sabato 29 settembre 2018

L’ombra, Roger Hobbs



L’ombra è stato il romanzo di esordio di Roger Hobbs: un giovane autore morto prematuramente a causa di un overdose all’età di appena ventotto anni.
Il povero Hobbs – all’epoca – aveva appena ventidue anni: e questa immaturità emerge costantemente con lo scorrere delle pagine. Come debutto, sicuramente, non è male… ma visto il battage pubblicitario che ha fatto seguito alla pubblicazione (con conseguente vendita di diritti per la trasposizione cinematografica) ci si aspettava qualcosina di più.
Ma, come al solito, partiamo da un rapido sunto della trama.
  
Chi è “L’ombra”? È un uomo privo di identità, il cui mestiere consiste nel bonificare le scene dei crimini per poi dileguarsi senza lasciare la minima traccia del suo passaggio. Il suo nome – ma sarà quello vero? – è Jack Delton. Si tratta di un professionista meticoloso e paranoico, una sorta di “Kaiser Soze” (per chi ha visto I soliti sospetti) che ha fatto della segretezza il suo stile di vita tanto da far dubitare persino della sua esistenza. Stavolta, però, si ritrova intrappolato in una storia complicata e piena di interrogativi. Con l'FBI alle calcagna e con qualcuno (non diciamo chi, per non spoilerare troppo) che vuole cogliere la palla al balzo per chiudere vecchie pendenze, Jack si troverà per la prima volta in seria difficoltà. A questo punto dovrà decidere se giocare la partita fino in fondo oppure eclissarsi, per sparire una volta per tutte.

Hobbs sembra(va) avere una vasta cultura cinematografica piuttosto che libraria. Ha spigolato qua e là da varie pellicole di successo (Entrapment, Topkapi, Il cacciatore, Mission Impossible e via dicendo) ed ha cacciato tutto nel frullatore. Ne è uscito questo distillato, rapido, saettante ed a tratti persino avvincente… ma del tutto sprovvisto di anima.
I personaggi sono impalpabili e poco credibili; il protagonista è descritto in maniera talmente superficiale da sfiorare l’umorismo volontario.
Alla fine, più che un romanzo di genere, pare di essere al cospetto di un B-Movie degli anni Settanta, piuttosto banale, raffazzonato e del tutto improbabile. Niente di nuovo sul fronte del thriller… purtroppo.
Rimane al di là di tutto il bel ritmo impresso alla storia, restituito alla perfezione da uno dei migliori traduttori italiani: il grande Alfredo Colitto. Ma è troppo poco per fare di L’ombra un romanzo memorabile, che vada al di là della flebile letturina da ombrellone.


Consigliato a: coloro che amano i thriller rapidi e scorrevoli e non si degnano troppo della verosimiglianza ed a chiunque voglia trascorrere qualche ora dedicandosi ad una lettura scorrevole che non impegni troppo le meningi.


Voto: 6-/10



giovedì 27 settembre 2018

La banda dei brocchi, Jonathan Coe


Era il 2015 e La banda dei brocchi segnò il mio primo incontro con Jonathan Coe. Al termine della lettura, ricordo, dovetti recitare il mea culpa: aver tralasciato per troppo tempo un autore così valido ed originale era stata sicuramente una mia gravissima mancanza.
Si tratta di un romanzo davvero notevole, destinato a rimanere nella memoria. Le vicende di Benjamin Trotter e del suo nutrito gruppo di amici, che trascorrono il periodo dell’adolescenza nel liceo King William di Birmingham, vengono narrate con uno stile meraviglioso, in cui ironia e nostalgia si fondono alla perfezione.

Siamo negli anni settanta e la Storia (con la S maiuscola), che emerge prepotentemente sullo sfondo, contamina e condiziona ad ogni singolo passo le vicende dei protagonisti, segnando profondamente le loro esistenze. Gli attentati dinamitardi dell'IRA, le aspre e sanguinose lotte sindacali, l’azione dei governi laburisti che hanno preceduto la “lady di ferro” Margaret Thatcher e la  musica, contraddistinta dall’avvento del punk, formano la cornice entro cui Trotter ed i suoi amici Chase, Anderton e Harding si muovono con cadenza a volte decisa, a volte titubante. 
L’ambientazione e la contestualizzazione storica delle vicende è davvero ben riuscita. I personaggi sono numerosi, ma non è per niente difficile ricordarli tutti visto che Coe li suddivide per nuclei familiari, dei quali è abilissimo a tratteggiare ed approfondire sentimenti e abitudini, con una ricorrente e piacevole nota humor.

Coe non cerca assolutamente “il colpo ad effetto”, tutt’altro. Predilige invece la riflessione, concentrandosi sulla descrizione della realtà quotidiana, tranquilla ed ordinaria, ma segnata da eventi che possono ricorrere in ogni personale esperienza.
La nostalgia, alla fine, sembra prevalere su qualsiasi intento critico, lasciandoci un romanzo godibile e sincero; un'opera che racconta un mondo in perenne cambiamento attraverso un riuscito spaccato della Gran Bretagna degli anni settanta.
N.B. Le vicende di Benjamin & C. proseguono in Circolo chiuso.



