venerdì 31 luglio 2020

Il mistero della casa delle civette, Max e Francesco Morini


Come capita ogni estate che si rispetti, mi ritrovo a recensire la nuova fatica letteraria dei Morini Bros: due autori teatrali e televisivi che, qualche anno fa, hanno deciso di cimentarsi nella letteratura gialla ottenendo un crescente consenso di pubblico e di critica.     
Dopo Nero Caravaggio, Rosso Barocco e Il giallo di Ponte Sisto, stavolta è il turno di Il mistero della casa delle civette
Ricetta vincente non si cambia: anche in questa occasione i due fratelloni riescono nell'intento di coniugare il gusto per il mystery con l'afflato per la commedia. Rincontriamo così il geniale Ettore Misericordia, proprietario di una storica libreria romana nonché detective dall'intuito formidabile, e il suo assistente/braccio destro Fango, che alla stregua di un novello dottor Watson svolge la funzione di voce narrante della storia. 
Ma partiamo, come sempre, dalla trama... 

I nostri eroi sono alle prese con l'inventario della loro libreria: un'operazione che entrambi sembrano non gradire eccessivamente. L'ispettore Ceratti, però, giungerà a tirarli fuori dal torpore autunnale che li ha avvolti formulando una richiesta di aiuto. 
Un'anziana cartomante, infatti, è stata uccisa nel suo vetusto appartamento, pugnalata a morte con un compasso. Per dare una mano all'amico poliziotto, Ettore e Fango intraprenderanno una difficile e intricata indagine tra i meandri della Roma magica. Si troveranno ben presto impegnati a disseppellire vecchi ricordi e segreti legati alla Casa delle Civette: un luogo pieno di misteri legati alla figura del Principe Giovanni Torlonia, che dimorò in quel luogo nei primi decenni del Novecento, e la cui strada incrociò talvolta quella del Duce.

Prendete l'intelaiatura del giallo classico - il cosiddetto Whodunit -, miscelatela con un'atmosfera misteriosa alla Dan Brown, condite il tutto con dialoghi divertenti e scoppiettanti da commedia di casa nostra... ed avrete l'dea di come sia costruito un giallo dei Morini Bros. Ma limitarsi a tutto ciò sarebbe un errore grossolano: una parte non indifferente del merito della riuscita va, senza ombra di dubbio, all'ambientazione romana. La Capitale, pregna di storia e di antichi segreti, col suo patrimonio artistico inarrivabile e la sua aria di decadenza millenaria, è una protagonista a pieno titolo del romanzo, alla pari di Ettore, Fango e del buon Ceratti. Pagina dopo pagina, mentre ci inoltriamo per gli antichi quartieri a seguito del libraio/detective e del suo biografo/assistente, ci sembra quasi di respirare a pieni polmoni il profumo di antichità che permea di sé muri, strade e palazzi.
Per il resto, come sempre, il romanzo si divora in una manciata di ore: la simpatia dei protagonisti unita all'attrattiva dell'indagine poliziesca - che non subisce la scomoda influenza del giallo/noir contemporaneo, lasciandosi invece ispirare dai classici del genere quali Conan Doyle, Chesterton o Rex Stout - rendono la lettura estremamente gradevole e avvincente. 


Consigliato a: coloro che amano i gialli in grado di coniugare la tensione dell'indagine poliziesca con l'ironia della commedia all'italiana e a chiunque ami indagare con divertimento e curiosità gli antichi misteri della Capitale.


Voto: 7,5/10


N.B. Data di uscita 6 agosto 2020




mercoledì 29 luglio 2020

Giorni di battaglia, Paco Ignacio Taibo II



Giorni di battaglia è il primo libro di Paco Ignacio Taibo II in cui compare la figura del detective privato Héctor Belascoarán Shayne: un ex ingegnere messicano, di padre basco e madre irlandese, che un bel giorno decide di mollare moglie ed impiego, affittare un ufficio (in condivisione con un idraulico) e iniziare da zero una nuova vita. 
Dopo aver conseguito per corrispondenza la licenza di "occhio privato", il nostro protagonista sceglie di schierarsi dalla parte dei più deboli e degli oppressi. Il suo primo caso, infatti, ha a che fare con uno strangolatore di donne che firma i suoi omicidi con l'enigmatico nome di Il cervelo

