Francesca Biasetton ci propone un saggio sulla bellezza e l'importanza della della scrittura a mano. Presenta i vari attrezzi del mestiere accompagnandoli con delle illustrazioni e ci ricorda quante ore di allenamento siano necessarie per raggiungere un buon livello.
Nel complesso è un libro interessante, tuttavia l'ho trovato un pochino ripetitivo e "pressante" in alcuni punti.


Per oggi ho terminato, vi rimando alla prossima.

martedì 14 agosto 2018

La verità e altre bugie, Sascha Arango


Ho acquistato questo romanzo seguendo il consiglio di Antonio D’Orrico che, sulle pagine del Corriere della Sera, l’ha dipinto come ”il miglior esordio della stagione”. Mi permetto di dissentire… 
Premetto che l’attività di “stroncatore folle”, che si arma di mannaia e fa a pezzi e maciulla qualsiasi libro che gli risulti un po’ ostile, non rientra nelle mie corde. Il romanzo di Arango, però, ha risvegliato in me istinti ancestrali, che mi hanno portato ad odiare quest’opera in maniera indefessa ed assoluta.
Sascha Arango, dalle notizie reperite in rete, è un celebre sceneggiatore tedesco (di padre Colombiano), vincitore di numerosi premi per alcune rinomate serie TV (Tatort ad esempio). Il suo esordio letterario, però, fa sorgere nel lettore parecchi punti interrogativi.
Ma andiamo per ordine, partendo dalla trama.

Il protagonista, Henry Hayden, è un celebre e ricco scrittore, i cui libri vengo stampati in milioni di copie. In realtà lui non ha mai scritto un tubo: è la mogliettina che di notte si mette alla macchina da scrivere e crea di getto pagine e pagine, in un flusso ininterrotto, che si trasformano in meravigliosi romanzi.
Il nostro Henry, però, ha il grave difetto di non riuscire a tenere chiusa la patta dei calzoni… e così mette incinta Betty, la sua editor. Decide allora di sbarazzarsi di lei: tampona l’autovettura della donna facendola precipitare in un burrone.  Peccato che Betty avesse scambiato la macchina con la signora Hayden. Quindi, il nostro caro Henry si trasforma, senza volerlo, nell’assassino della propria consorte.
Raccontata così la trama sembra piuttosto ridicola; ma vi garantisco che la lettura del romanzo la fa diventare ancora peggiore.

Certo, sarebbe troppo scomodare Patricia Highsmith ed il suo “talentuoso” Mister Ripley. Hayden, infatti, più che un genio del crimine pare un epigono dell’esimio Rag. Fantozzi Ugo. Commette errori banali, lasciando dietro di sé tracce più grandi di quelle di un elefante: nella vita reale, con ogni probabilità, sarebbe stato arrestato nel giro di poche ore. In un gustosissimo capitolo, capolavoro di comicità involontaria, arriva quasi a trafiggersi da solo con una fiocina mentre dà la caccia ad una martora nascosta in soffitta.
In sostanza, più che un genio del male il nostro scrittore-uxoricida sembra (se mi permettete un “francesismo”) un pirla da competizione.
Per il resto, Arango tende ad esagerare con i colpi di scena: sono come una manciata di prezzemolo che scarica qua e là, all’interno della trama, facendo crescere l’irritazione dell’inerme lettore (che deve subire cotanta tracotanza). Nell’arco di appena 250 pagine, fa succedere di tutto ed il contrario di tutto, con l’intento di stupire, ma dimostrando solamente spocchia e superbia.
Ogni tanto il buon Sascha arriva addirittura ad elevare se stesso al di sopra della vicenda, quasi fosse una sorta di “deus-ex-machina” che tutto può: abbondano i “come vedremo più avanti” e altre chicche simili, che poteva anche risparmiarci.
I personaggi di contorno sono poco credibili e per nulla coerenti. Ognuno di loro pare avere delle evidenti tare cerebrali, visto che agisce in maniera del tutto scriteriata e poco credibile.
La scrittura appare più adatta ad una serie televisiva che ad un’opera letteraria. Non sorgono dubbi sul fatto che si tratti di un romanzo redatto appositamente per essere portato sullo schermo, grande o piccolo che sia: l’abbondanza di dialoghi (spesso insulsi), la scrittura rapida e la scenografia ridotta all’osso contribuiscono ad allontanare il libro dal territorio della letteratura per farlo addentrare nelle sabbie mobili della mera operazione commerciale.   
In conclusione, ci si può porre un unico quesito: sentivamo proprio il bisogno di un romanzo simile? Era davvero necessario donare al pubblico dei lettori questa folle accozzaglia di irritanti colpi di scena, al cui confronto l'Harry Quebert di Joel Dicker pare un capolavoro della storia della letteratura?
Secondo il mio modestissimo parere… no!