Consigliato a: coloro che amano i romanzi che riescono a coniugare vicende famigliari ed umorismo, storia e riflessione, ed a chiunque apprezzi i libri nostalgici capaci di restituire il ritratto di un'epoca con acume ed ironia.


Voto: 7,5/10


mercoledì 26 settembre 2018

I quattro fiumi, F. Vargas

Buongiorno a tutti.
Ormai sapete che quest'anno sto recuperando un sacco di gialli, pur non amando particolarmente il genere, e nello specifico apprezzo la Vargas: i suoi libri mi intrippano, le sue storie hanno "chiavi di risoluzione" che mi piacciono un sacco, adoro i personaggi e il suo stile di scrittura diretto e limitato a dire l'indispensabile.
Per questo motivo, unito al fatto che gradisco anche le graphic novel, ho voluto recuperare I quattro fiumi.
Ad essere onesta, però, non mi è piaciuta in tutte le sue parti


Tralasciando il fatto che alcuni dettagli della trama sono praticamente spoilerati nella quarta di copertina (e un giorno i signori dell'Einaudi ci spiegheranno per quale motivo), vediamo un attimo di cosa parla questo testo.

La storia è quella di un ragazzino che vive in una situazione particolare: la madre ha abbandonato la famiglia dicendo che, tra tutti i figli, uno solo è quello del marito. Così il ragazzo vive con il padre e i fratelli in una casa vicino alla discarica e tirano avanti un po' come si riesce. Uno coltiva la terra, l'altro cerca di essere assunto come attore, il "fratello perbene" lavora in banca, il padre costruisce statue... e lui se la cava con qualche furtarello.  Ed è da lì che arrivano i suoi guai. Dopo aver fatto un colpo con un amico, le cose non vanno propriamente come previsto: l'oggetto rubato riserva sorprese un pochino inquietanti e il suo "collega" viene ritrovato ucciso.
Il resto, poi, procede più o meno come sempre procedono i romanzi della Vargas quando entra in gioco Jean Baptiste.

Ora veniamo a noi e partiamo dalle critiche a livello grafico - che ovviamente sono pensieri totalmente soggettivi.
Il tratto dei disegni non mi è piaciuto per niente: sembrano schizzi fatti a carboncino, troppo scuri e con contorni non ben definiti. Personalmente preferisco linee più sottili, figure più chiare e tratti più netti, soprattutto se le vignette sono in bianco e nero.
Per dire, in certe parti non riuscivo nemmeno a capire cosa stavo guardando...!
E poi le facce dei personaggi hanno dei lineamenti veramente brutti. Danglard, ad esempio, sembra persino più scombinato di quanto descritto nei romanzi!!! Lì per lì l'avevo scambiato per un malvivente o qualcosa del genere, solo dopo ho capito che era lui.

Io un paio di  tavole ve le metto, 
però non mi assumo responsabilità per eventuali incubi! 😜
Passando alle parti narrate, devo dire che sembrano scritte più per un testo teatrale che per una graphic novel. Non che nei libri ci si perda in descrizioni, il che è un bene perché - come più o meno davo ad intendere prima - è uno degli elementi che mi piacciono dello stile della Vargas, ma qui arriviamo proprio alla secchezza pura.
Il giudizio si ribalta totalmente parlando dei personaggi, che sono ben caratterizzati. In particolare mi è piaciuto tantissimo il fatto che il padre cresca i figli tutti allo stesso modo, senza voler sapere se davvero solo uno di loro è suo ed eventualmente quale. Quest'uomo dovrebbe essere un esempio per tutti.
A proposito di lui, più o meno, aggiungo che sarebbe stato bello vedere a fine volume un disegno a colori del suo lavoro portato a termine.


E la storia, invece?
Ecco.
Qui arriva il difficile, perché la storia tutto sommato è carina. I colpi di scena e i "collegamenti alla Adamsberg" non mancano, la trama è bella... però il modo in cui viene trattata è un po' spiccio, approssimativo e a tratti un pelino prevedibile.
Perciò in definitiva non so bene cosa dire: l'idea di fondo mi è piaciuta moltissimo, ma la narrazione non è al livello dei romanzi e mi aspettavo qualcosa di più nello sviluppo.

Dopo questo piccolo inciampo smetterò di leggere la Vargas?
Ovviamente no!

martedì 25 settembre 2018

Il maledetto United, David Peace


Brian Clough è ricordato come uno dei più grandi allenatori del calcio inglese. Dopo un gravissimo infortunio, intraprese la carriera di “Mister” ed ottenne notevoli successi col Derby County: una squadra di seconda serie che condusse, nell’arco di due soli stagioni, dapprima alla promozione e poi alla conquista del titolo.
Terminata l’esperienza al Derby, ricevette l’offerta di sostituire Don Revie – diventato nel frattempo CT della Nazionale – sulla panchina di una delle squadre più difficili della Premier: il Leeds United, neo campione d’Inghilterra.
Nonostante sapesse alla perfezione a cosa andava incontro, Brian accettò l'incarico: da quel momento cominciò per lui una vera e propria odissea. Un’avventura cominciata male e terminata peggio, che si consumò nell’arco di appena 44 giorni.