"Ogni città ha il detective che si merita"
E così, nella Città del Messico dei primi anni '70, facciamo la conoscenza di questo detective malinconico e disincantato, che molto deve ai classici dell hard-boiled, ma che si differenzia dai predecessori per gli ideali socialisti e la filosofia esistenzialista
Giorni di battaglia è un noir potente e suggestivo, permeato da una forte carica politica, ma che si mostra brutalmente e meravigliosamente onesto nel ritrarre il Messico tra la fine degli anni sessanta e l'inizio dei settanta, senza disdegnare - quando occorre - le giuste dosi di lirismo e tenerezza. 
La trama è solida: l'indagine condotta da Shayne si fonde alla perfezione con lo sfondo storico sociale di un'epoca difficile, in cui convivono industrializzazione forzata, dittatura e rivolte studentesche represse nel sangue.   
I personaggi di contorno che ruotano attorno alla figura di Héctor sono molto particolari; meritano una citazione l'idraulico con cui divide l'ufficio e la misteriosa ragazza con la coda di cavallo, che appare e scompare come una figura fantastica. 

Arrivato a questo punto, mi sembra doveroso citare il confronto finale tra il detective e l'assassino: un brano che dice molto sulle intenzioni dell'autore di fuoruscire dall'angusto perimetro della letteratura di genere per toccare territori che hanno a che vedere con la critica politica e sociale. 
"Bene, dice l'aristocratico killer, ho ucciso undici volte. In questo stesso intervallo di tempo, lo Stato ha massacrato centinaia di contadini, decine di messicani sono morti in incidenti, nelle risse o di fame o di freddo, di malattie curabili. Dove sta allora lo strangolatore?". "Il Grande Strangolatore è il sistema", risponde Belascoaràn.
Purtroppo, la serie incentrata su Héctor Belascoarán Shayne risulta di difficile reperibilità: l'editore Marco Tropea è fallito qualche annetto fa e nessun altro si è preso la briga di ripubblicare i romanzi già usciti. Sperando che prima o poi si faccia avanti qualcuno, vi consiglio di setacciare i mercatini dell'usato: potreste essere fortunati e reperire almeno qualche episodio della serie (che merita... a prescindere!) 


Consigliato a: coloro che amano il noir con forti risvolti politici e sociali e a chiunque apprezzi i personaggi "contro": cani sciolti affamati di giustizia e capaci di far la guerra a tutto il mondo... o quasi. 


Voto: 7,5/10




martedì 21 luglio 2020

Gang bang, Chuck Palahniuk


Nonostante il sottoscritto sia un vero cultore della letteratura Nordamericana, Gang bang rappresenta il mio primo incontro con Chuck Palahniuk: uno scrittore di cui si è parlato molto negli ultimi anni sia per aver ispirato film di successo (Fight club) sia per la straordinaria capacità di trasportare il lettore in situazioni assurde, al limite del surreale.
Com'è andata? Se proseguite nella lettura di questo commento, lo saprete molto presto... 

Cassie Wright, regina del cinema hard, vuole coronare la sua straordinaria carriera battendo il record mondiale di gang bang: il suo obiettivo, infatti, è quello di accoppiarsi con seicento uomini davanti alla macchina da presa. La storia viene raccontata attraverso le voci narranti di tre personaggi - il signor 600, il signor 72 e il signor 137 - identificati attraverso il numero che è stato loro impresso sul braccio con un pennarello.
Mentre i performers, a gruppetti di tre, vengono chiamati all'azione (ma forse sarebbe più appropriato dire... all'erezione!), 600, 72 e 137 si conoscono e cominciano a dialogare tra loro; a poco a poco emergerà così il giudizio negativo che ognuno ha maturato nei confronti degli altri due.