Consigliato a: ehm... è meglio che stia zitto.


Voto: 2/10


lunedì 13 agosto 2018

Autunno tedesco, Stig Dagerman



Nel 1946, all’indomani della disfatta tedesca, furono numerosi i cronisti giunti in Germania per raccontare ciò che restava del Terzo Reich. Tra di loro si distinse uno scrittore svedese ventitreenne, dotato di grande sensibilità e di un eccellente spirito di osservazione. Era stato inviato dal quotidiano "Expressen" per realizzare una serie di articoli; Stig Dagerman era il suo nome…
Autunno tedesco, per l’appunto, è la raccolta dei reportage attraverso cui il giovane autore cercò di raccontare la disastrata Germania del dopoguerra.

Lo scrittore/giornalista rimase in terra teutonica per un paio di mesi, facendo poi ritorno in patria: il distacco – come scrive nel libro – gli era necessario per poter riflettere senza assuefarsi alla tragica sequenza di macerie e di individui sofferenti.
Durante il suo percorso, si trovò al cospetto di città distrutte, viaggiando su treni gremiti di senzatetto, osservando da vicino cantine fradicie dove vivevano masse di persone affamate. Il quadro d’insieme che emerge da queste pagine è davvero toccante e spinge il lettore a porsi numerosi interrogativi: primo fra tutti, come potesse il mondo assistere a questo proliferare di disperazione – fatto di anime disperate, piazze distrutte, scuole cadenti - mentre le potenze straniere pensavano unicamente a preparare il grande processo ai criminali di guerra. 

"Hanno conquistato il mondo a diciotto anni, e a ventidue hanno perso tutto”: in queste poche parole può essere condensata la storia di un popolo come quello tedesco, che si ritrovò improvvisamente ammalato di inflazione, di disoccupazione, di miseria oltreché dei rigurgiti di un hitlerismo mai sopito. 
La scrittura è scorrevole ed allo stesso tempo lirica. Fotografie di dolore e distruzione, sguardi limpidi e sinceri su una situazione desolante, assenza di speranza nel futuro: questi sono i cardini di un libro notevole, che ci racconta senza ipocrisie le conseguenze della guerra e lo sconforto di due generazioni perdute. Un libro memorabile, che va sicuramente annoverato tra i classici come quello di John Reed sulla Russia.


Consigliato a: coloro che amano la storia, raccontata con la testa e con il cuore, in questo caso filtrata attraverso lo sguardo attento e disilluso di uno scrittore capace di andare al di là dei luoghi comuni e delle convenzioni.


Voto: 7,5/10 




venerdì 10 agosto 2018

Dove siamo arrivati... #9 - Mely

Buongiorno gente!
Questo è il mio primo post dopo le vacanze e confesso che, per vari motivi, non è stato semplice scegliere i libri di cui parlarvi: tutte le letture di luglio? solo quelle pre-vacanze? metà e metà?
Alla fine, però, ho pensato di rimandare a più avanti alcuni titoli che fanno parte di trilogie che ho intenzione (pubblicazioni permettendo) di terminare entro l'anno.
Quindi, dopo questa lunga premessa di cui non frega niente a nessuno, passiamo al succo della questione.


Liberiamoci subito dei due ragazzotti che non ho terminato:
Il primo è Smile (Gio ne ha parlato QUI), in cui un uomo incontra un ex compagno di scuola e insieme parlano di alcune faccende spiacevoli avvenute all'epoca. Non avendo mai letto nulla dell'autore ho voluto provare da questo breve romanzo, ma devo dire che non è andata bene: ha una scrittura che non fa er me, troppo noioso per i miei gusti, non mi invogliava a proseguire. Quindi ho preferito chiudere ed archiviare.
Il secondo invece è La parte dell'altro, di Schmitt... un autore che fino ad ora ho sempre amato, ma che questa volta ha tirato in ballo un personaggio che mi urtava i nervi in un modo assurdo e quindi ho deciso rimandarne a lettura a tempi futuri. Chi è costui? Adolf Hitler.