L’intima convinzione di Clough era quella  di riuscire a trasformare il Leeds – noto per l’indole agonistica non troppo ortodossa - in un'equipe vincente ma allo stesso tempo corretta. Purtroppo, il nuovo allenatore si ritrovò alle prese con giocatori superbi, ostili, estremamente aggressivi.
Questo romanzo ripercorre, passo dopo passo, la cronaca del brevissimo periodo in cui il più carismatico allenatore inglese rimase al timone del Maledetto United. Assistiamo così alle peripezie di un uomo orgoglioso quanto geniale che si trovò, di punto in bianco, catapultato in una situazione ingestibile che lo costrinse a venire a patti con le proprie paure, preoccupazioni e idiosincrasie.

Il maledetto United è probabilmente uno dei più bei romanzi mai scritti sul mondo del calcio. Le ansie quotidiane di un allenatore, impegnato in una lotta senza esclusioni di colpi con una squadra che odia (ricambiato in maniera esponenziale), sono descritte in maniera vivace ed appassionante. Attraverso continui rimandi tra il presente-Leeds e il passato-Derby, il libro ricostruisce meticolosamente la storia di un uomo che si trova a fare i conti con un ambiente ostile, emblema di un calcio assurdo e spregiudicato. 
La scrittura è rapida, tranciante come un proiettile, senza un attimo di rilassamento: d'altra parte Peace - autore del celebrato Red Riding Quartet - sa benissimo come si prende il lettore all'amo senza mai abbandonarlo.
Si tratta di un’opera imperdibile per tutti gli appassionati del gioco del pallone ma che, allo stesso tempo, può essere apprezzata anche dai profani in materia, incuriositi da ciò che si agita dietro le quinte dell'affascinante football d’oltremanica.


Consigliato a: tutti gli amanti del gioco del calcio ma anche - e soprattutto - a chiunque cerchi storie vere che esprimano fino in fondo pathos, rabbia ed energia.


Voto: 7,5/10


lunedì 24 settembre 2018

Il lungo addio, Raymond Chandler





Romanzo chiave dell’hard-boiled, Il lungo addio è al tempo stesso un classico del genere ed un’opera struggente, capace di suscitare ancora oggi emozioni profonde. Portato sullo schermo da Robert Altman nei primi anni settanta, mantiene intatta - a distanza di decenni - la sua forza attrattiva e la sua capacità di persuasione su nuove generazioni di lettori, che ancora oggi si lasciano catturare dalla prosa magnetica ed inarrivabile dell'autore.   
Il disincanto di Marlowe, la sua ironia, il suo coraggio ed il suo sguardo alla società che gli sta attorno, d'altra parte, sono noti a chiunque si diletti di narrativa giallo/noir: si tratta di elementi fondamentali per l'evoluzione del racconto che, negli anni a venire, influenzeranno intere legioni di emulatori.

Philip Marlowe, il detective privato creato da Raymond Chandler, incontra per la prima volta Terry Lennox - completamente ubriaco - di fronte alla terrazza del “Dancers”, senza rendersi conto di quale influenza avrà sulla sua vita. Questo è solo l’inizio di un’amicizia virile ma affettuosa, che si svilupperà nei mesi a venire.
Terry, qualche tempo dopo, si presenterà a casa di Marlowe chiedendogli di accompagnarlo a Tijuana, in Messico. Il detective, come richiesto, lo condurrà oltre confine; al ritorno, però, verrà brutalmente interrogato dalla polizia ed arrestato con un accusa gravissima: quella di aver aiutato un omicida a scappare. La moglie di Lennox, infatti, è stata uccisa brutalmente e gli indizi puntano tutti nella direzione del maritino in fuga.

La trama è piuttosto intricata e presenta personaggi tipici dell’hard-boiled, che vengono caratterizzati con grande maestria: non mancano di certo la classica femme fatale, il gangster spietato ed i poliziotti antagonisti. A far da sfondo all’indagine, le colline hollywoodiane popolate da riccastri viziosi ed annoiati, esponenti di una società corrotta in cui il denaro rappresenta l’unico valore degno di nota. Ma la grandezza del romanzo è insita, soprattutto, nel personaggio di Philip Marlowe, un protagonista unico all’interno del variegato mondo della narrativa di genere. Sotto la maschera dell’uomo disilluso e cinico si nasconde, in realtà, l’anima di un profondo idealista che continua – nonostante tutto - a credere in valori eterni quali la lealtà e l'amicizia.


Consigliato a: coloro che vogliono affrontare una delle opere cardine del giallo americano – nella sua declinazione hard-boiled – ed a chiunque desideri fare la conoscenza di Philip Marlowe: archetipo del detective tutto di un pezzo e “papà” di decine di investigatori arrivati nei decenni successivi.


Voto: 8/10



sabato 22 settembre 2018

Cecità, José Saramago


"Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, ciechi che pur vedendo, non vedono". Queste sono le parole del medico – uno dei protagonisti della vicenda – che riassumono in un’unica frase il senso della storia. Una storia tragica, catastrofica, angosciante, terrorizzante ma che arriva ad aprirsi, nelle pagine conclusive, ad un barlume di speranza.
La trama è assolutamente geniale. Siamo in un paese non meglio specificato: un'improvvisa quanto inattesa epidemia di cecità colpisce la popolazione. Le autorità provano ad arginare il fenomeno, rinchiudendo i primi contagiati in isolamento. Le drastiche misure adottate non servono però a circoscrivere l’infezione che dilaga inesorabilmente, in un’escalation di terrore che trabocca a poco a poco fino ad invadere l’intero paese.