Che dire? L'idea di base sarebbe anche interessante ma, purtroppo, nel giro di una manciata di pagine il libro diventa ripetitivo e noioso. Ci troviamo di fronte a un divagare eccessivo, quasi come se l'autore avesse iniettato fiale e fiale di anabolizzanti su un racconto breve per trasformarlo in romanzo.
Assistiamo così al reiterarsi di situazioni e di comportamenti in cui lo pseudo-machismo fa a pugni con l'attaccamento alla figura materna e ad un perpetuo sciorinare di false provocazioni che, ad un certo punto, diventano particolarmente indigeste.
La modifica dei titoli di pellicole celebri per adattarle alla tematica pornografica - Il codice Dai Spingi, Il culo oltre la siepe, Com'era aperta la mia valle - è roba da barzellette di liceali piuttosto che da letteratura memorabile; a ciò si aggiunga il fatto che le descrizioni delle scene dei film dell'attrice protagonista, trasmessi su una TV per ingannare l'attesa, sfiorano il ridicolo (non si sa se più o meno volontario).
Lo stile di Palahniuk sarebbe anche apprezzabile: scientifico, crudo, capace di rasentare il grottesco. La trama, però, non lo supporta per niente nelle sue buone intenzioni: ridotta all'osso, lenta e ridondante, non si lascia certo ricordare per qualcosa in particolare.
Il mio primo incontro con Palahniuk non è stato per niente positivo; conto però di leggere altre sue opere prima di stilare un giudizio definitivo.


Consigliato a: chi ama gli scrittori dall'indole provocatoria e dissacrante e a tutti coloro che apprezzano la letteratura americana contemporanea, con tutto il suo corollario di sperimentazioni e visioni destabilizzanti.


Voto: 5/10

sabato 18 luglio 2020

Questa tempesta, James Ellroy


Questa tempesta è il secondo episodio della seconda tetralogia di Los Angeles. A quasi sei anni di distanza dal precedente Perfidia (2014), James Ellroy riprende a tessere la tela dal punto esatto in cui si era fermato: il gennaio del 1942, con gli Stati Uniti ormai definitivamente entrati in guerra. 
Ma partiamo, come sempre, dalla trama. 

In un parco di Los Angeles una violenta perturbazione provoca uno smottamento che riporta alla luce il corpo carbonizzato di un uomo. Il cadavere viene immediatamente ricollegato a una rapina a un treno avvenuta parecchi anni prima: in quell'occasione numerosi lingotti d'oro erano stati sottratti impunemente e la refurtiva non era stata mai recuperata. Mettere le mani su quell'ambito bottino diventa così l'obiettivo principale per tutte le persone coinvolte nell'indagine. Quando due detective vengono uccisi in un postribolo frequentato da tossici e pervertiti, però, la vicenda si complica ulteriormente. 

ATTENZIONE!!! Se cercate un gialletto da leggere in spiaggia sotto l'ombrellone... girate al largo! La storia poliziesca, che fa da sfondo all'intera narrazione, non rappresenta l'elemento portante; ciò che conta realmente è l'affresco complessivo, ovvero la realtà politico-sociale, culturale e - soprattutto - criminale nella California durante il secondo conflitto mondiale. A questo punto, continuare a considerare Ellroy un autore di genere sarebbe un errore madornale.
Dello scrittore losangelino ormai si è detto tutto (e forse di più). Ha inventato uno stile unico, che sa essere al tempo stesso cattivo e ingegnoso, poetico e pulp. Rispetto al romanzo precedente, quest'opera è forse un po' caotica: numerosi sono gli intrighi e i casi disparati, che finiranno per rivelarsi strettamente connessi. 
Il grande talento del vecchio James sta nel raccontare i grandi eventi attraverso l'accumulo di microvicende: quelle dei piccoli uomini e delle piccole donne che seguiamo, pagina dopo pagina, in una lenta ma inesorabile discesa all'inferno. Perché nella Los Angeles sordida e corrotta descritta dall'autore non esistono buoni o cattivi e ogni personaggio è costretto, prima o poi, a venire a patti con i propri peccati. 
La scrittura è fantastica: diretta, scevra di retorica e orpelli, mira diretta alla sostanza... e, come sempre, raggiunge subitaneamente l'obiettivo. 