Passiamo ora a due gialli (luglio è stato il mese dei gialli, sono sbalordita) e vi parlo subito di Ogni coincidenza ha un'anima, il seguito di La lettrice scomparsa. Ritroviamo Vince Corso alle prese con un nuovo caso, se così si può definire, per il quale s'imbarcherà in una sorta di caccia al tesoro alla ricerca di un libro. Devo dire che come trama mi è piaciuta molto più del precedente, forse perché amo quando ci sono indizi che portano a altri indizi e altre cose da scoprire - in particolare se riguardano i libri, invece ho trovato più difficoltà per la lettura: non so se è dovuto al periodo sbagliato o ad alcuni elementi della storia, che ho trovato superflui e "allungabrodo". In generale, comunque, è una lettura che consiglio se avete già apprezzato il libro precedente.
Poi ho letto - anzi, divorato - Il killer delle maratone. Si tratta del terzo volume della serie di Igor Attila e della squadra che si occupa di Crimini Sportivi e... WOW!!! Fino ad ora è sicuramente quello che ho preferito. La squadra si trova a dover indagare su un probabile serial killer che però sembra scegliere le sue vittime in maniera totalmente casuale. Tra un mainagioia e l'altro, Attila riuscirà ovviamente ad acciuffare il colpevole. Che dire? Se non si è capito, mi è piaciuto al punto che ho subito comprato i due volumi successivi e prossimamente acquisterò anche l'ultimo uscito.

Chiudo il post di oggi parlandovi di una sorta di saggio sulla storia delle copertine dei libri, ovvero Letteratura in copertina. In realtà è più una raccolta di interventi relativi al tema e parla sia delle cover in generale, dalle riviste ai libri sia delle scelte di alcune case editrici in particolare, come Adelphi, Sellerio ed Einaudi. L'ho trovato interessante, sì, ma anche in parte ripetitivo: avrei preferito un'impostazione diversa. Lo consiglio solo se veramente interessati al tema e lo trovate ad un prezzo ridotto, poiché non ritengo che valga i 24.00 euro di copertina...


Per oggi è tutto, grazie e alla prossima!

giovedì 9 agosto 2018

L’impeccabile, Keigo Higashino


Dopo il notevole Il sospettato X, questo è il secondo romanzo di Higashino imperniato sul personaggio di Manabu Yukawa, meglio conosciuto come Detective Galileo. Purtroppo siamo parecchio al di sotto dell’opera che ha inaugurato la serie: la trama, in questo caso, appare un po’ tirata per i capelli ed i colpi di scena sono un tantinello forzati. Al di là di tutto, speriamo che si tratti di un incidente di percorso ed auspichiamo che gli editori italiani si decidano a tradurre le opere mancanti della serie (in Giappone è ormai giunta al quarto episodio) per poter proseguire la conoscenza di questo originale e intrigante personaggio. Ma partiamo dal plot…

Il manager Yoshitaka, che sta per lasciare la moglie a favore dell’amante, viene avvelenato con un caffè corretto con l'arsenico. I sospetti, come prevedibile, ricadono sulla neo vedova Ayane, che però ha un alibi a prova di bomba: al momento del delitto si trovava in visita dai genitori, a parecchie centinaia di chilometri di distanza. Mentre il detective Kusanagi, incaricato delle indagini, subisce il fascino della sospettata e fatica a credere che la donna possa essere colpevole, la sua assistente è talmente convinta del contrario da chiedere l’intervento del geniale Professor Yukawa.

Come prevedibile, si tratta di una vicenda fortemente pervasa dallo spirito nipponico. Lo svolgimento della trama procede un po’ come per i telefilm del Tenente Colombo: appare chiaro sin da subito chi sia l’assassino ed i colpi di scena sono intimamente connessi alle modalità con cui l’investigatore proverà a mettere alle corde il sospettato/colpevole.
Al di là dei difetti rilevati, la trama è elegante e ben articolata: un caso in apparenza semplice si rivelerà invece una sorta di “gioco di specchi”, in cui la scoperta di nuovi gli indizi renderà il tutto assurdamente complesso ed indecifrabile.