Mentre procedevo nella lettura di questo romanzo, lasciandomi completamente avvolgere dalle spire della vicenda, ho pensato quasi immediatamente ad un altro libro: Il signore delle mosche di William Golding.
Sì, perché i punti di contatto tra le due vicende sono notevoli. In entrambe le storie, un gruppo di persone – là i ragazzini, qui i ciechi – si trovano segregate in un luogo da cui è impossibile evadere e, in entrambe le situazioni, si sviluppa una lotta aspra e crudele in cui il principio darwiniano della “sopravvivenza del più forte” trova una concreta applicazione. In questo terribile contesto ogni parvenza di umanità pare rapidamente dissolversi, lasciando ogni essere in balia di se stesso, pronto a  sfogare la sua natura atavica ed animale. 

Al di là di tutto, quest'opera costituisce una straordinaria metafora della società contemporanea, contaminata dall’indifferenza e dalla totale mancanza di solidarietà verso il prossimo. Perché la vera cecità, alla fine dei conti, non è quella fisica: molto più gravi sono la cecità del cuore e l’offuscamento della ragione, che disvelano un’aridità dei sentimenti ed un buio dell'animo difficilmente colmabili.
Raccontare una storia come questa non era per niente facile: il rischio di sprofondare in dialettiche compassionevoli nei confronti dei disabili è tutt’altro che peregrino. Saramago, da grande narratore, evita comunque gli scogli di un pietismo di maniera e va ben oltre, affermando – in sostanza - che non è sufficiente essere disabili per essere onesti e virtuosi: nel mondo popolato da ciechi, infatti, i “ciechi cattivi” si distinguono ben presto da quelli moralmente ineccepibili.

Lo stile di Saramago è caratteristico: duro, avvolgente e a tratti disorientante, con uno sviluppo della punteggiatura piuttosto particolare (per non dire unico). I protagonisti del romanzo sono privi di nome: durante l’arco della storia li identifichiamo come “il medico”,  “la moglie del medico”, “la ragazza con gli occhiali scuri”, “il vecchio dalla benda nera”.
Nonostante tutto, riusciamo ad affezionarci a loro ed a condividere – seppur da distante – le loro vicissitudini. Come se li conoscessimo davvero.


Consigliato a: chiunque ami la grande letteratura, capace di trasmettere emozioni ed in grado di raccontare il presente in maniera dura ed impietosa, ed a tutti coloro che vogliono affrontare uno degli scrittori chiave della letteratura europea di fine Novecento.


Voto: 8,5/10


venerdì 21 settembre 2018

Ogni coincidenza ha un’anima, Fabio Stassi


“Se dovessi salvare un solo ricordo, quale sceglieresti?” Questa è la domanda che, come un filo sottile, attraversa l’intero percorso narrativo; un quesito che col passare delle pagine s’insinuerà nella mente del lettore come un tarlo implacabile. 
Dopo il successo di La lettrice scomparsa – meritato Premio Scerbanenco nel 2015 – torna il biblioterapeuta Vince Corso: un ex insegnante precario che, dopo aver scoperto le doti taumaturgiche dei libri,  ne ha fatto la propria professione.

Nel suo studio improvvisato continuano ad arrivare personaggi originali, a volte persino bizzarri. In questo caso, il nostro protagonista viene interpellato da Giovanna Baldini, una distinta signora sessantenne. Il di lei fratello è stato colpito dall’Alzheimer e, da qualche tempo, continua a ripetere una serie di frasi sconnesse e in apparenza prive di senso.
Baldini in passato era stato uno studioso di fama internazionale, profondo conoscitore  delle lingue, ed aveva collezionato migliaia di volumi: di conseguenza le parole misteriose potrebbero far parte di un romanzo. E se questo libro esistesse per davvero, la sorella gradirebbe conoscerne il titolo per poterlo leggere ad alta voce, qualche pagina al giorno, allo sfortunato fratello.
Per Vince questo sarà l’inizio di una nuova indagine, stimolante quanto complicata, che lo condurrà ad a una soluzione profondamente diversa dai presupposti di partenza.

Si può dire che Stassi, con la figura di Vince Corso, abbia inventato un nuovo sottofilone del genere noir: quello a tema letterario, con un detective improvvisato che invece di bazzicare locali fumosi dalle torbide atmosfere si inoltra tra le suadenti pagine di un libro. 
La vecchiaia, l’infermità, l'amore, la solitudine, l'inganno: questi sono temi ricorrenti all’interno della trama. Al di sopra di loro, come un provvidenziale mantello, la biblioterapia svolge la funzione di collettore capace di dare un senso ad emozioni e stati d’animo che appaiono dispersi e rarefatti nell’aria circostante.   
Si tratta di un romanzo scorrevole ed appassionante, che si legge con vero piacere, con interessanti divagazioni a carattere sociale (sulle disuguaglianze, le discriminazioni ed il rigurgito razzista che sta contaminando il nostro paese). Un libro che va letto tenendo sempre l’agendina a portata di mano, a causa dei numerosi riferimenti bibliografici a cui l’autore ci ha abituato.