N.B. Speriamo che il buon James non ci faccia attendere altri sei anni prima di leggere il seguito. Le storie da lui narrate sono come materia magmatica in ebollizione... e, come tutti gli appassionati dei suoi libri, non vedo l'ora di seguirne gli sviluppi. 


Consigliato a: coloro che amano la storia americana - quella nascosta, sotterranea e di cui non si parla troppo - brillantemente occultata sotto una patina poliziesca che la colora di tinte fosche, dure e cattive e a chiunque apprezzi il Noir (con la N maiuscola). 


Voto: 7,5/10


Gio

mercoledì 15 luglio 2020

Quella sera dorata, Peter Cameron




Partiamo dal titolo...
Credo sia necessaria una bella tirata d'orecchie ai traduttori italiani. Quella sera dorata non mi pare un granché: fa immediatamente pensare a un romanzo rosa di Barbara Cartland e può risultare fuorviante a coloro che si accostano a Cameron per la prima volta. Decisamente meglio il titolo originale, The city of your final destination, sicuramente più adatto e calzante. 
Questa è la seconda opera di questo scrittore con cui mi confronto (dopo Un giorno questo dolore ti sarà utile) e, se devo dirla tutta, perdura la mia incertezza, eternamente sospesa tra luci ed ombre.
Ma partiamo, come al solito, da un breve accenno della trama. 

Omar Razaghi è uno studente di origini iraniane, laureatosi presso l'Università del Colorado, che ottiene una borsa di studio finalizzata alla scrittura della biografia dello scrittore Jules Gund. Quando però chiede l'autorizzazione ai famigliari di Gund - il fratello, la compagna e l'ex moglie - gli viene repentinamente negata. Sollecitato dalla fidanzata Deirdre, Omar decide di partire per l'Uruguay, il paese dell'autore, per incontrare i suoi eredi e cercare di convincerli ad autorizzare la biografia. Ben presto si ritroverà coinvolto in intrighi famigliari, momenti di eccentricità e, persino in un'imprevista relazione sentimentale. 

Si tratta di un libro che si dedica all'esplorazione di due concetti attinenti ma non sempre compatibili: quello di casa e quello di amore. Romanzo ricco di dialoghi, costruito su personaggi le cui esistenze vengono modificate da una serie di eventi imprevedibili, risulta godibile proprio per il fascino della "lentezza": l'autore, come noto, predilige ritmi piuttosto dilatati e le descrizioni a tinte tenui.
L'ambientazione sudamericana, però, è lontana anni luce dalle leggendarie sfumature del realismo magico. Quello descritto da Cameron è più una sorta di Sud America "immaginato", reinventato da un uomo del Nord che lo ritrae con tutte le sue particolarità e i suoi luoghi comuni: la casa dei Gund, inserita in un contesto bucolico quasi ottocentesco, ne è la prova più evidente.
La prima parte di Quella sera dorata è decisamente ben riuscita, con il giusto equilibrio tra lo svolgersi degli eventi e l'efficace caratterizzazione dei personaggi. Peccato che, dopo il giro di boa, la storia si perda un po' per strada: l'autore la tira un po' con le lunghe, rischiando di diventare ripetitivo, ed i dialoghi che vorrebbero essere brillanti appaiono un po'scontati.


Consigliato a: coloro che apprezzano i romanzi della tipologia "ritratto di famiglia" ed a chiunque ami lasciarsi trasportare dai libri che narrano l'imprevedibilità degli eventi e delle situazioni.


Voto: 6,5/10 


domenica 12 luglio 2020

La mano sinistra del diavolo, Paolo Roversi




Torna nella nuova edizione economica della Feltrinelli La mano sinistra del diavolo - già pubblicato da Mursia nel 2006 - in cui assistiamo ad una delle prime indagini di Enrico Radeschi: il caparbio e inarrestabile cronista di nera che, in sella al suo inseparabile "Giallone" (un irresistibile Vespone giallo), scorrazza per Milano e dintorni in cerca di indizi.