Consigliato a: chi ama il giallo classico, con una buona descrizione dei personaggi, immerso in un’atmosfera straniante ed ipnotica come quella del Giappone contemporaneo ed a chiunque voglia fare la conoscenza di un autore che al suo paese è una sorta di superstar, in grado di vendere milioni di copie.


Voto: 6,5/10



mercoledì 8 agosto 2018

I fratelli Ashkenazi, Israel J. Singer


Israel J. Singer è probabilmente l'ultimo vero autore "classico" della letteratura ebraica del novecento.
I fratelli Ashkenazi - romanzo fiume di oltre 600 pagine - è allo stesso tempo una grande saga familiare ed un eccellente romanzo storico. L'ascesa e la caduta di una famiglia borghese, di origine ebraica, è raccontata con passione e  partecipazione emotiva attraverso le vicende di due fratelli gemelli: Simcha Meyer e Jacob Bunim. Due fratelli che non potrebbero essere più diversi tra loro...

Il maggiore è ambizioso, intelligente, astuto e calcolatore, pronto a conquistare il mondo. Il secondogenito, invece, è una persona semplice, schietta, ma allo stesso forte e sempre disponibile ad aiutare il prossimo.
E così, lungo il fluire degli anni, la loro vicenda si dipana inarrestabile, allontanandosi ogni tanto dalla via principale e incuneandosi in stradine secondarie (i personaggi di contorno sono numerosi), ma tornando prima o poi sul tragitto originario.
Sullo sfondo, la storia, vista in una duplice accezione. La storia del Novecento, concentrata nel microcosmo della città di Lodz, in cui si susseguono sviluppo industriale e movimenti sociali, pogrom ebraici e dominio imperiale, venti rivoluzionari e invasione russa.
Ma anche la storia della gente ebraica: un popolo sempre al centro di due fuochi incrociati, ma dotato di un innato istinto di sopravvivenza, che può costringere addirittura a rinunciare a valori importanti come l'onore (considerato una vanità dei popoli cosiddetti "gentili") pur di riuscire a portare in salvo la pelle.

Nonostante la lunghezza, la narrazione non ha un attimo di cedimento: è fluida, intensa, poetica e riesce ad afferrare il lettore senza mai abbandonarlo, trasportandolo - mente e cuore - in un'epoca distante nel tempo ma i cui segni sono ncora chiaramente visibili ai giorni nostri.


Consigliato a: coloro che amano le grandi saghe famigliari ed a chiunque sia in grado di apprezzare le vicende di un popolo unico, capace di mantenersi vivo nonostante le vessazioni, come quello ebraico.


Voto: 8/10 


martedì 7 agosto 2018

La vita davanti a sé, Romain Gary


“Bisogna voler bene”.
Con questa frase, semplice ma allo stesso tempo emblematica, si chiude l’emozionante romanzo di Romain Gary, meritato vincitore di un Goncourt. Sì, perché il messaggio contenuto in questo libro è chiarissimo: è l’amore il vero filo conduttore delle umane vicende, un amore universale, intenso, totale, capace di superare ogni barriera di età, di razza e di religione e di andare addirittura al di là dei legami di sangue.

Il piccolo Mohammed (ma da tutti conosciuto come Momò), di chiara origine araba, racconta in prima persona la sua vita di orfano, che si svolge in un fatiscente fabbricato ubicato in un quartiere periferico di Parigi: una vita originale e a suo modo straordinaria, perché arricchita dal calore della gente che lo circonda, lontana anni luce dal modello standardizzato degli individui cosiddetti "normali".
Il ragazzino cresce libero e sfrontato, col suo carattere disincantato ed irriverente, allevato dalle amorevoli cure di Madame Rosa, un’anziana prostituta alla quale era stato affidato tanto tempo prima insieme ad altri bambini "abbandonati". Le sue giornate si svolgono all’interno di un territorio in cui la legge spesso non è in grado di arrivare: un crocicchio di vecchie e luride strade in cui la gente vive di traffici illeciti ed espedienti ma, allo stesso tempo, è capace di donare aiuto come solo nella più cupa miseria può accadere. 