Consigliato a: tutti coloro che amano i libri e credono nel loro potere curativo ed a chiunque voglia affrontare un’opera capace di coniugare l'indagine gialla con la passione bibliofila. 


Voto: 7,5/10  



giovedì 20 settembre 2018

Non solo canguri…. Il giallo/noir dell’Oceania



A lungo ignorata nel panorama letterario internazionale, la letteratura australiana - così come quella neozelandese - si è diffusa al di là dei propri confini geografici a partire dall'ultimo ventennio del secolo scorso, in seguito all'assegnazione del premio Nobel per la letteratura all'australiano Patrick White (1973). La successiva generazione di romanzieri – tra cui vanno menzionati David Malouf, Peter Carey e Tim Winton – ha consolidato questa apertura al mondo, acquisendo un’insperata notorietà a livello internazionale.
La letteratura di genere si è inserita in questo spiraglio e, specialmente nell’ultimo ventennio, ha fatto sentire la sua voce attraverso le opere di alcuni scrittori di indubbio talento.

Il poliziesco dell’Oceania, in realtà, ha una storia lunga due secoli. Si può dire che la crime-fiction australiana abbia preso spunto dalle origini stesse del paese, che nel XVIII secolo non era altro che una colonia carceraria inglese. Le prime storie, infatti, si concentravano sulle figure di detenuti in fuga che diventando eroici ranger; in altri casi bacchettavano un sistema che maltrattava coloro che erano stati ingiustamente condannati. In una fase successiva, arrivarono gialli che narravano le vicende di coloni in cerca di libertà e di cercatori d'oro senza legge.
Gli anni '80 del secolo scorso furono contrassegnati da un'ondata di opere imperniate su investigatori privati, personaggi molto popolari in una società piuttosto scettica nei confronti della polizia. Gli autori del ventunesimo secolo, cambiando completamente registro, hanno invece riscoperto la classica figura del poliziotto e hanno spesso tentato di esplorare crimini e misfatti legati alle comunità indigene.

Purtroppo, se si eccettua il fortunato caso di Michael Robotham – ormai considerato una star a livello mondiale – gli scrittori di Australia e Nuova Zelanda  hanno faticato a giungere fino a noi: in Italia solo uno sparuto numero di autori è riuscito ad ottenere la pubblicazione. Compito di questo articolo è farvi conoscere – almeno per sommi capi – coloro che sono stati gli artefici del decollo di questa scuola.
Allacciate le cinture… e mettiamoci in viaggio.    
  

Arthur William Upfield (1890–1964):
Di origine britannica, all’età di vent’anni si trasferì in Australia ottenendone ben presto la nazionalità (tanto che allo scoppio della Prima guerra mondiale si arruolò presso la First Australian Imperial Force, per combattere i tedeschi).
Rinomato autore di gialli, è noto soprattutto per la serie imperniata sull'ispettore Napoleon Bonaparte "Bony". Si dice che, per la costruzione del personaggio, Upfield si sia ispirato alla figura di un aborigeno di nome Leon Wood, un brillante poliziotto del Queensland conosciuto personalmente negli anni venti. In Italia è reperibile Gli scapoli di Broken Hill, pubblicato da Polillo nella collana “I bassotti”.

Charles Herbert Shaw (1900-1955):
Originario di South Melbourne, oltre ad essere stato uno dei pionieri della letteratura di genere australiana, è stato un valido giornalista e sceneggiatore.
Nel mondo del Giallo è noto per i quattro romanzi polizieschi con protagonista Dennis Delaney, scritti utilizzando lo pseudonimo Bant Singer (un nome ispirato dalla sua automobile preferita, la Singer Bantam). La serie è ambientata nelle zone rurali dello stato australiano di  Victoria all’indomani della seconda guerra mondiale.
Vacci piano Delaney!, Delaney, abbi pazienza e Quante grane, Delaney! sono stati pubblicati in Italia in Il Giallo Mondaori; risultano però di difficile reperibilità (se si è fortunati, possono essere scovati in qualche bancarella dell’usato).

Peter Temple (1946-2018):
Nato in Sudafrica, si trasferì a Sydney nel 1980 e successivamente a Melbourne, dove diventò editore dell'Australian Society Magazine.
Insegnante di giornalismo all'università, pubblicò nove romanzi, diventando il primo scrittore australiano a vincere il Gold Dagger.
È ricordato soprattutto per i libri incentrati su Jack Irish, un ex avvocato diventato investigatore privato. La serie è stata trasposta in una fiction tv nel 2012 con Guy Pearce nelle vesti di protagonista.
La carità uccide e Verità sono editi in Italia da Bompiani.


Michael Robotham (1960):
Questo autore australiano ha alle spalle una lunga carriera di cronista presso il “Fairfax Press” di Sydney; è stato, tra l'altro, uno dei primi a visualizzare le lettere e i diari dello zar Nicola II e di sua moglie Alexandra, reperiti nell'Archivio di Stato di Mosca. Trasferitosi a Londra nel 1986, ha definitivamente abbandonato il giornalismo ed è diventato un ghostwriter, scrivendo biografie di personaggi famosi. Tornato in Australia nel 1996, ha deciso di dedicarsi a tempo pieno alla scrittura.
Il suo primo romanzo, L'indiziato (pubblicato in Italia da Rizzoli) - un thriller psicologico ricco di suspense - ha riscosso grande successo in tutto il mondo ed è stato tradotto in ventidue lingue differenti. Con il seguito, Perduta, ha vinto il Ned Kelly Award per la Crime Book dell’anno nel 2005.