Capo di Ponte Emilia è una cittadina in cui non accade mai niente (o quasi). Un bel giorno, però, il paesino viene sconvolto da un macabro ritrovamento: una mano mozzata rinvenuta nella cassetta postale di un pensionato. Nel frattempo, a Milano-city accadono due fatti inquietanti: il proprietario di un ristorante giapponese scompare nel nulla; in un parco suburbano viene scoperto il cadavere di una giovane segretaria.
Sarà compito di Radeschi iniziare una doppia indagine, che lo spingerà a suddividere  il proprio tempo tra l'asfalto rovente della metropoli lombarda e le indolenti giornate della bassa padana.

Il romanzo è ideato su due trame parallele, con differenti ambientazioni. Se da un lato ci ritroviamo in mezzo a campagne brumose e polverose, i cui abitanti - siano essi corpulenti postini, vecchi partigiani o carabinieri inesperti - si ritrovano a tu per tu con qualcosa che non hanno mai incontrato prima; dall'altra ci inoltriamo nella metropoli lombarda, con i suoi ritmi frenetici, le sue attività produttive e il vero culto del denaro.
Enrico, come abbiamo già detto, si trova ad alternare la propria presenza tra i due luoghi, in un continuo "avanti-indietro" tra Milano e il paesino che gli ha dato i natali: chilometri su chilometri, percorsi alla ricerca di verità nascoste che pian piano emergeranno dai fumi di un'estate più torrida che mai.
Il romanzo è avvincente, divertente e pieno di colpi di scena, con un finale incandescente e ben congegnato. Strutturato attraverso il susseguirsi di capitoli brevi - che lasciano sempre il lettore col fiato in sospeso - La mano sinistra del diavolo è un giallo moderno, ironico e frizzante al punto giusto, che non deluderà sicuramente gli amanti del genere.
Unico difettuccio (se dobbiamo per forza trovarne uno): rispetto ai romanzi più recenti incentrati su Radeschi, la caratterizzazione dei personaggi non ha ancora raggiunto il massimo delle sue potenzialità. Al di là di tutto, anche stavolta Paolo Roversi si conferma tra gli autori più interessanti del nuovo noir italiano.


Consigliato a: chi ama il noir all'italiana, moderno e tecnologico, che si staglia sullo sfondo di realtà urbane e suburbane descritte con realismo ed ironia e a chiunque apprezzi i libri scorrevoli che si divorano alla velocità della luce.


Voto: 7,5/10

mercoledì 8 luglio 2020

Io non mi chiamo Miriam, Majgull Axelsson



Anche questa volta Iperborea ha fatto centro, proponendoci un romanzo in cui la realtà storica e l'invenzione dell'autore si fondono alla perfezione.
Io non mi chiamo Miriam è il racconto di un lungo e doloroso viaggio nella storia del popolo rom, che osserviamo attraverso gli occhi di Malika: una ragazzina che è riuscita a sopravvivere ai campi di sterminio. Majgull Axelsson ripercorre con una vena intimista vicende drammatiche, ormai lontane nel tempo, che parlano della deportazione, della vita nei campi di concentramento e del ritorno alla normalità dopo tanti anni trascorsi in prigionia.

"Io non mi chiamo Miriam".
Un'anziana signora svedese, il giorno del suo ottantacinquesimo compleanno, si lascia scappare queste parole di fronte alla famiglia riunita per festeggiarla. Dietro questa frase si cela una verità occultata per oltre settant'anni, che ora sta lottando per emergere: la storia di una giovane rom che si era finta ebrea, infilando i panni di una coetanea morta durante il viaggio ferroviario da Auschwitz a Ravensbrück. 
Malika, così, è diventata Miriam e per tutto l'arco della sua vita ha continuato a mentire, anche dopo il suo approdo nella Svezia del dopoguerra.