L’ambientazione del romanzo è straordinaria: le tristemente famose “banlieues” parigine fanno da scenografia al racconto imperniato sul controverso rapporto fra Momò e Madame Rosa. I temi trattati nell’arco delle 200 pagine del romanzo sono svariati ma comunque di straordinaria importanza: la convivenza fra arabi ed ebrei, la solidarietà fra gli emarginati, il rapporto fra giovani ed anziani.
La Parigi dei quartieri popolari, ricca di umanità ma provata da un lungo dopoguerra, con i suoi personaggi pittoreschi e le sue speranze confuse, viene filtrata attraverso lo sguardo di un ragazzino inquieto e sensibile, che si autodefinisce "filosofo”. Si tratta quindi di un vero e proprio romanzo di formazione, che segue le vicende di un personaggio unico nel suo genere, costretto ad imparare al più presto il modo per cavarsela.

Le similitudini con Il giovane Holden sono evidenti: ritroviamo la stessa immediatezza e spontaneità, lo stesso linguaggio semplice e spensierato. Al posto della rabbia di Holden, però, Momò si fa ricordare per l'atteggiamento fiducioso ed ottimista nei confronti di un’esistenza che, seppur dura e difficile, è illuminata dalla luce incandescente dell'amore verso il prossimo.
La vita davanti a sé è quindi un libro emozionante, delicato ed al tempo stesso commovente, semplice ma pieno di ironia, che va diritto al cuore del lettore ed aiuta a riflettere sulle umane quotidiane tragedie. 


Consigliato a: coloro che desiderano leggere un libro destinato a rimanere nella memoria, che rappresenta un emozionante inno all'amore, all'amicizia ed ai sentimenti più autentici e veri.


Voto: 8/10


lunedì 6 agosto 2018

Uno scià alla corte d’Europa, Kader Abdolah



Confesso che, prima di leggere questo romanzo, non conoscevo affatto Kader Abdolah. Devo dichiarare, al proposito, un pubblico mea culpa, visto che si tratta di un fior fior di narratore capace di coniugare due diverse culture: quella originaria dell'Iran e quella "adottiva" dei Paesi Bassi.
In quest'opera, originale ed avvincente, l’autore ci racconta la storia di un lungo viaggio, pieno di incontri-traversie-avvenimenti, che sa rivelarsi estremamente attuale nonostante l’ambientazione collocata nell’Europa di fine Ottocento.

Il narratore della vicenda è Seyed Jamal: un docente universitario che ha molti punti in comune con lo stesso Abdolah (visto che come lui vive in esilio ed insegna in un ateneo olandese). Dopo aver rinvenuto il diario di viaggio di uno scià che, verso la fine dell’Ottocento, intraprese un Grand Tour alla scoperta dell'Europa, decide di ripercorrerne le vicende. Si dedica quindi alla stesura di un libro in cui eventi storici e forza dell’immaginazione arrivano a coesistere senza soluzione di continuità.   
Dopo aver lasciato la Persia, accompagnato da uno stuolo di principi, servitori e mogli, lo scià si dovrà confrontare con il frenetico progresso, che cambierà per sempre il mondo a cui era abituato. Nel suo lungo girovagare nel vecchio continente incontrerà lo Zar e la Regina Vittoria, attraverserà la Germania di Bismarck e la Francia Repubblicana, farà la conoscenza di Tolstoj, del padre di Stalin e di Monet, testerà l'aspirina e comprenderà la portata rivoluzionaria della catena di montaggio.

Si tratta di un libro scorrevole e ricco di curiosità, che riesce a porre al lettore impellenti interrogativi: di tanto in tanto si viene brutalmente ricondotti alla realtà dal narratore Seyed, il cui compito è quello di evidenziare le profonde divergenze tra il diciannovesimo secolo e l’epoca contemporanea.
In particolare, la sensazione di disorientamento del sovrano di fronte ad un mondo in perenne trasformazione ha molto in comune con lo sbigottimento di Seyed per l’attuale crisi Europea: lungo lo stesso percorso dello scià si stanno infatti muovendo intere legioni di profughi, che contribuiscono ad avvicinare sempre più il futuro di Oriente e Occidente.


Consigliato a: coloro che sono alla ricerca di una lettura che sia allo stesso tempo avvincente ed intelligente ed a chiunque abbia voglia di lanciare uno sguardo sull’Europa di ieri e di oggi: due contesti diversi ma su cui spira un inarrestabile vento di cambiamento.  


Voto: 8/10