Kerry Greenwood (1954):
Nata in un sobborgo di Melbourne, da giovane ha svolto i più svariati lavoro tra cui quelli di cantante folk, operaia, costumista e cuoca. Dopo essersi laureata in Inglese e in Legge, ha ottenuto l'abilitazione da avvocato, ma ha sempre dimostrato un grande interesse per la scrittura.
Ha ottenuto una buona visibilità internazionale con i romanzi, ambientati nella Melbourne degli anni venti, che hanno come protagonista la nobildonna ed investigatrice privata Miss Phryne Fisher. La serie è ormai arrivata al ventesimo episodio; solo i primi tre romanzi, però, sono stati tradotti in italiano: Il re della neve, Morte di un marito e Il treno per la campagna (tutti editi da Polillo).

Paul Cleave (1974):
Neozelandese di origine, divide la sua vita tra la città natale di Christchurch - dove sono ambientati tutti i suoi romanzi - e l'Europa. Le sue opere sono state tradotte in ben 18 lingue. Ha vinto per ben tre volte il Ngaio Marsh Award per il miglior romanzo poliziesco ed è stato selezionato per l' Edgar Award (l’Oscar del Giallo).
Maestro del thriller psicologico, nelle sue opere costringe il lettore a riconsiderare ciò che è reale attraverso una vivida esplorazione della malattia mentale, dell'immaginazione e del “lato oscuro” presente in ognuno di noi.
Il vendicatore e The cleaner sono disponibili nel nostro paese (Elliot edizioni).

Siamo finalmente giunti alla fine del nostro percorso.
Abbiamo visto come la narrativa gialla dell’Oceania sia estremamente ricca e variegata. Sebbene sia ancora poco conosciuto, questo movimento riesce a veicolare verso il mondo esterno una serie di miti nazionali, di elementi creativi e persino di sprazzi di “verità” relativi ad un paese che – è importante sottolinearlo – vanta origini fortemente connesse all’evoluzione del crimine.
La solidità della tradizione, considerata nel suo complesso, dimostra fino in fondo come la crime-fiction australiana (ma anche neozelandese) – partendo da storie di detenuti e di “bushrangers” – non abbia mai perduto il suo stabile rapporto con le inquietudini nazionali ed i miti di una società in lento ma costante mutamento.




mercoledì 19 settembre 2018

Tea e il salice ridente, di E. e M. Maruffo

Buongiorno gente!
Oggi vi parlo di un libro per bambini mandatomi da una delle due autrici (che di nuovo ringrazio per l'opportunità).


La protagonista di questo breve racconto illustrato è Tea, una bambina costretta a vivere con regole davvero tristi e strette per la sua età. Addirittura, quando chiede come regalo di compleanno di fare una gita in mezzo alla campagna, i genitori le negano la possibilità "perché altrimenti si sporca".

Un giorno, però, succede qualcosa di veramente magico: mentre sta tornando a casa, Tea si addormenta sul pullmino della scuola e al suo risveglio... nota che qualcosa non quadra. Ad esempio, al posto del solito autista c'è una sorta di omino-fungo che le fa una proposta interessante: essendo lei così incuriosita e attratta dalla natura, vorrebbe mica fare un viaggio a Greenland??? La bambina non se lo lascia dire due volte e poco dopo si ritrova in un mondo magico, in cui i fiori e gli animali parlano. Viene lasciata dal signor Califano, il tulipano, che l'accoglie in casa sua e le mostra le poche semplici regole che dovrà seguire per non finire nei guai - perché la Natura è bella ma a volte può essere anche un pochino pericolosa.
A Greenland Tea avrà quindi la possibilità di correre, nuotare e sporcarsi liberamente; sosterrà alcune prove, conoscerà nuovi personaggi e si divertirà molto... ma il ritorno a casa è inevitabile.
Quello che la signorina non sa, è che i suoi genitori hanno una bellissima sorpresa per lei!

Che dire?
L'idea che sta alla base della storia mi è piaciuta molto. Penso che sia davvero importante, per i bambini, avere le attenzioni dei genitori, poter giocare spensierati, essere liberi di sporcarsi e, soprattutto, stare a contatto con la natura. Tuttavia ci sono diverse parti che non mi hanno del tutto convinta, come la motivazione e il significato delle prove che Tea deve sostenere a Greenland e l'improvviso cambiamento dei genitori quando lei rientra a casa.
Parlandone con le autrici siamo arrivate a dei chiarimenti; tuttavia credo che le cose non dovrebbero rimanere implicite, anzi: trattandosi di un libro per bambini, sarebbe bene che venissero spiegate in modo chiaro e semplice.