I capitoli più dolorosi della storia europea e il crudele destino del popolo rom sono raccontati con spirito partecipato, quasi commosso; vengono descritte in maniera encomiabile la vita quotidiana dei prigionieri nel lager, le loro atroci sofferenze, il loro annientamento fisico e morale, gli esperimenti condotti sui bambini, il freddo e la sporcizia che li portavano alla morte.
Il libro, però, non si limita ad essere un resoconto delle brutalità naziste; rappresenta allo stesso tempo un’analisi attenta e perspicace sul significato di vivere un’esistenza costruita su "segreti e bugie" (parafrasando Mike Leigh) che non possono essere rivelati.
Nonostante la struttura narrativa proceda per concatenazioni, unendo tra loro differenti piani temporali, il lettore segue perfettamente il filo della narrazione senza perdersi mai.
Le parti del romanzo che descrivono la vita nei campi di concentramento sono sicuramente le più riuscite; quelle ambientate nell'attualità, in cui si svelano i rapporti di Malika/Miriam con i famigliari, risultano invece un po' manierate e non sempre efficaci.  
Al di là di tutto, rimane un libro importante, capace di raccontare con garbo ed efficacia il dramma dell'Olocausto e della deportazione degli zingari.  


Consigliato a: coloro che amano i romanzi che affondano le radici nella drammatica storia del Novecento ed a chiunque apprezzi i personaggi che si ritrovano a vivere una vita che non è la loro, richiudendo dentro di sé una marea di segreti mai rivelati.   


Voto:7+/10


Gio  


venerdì 3 luglio 2020

Usciti di Senna, Michel Bussi


Dopo lo straordinario successo internazionale di Ninfee nere, edizioni e/o sta pubblicando l'opera omnia di Michel Bussi senza lasciarsi scappare un solo libro. Quest'ultima uscita, originalmente tradotta col titolo Usciti di senna, rappresenta in realtà una delle prime fatiche letterarie dello scrittore francese. Pubblicata nel lontano 2008, è stata recentemente "riscoperta" e - pur non essendo ancora al livello delle opere più recenti - riesce a far intravedere, almeno a tratti, i cromosomi del giallista di razza che emergeranno con maggior forza nei successivi romanzi.

Siamo in Francia, a Rouen, al sesto giorno dell'Armada: una manifestazione a cadenza quinquennale in cui si ritrovano i più importanti velieri delle marine militari di tutto il mondo. Il corpo di un marinaio viene rinvenuto nel mezzo delle banchine; è stato pugnalato.
Mentre il commissario Paturel e i suoi collaboratori brancolano nel buio, l'ex reporter d'assalto Maline - una giovane donna dal passato turbolento - si dedica con passione all'indagine, cercando di dare risposta ad alcuni difficili quesiti.
Chi è l'assassino invisibile che commesso un delitto dai risvolti quasi impossibili? Quale patto stravagante sembra vincolare i marinai di tutto il mondo? Quali misteriosi tesori giacciono nascosti tra i meandri della Senna? 

Anche questa volta Bussi ci regala un noir scanzonato e dalla trama un po' arzigogolata, ricco di vicoli ciechi, colpi di scena e indizi fuorvianti. Come negli altri romanzi, si percepisce un forte "senso del luogo" - che spinge spesso il lettore alla ricerca con Google immagini - e una particolare predilezione per i temi storici, utilizzati per rendere più misteriosa una crime-story moderna.
Tutto il comparto della Polizia, purtroppo, fa una magra figura: Paturel e i suoi collaboratori appaiono un po' bolsi, caricaturali e non sempre credibili. L'eroina Maline è però ricca di verve e simpatia e pare quasi una via di mezzo tra Bridget Jones e Nancy Drew. 
Bussi eccede, come al solito, nei giochi di prestigio (un leit-motiv della sua produzione): alcuni gli riescono alla perfezione... altri un po' meno. 
Alla fin fine, nonostante non riesca ad assurgere al nobile livello della letteratura, Usciti di Senna è un poliziesco estremamente scorrevole, rilassante e sicuramente adatto ad un weekend di lettura e di relax.


Consigliato a: coloro che cercano un giallo scorrevole e ricco di misteri da leggere sotto l'ombrellone e a chiunque apprezzi i mystery dall'ambientazione curiosa e coinvolgente.


Voto: 7/10