Mi è stato svelato che prossimamente uscirà una nuova avventura con Tea... chissà cosa combinerà, adesso, questa bambina!
Io, un pizzico di curiosità, ce l'ho... e voi??


martedì 18 settembre 2018

Il giardino dei Finzi-Contini, Giorgio Bassani


Poche opere letterarie, nel corso del Novecento, hanno saputo fondere alla perfezione emozioni private e storia pubblica. Il giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani è una di queste. Con una scrittura appassionante ed estremamente coinvolgente, l’autore ferrarese è riuscito a raccontare lo spirito ed i drammi di un’epoca in cui pochi residui di umanità combattevano strenuamente contro la disumanità dilagante.

Il romanzo è ambientato nella Ferrara di fine anni trenta, in un momento storico piuttosto delicato: la vigilia del secondo conflitto mondiale. Le leggi razziali, calate sulla penisola come una gigantesca mannaia, contribuiscono ad avvicinare un gruppo di giovani di origine ebraica. I loro incontri, stagione dopo stagione, diventano sempre più frequenti ed hanno come teatro il giardino della magnifica casa dei Finzi-Contini: una famiglia molto discussa per l’altezzoso isolamento in cui si rinchiude, sublimato dall’alto muro di cinta del mastodontico giardino. 
E così nel cuore del protagonista – l’io narrante della vicenda, che parrebbe essere un alter ego dell’autore – matura un sentimento di sofferto amore per la bella e delicata Micòl. La storia, però, sta esprimendo il suo duro ed inappellabile verdetto ed un destino crudele sta per presentare il conto alla famiglia Finzi-Contini.
“Quanti anni sono passati da quel remoto pomeriggio di giugno? Più di trenta. Eppure, se chiudo gli occhi, Micòl Finzi-Contini sta ancora là, affacciata al muro di cinta del suo giardino, che mi guarda e mi parla”.
Bastano queste parole del protagonista/narratore per raccontare l’impatto di questa storia d’amore profonda e delicata, ma destinata a non sbocciare mai; un incontro che si svolge in un momento lacerato da tragedie impensabili che stanno per manifestarsi col loro corollario di assurde e terrificanti verità.
La villa dei Finzi-Contini, in tale contesto, diventa una sorta di enclave nascosta alle brutture del mondo; un bozzolo impermeabile dall’esterno in cui germoglia l’illusione che la vita possa continuare il proprio corso come se niente fosse, immersa tra libri, partite a tennis e reminiscenze di un passato che tende ad evaporare.
Nonostante appaia un po’ datato ed a tratti superato in certi dialoghi, il romanzo mantiene intatta la sua forza espressiva e la sua carica emotiva, raccontando una storia destinata a rimanere a lungo nella memoria.

N.B. Nelle ultime pagine si accenna alla figura del dottor Athos Fadigati, un otorinolaringoiatra accusato di omosessualità che si era suicidato per il peso dell'accusa; quel Fadigati – è doveroso ricordarlo - sarà il protagonista di un altro celebre romanzo di Bassani: Gli occhiali d'oro.


Consigliato a: coloro che vogliono affrontare una delle opere più intense ed emozionanti del Novecento italiano ed a chiunque ami le storie in cui drammi individuali e sfondo sociale riescono a fondersi senza soluzione di continuità.


Voto: 7,5/10




lunedì 17 settembre 2018

L’umiliazione, Philip Roth


 

Concludo la mia personalissima analisi delle Nemesi di Philip Roth – i quattro romanzi che rappresentano il canto del cigno dell’autore prima del definitivo ritiro dalle scene letterarie – occupandomi di L’umiliazione.
Il tema comune al quartetto di opere è rappresentato dall’ambiguo rapporto dell’uomo col destino. Dopo aver sviscerato il tema della morte (Everyman), quello dell’umana inadeguatezza nei riguardi della storia (Indignazione) e quello dell’impotenza di fronte alla malattia (Nemesi), questa volta lo scrittore di Newark analizza le conseguenze della perdita del talento, occupandosi della deriva di un attore che ha perso per strada l’ispirazione artistica.

Simon Axler, celebre attore teatrale, dopo aver superato i sessant'anni di età sente di non riuscire più ad entusiasmare il pubblico. Dopo una serie di clamorosi fiaschi è ridotto come un pugile al tappeto: ogni volta che si presenta sul palcoscenico, scopre fino in fondo la propria incapacità ed inettitudine. L’abbandono della moglie, inoltre, contribuisce ad acuire il suo stato depressivo.
Precipita così in una terrificante spirale che lo spinge all’autodistruzione. Il rapporto con una ragazza parecchi anni più giovane – figlia di vecchi compagni d’accademia – lo spingerà ad alimentare un insolito ed insano desiderio erotico attraverso cui cercherà un simulacro di conforto e consolazione in un’esistenza ormai priva di punti fermi.

La solitudine, la perdita di sicurezza e la sconfitta  sono gli elementi chiave di quest’opera, che vuole rappresentare la decadenza dell'individuo di fronte ad una realtà che, per lungo tempo, l’aveva incensato e celebrato.
I temi ricorrenti sono quelli a cui l’autore ci ha abituato nel corso degli anni: brama sessuale, ataviche paure, rapporti difficili tra figli e genitori e la vecchiaia che, come un rullo compressore, avanza distruggendo ogni cosa.
Non concordo con coloro che ritengono L’umiliazione un'opera minore di Roth. Certo, i vertici di Pastorale americana e Ho sposato un comunista sono parecchio lontani; la descrizione dei personaggi, le derivazioni psicologiche e la capacità di analisi rimangono però di livello assoluto.
La trama, forse, non mostra il consueto equilibrio: il passaggio dalla prima alla seconda parte risulta un po’ macchinoso e comporta un certo stridio. Si tratta però di peccati veniali che, ad uno scrittore come Roth, possiamo perdonare senza farci troppi problemi.


Consigliato a: coloro che amano i romanzi in grado di rappresentare l’evoluzione degli individui, con straordinari approfondimenti psicologici ed un’attenta analisi sociale, ed a chiunque voglia godersi la prosa caustica ed inconfondibile di uno dei maggiori autori a cavallo tra ventesimo e ventunesimo secolo.


Voto: 7/10



venerdì 14 settembre 2018

Come rapinare una banca svizzera, Andrea Fazioli


Andrea Fazioli – svizzero italiano di Bellinzona – è un autore più unico che raro nel panorama del giallo nostrano. Mentre gran parte degli scrittori della sua generazione ha optato per personaggi superomistici e sopra le righe, dalle esistenze disordinate e infarcite di particolari scabrosi, lui ha creato un detective tranquillo, dall’indole introversa ed amante della natura: Elia Contini.

In questo romanzo, l'investigatore ticinese (già protagonista dei precedenti libri) riceve una richiesta di aiuto dal vecchio amico Jean Salviati, ladro a riposo che si è da tempo riciclato come giardiniere. La di lui figlia, cronica giocatrice al casinò, è finita in un brutto giro ed è tenuta prigioniera da un losco avventuriero che, per rilasciarla, ha imposto all’ex malvivente di rapinare un istituto di credito in cui sta per avvenire una incredibile transazione di denaro.
Salviati è dunque costretto a riprendere in mano i ferri del mestiere per salvare la figlia. In questa temeraria impresa verrà aiutato da Contini e da alcuni amici borghesi che si dovranno improvvisare svaligiatori di banche.
Come spesso accade, però, una serie di imprevisti giungerà a scompaginare i piani della raffazzonata gang.

Il romanzo si legge piuttosto in fretta. La suspense cresce gradualmente con lo scorrere delle pagine ed è condita da un’ironia di fondo che, probabilmente, rappresenta il fiore all’occhiello della narrazione.
I personaggi sono accattivanti e ben costruiti, con i loro diversi caratteri ed i loro congeniti difetti, che contribuiscono a renderli più umani. L'ambientazione all’interno del Canton Ticino funziona alla perfezione: i luoghi e le atmosfere rappresentate contribuiscono a dare sostanza alla storia, fornendo una connotazione realistica ad una trama di per sé fantasiosa.
L’unica pecca, probabilmente, è rappresentata dal finale un po’ troppo “buonista” ed ottimista. Ma, all’interno del contesto – siamo pur sempre nell’ambito di un buon prodotto di intrattenimento - una simile scelta narrativa ci può anche stare.


Consigliato a: coloro che amano i gialli ben congegnati, con un’ottima caratterizzazione dei personaggi e con un’ambientazione credibile, che interagisce ad ogni passo con il plot diventandone parte integrante.


Voto: 7,5/10



giovedì 13 settembre 2018

Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte, Mark Haddon


Nonostante tutte le recensioni positive che ho letto girovagando per il web, questo libro non mi ha per niente convinto.
Non è che voglia fare il bastian contrario o la “voce fuori dal coro” a tutti i costi, però ho trovato la trama ed il suo sviluppo abbastanza scontati e prevedibili. Devo dire – per giustificare il mio punto di vista – che storie di questo tipo non sono proprio il mio genere ed ho letto questo romanzo per l’unico motivo che, in quel momento, stavo partecipando ad una challenge che prevedeva la lettura di un libro con “un animale nel titolo”.
Per quanto la lettura sia semplice e scorrevole, ho trovato lo sviluppo del plot piuttosto banale, senza grossi guizzi, oltreché infarcito da insopportabili disegnini e schemi ideati dal protagonista che allungano il brodino di un centinaio di pagine.
     
Indubbiamente è molto valida l'idea di base: quella di mettersi nei panni di un ragazzino affetto da sindrome di Asperger. Ma la trattazione tutt’altro che realistica fa perdere immediatamente per strada le buone intenzioni e trasforma la trama in una sorta di fiaba metropolitana, col piccolo protagonista (va bene che è malato… ma è un grandissimo rompicoglioni) che dapprima veste i panni del "detective per caso" per scoprire chi ha ucciso Wellington, il cane delle vicina, ed in un secondo tempo si sottrae alla custodia paterna per raggiungere la madre a Londra.

Scegliere l'handicap come tema, indubbiamente, è politically correct e fa tendenza… però il testo mi pare un po’ troppo furbetto ed ammiccante: adatto magari ad una fascia adolescenziale o a lettori che non si pongono troppe domande, però non troppo soddisfacente per chi cerca in un romanzo qualcosa di più di un semplice passatempo.
Ripeto, è solo il mio parere e prevedo che numerosi tra voi non saranno d’accordo. Però, se devo essere onesto fino in fondo, devo dire che questo libro non mi ha lasciato granché.


Consigliato a: tutti gli amanti del politically correct, dei piccoli geni e delle letture ammiccanti ma senza troppe pretese. 


Voto: 5/10