martedì 27 luglio 2021

La canarina assassinata, S.S. Van Dine



La canarina assassinata di S.S. Van Dine, ambientato nella New York degli anni Venti, è il secondo romanzo della serie incentrata sul personaggio di Philo Vance. Questo libro, già oggetto di adattamenti radiofonici e cinematografici, rappresenta uno dei classici della cosiddetta "età dell'oro" del genere giallo. Philo Vance, in particolare, è un intellettuale con parecchio tempo libero a disposizione che risolve gli omicidi facendo affidamento alla logica e, attraverso il modello detective/consulente di polizia, ripropone ed attualizza il mito di Sherlock Holmes.

Margaret Odell, conosciuta come la Canarina, è una sorta di cortigiana attorno a cui gravitano numerosi amanti. Quando viene rinvenuta strangolata nel suo appartamento ermeticamente chiuso dall'interno, parrebbe trattarsi del classico mistero della camera chiusa. La polizia e il procuratore distrettuale Markham sono propensi a credere che la morte sia stata un incidente avvenuto a seguito di un furto con scasso; l'intervento di Philo Vance sarà decisivo per la risoluzione dell'enigma. 

Qui siamo agli albori del romanzo giallo americano. Pur risentendo dei ritmi blandi e rilassati dell’epoca, quest'opera ha come valore aggiunto il personaggio del protagonista e può contare su una trama originale e ben congegnata. 
Scorrevole e assai gradevole nella lettura, La canarina assassinata si legge ancora volentieri, malgrado qualche carenza sul piano della suspense.
Siamo nell'ambito del mystery essenzialmente deduttivo, nel quale l'autore è estremamente franco ed onesto nei confronti del lettore poiché gli fornisce tutte le indicazioni necessarie per risolvere il caso, adeguatamente disseminate come le briciole di Pollicino lungo il percorso narrativo. 
Certo, è difficile credere che tutti i potenziali sospetti - un certo numero di ex-amanti - si trovassero per puro caso a girovagare nella zona del delitto proprio in quel momento... ma vabbe', se non ci concentriamo troppo sulla verosimiglianza di questa scelta, il romanzo ha ancora oggi un suo valore, tanto da essere considerato tra le pietre miliari del genere: un vero trionfo della deduzione e dell'erudizione che ha avuto, tra i suoi estimatori, persino il grande Andrea Camilleri (che si vantava con orgoglio di possedere un'edizione originale del romanzo).  


Consigliato a: coloro che amano il giallo classico, con le sue implicazioni logico-deduttive, ed a chiunque apprezzi i detective intuitivi e geniali: categoria a cui Philo Vance appartiene senza ombra di dubbio.  


Voto: 7/10


mercoledì 21 luglio 2021

Cronosisma, Kurt Vonnegut


«Dicono che la prima cosa che parte quando diventi vecchio è la vista o l’uso delle gambe. Non è vero. La prima cosa che se ne va è la memoria.»
Cronosisma rappresenta il canto del cigno di Kurt Vonnegut. A metà strada tra il racconto autobiografico e la fiction fantascientifica, questo libro ripropone i temi prediletti dall'autore e li porta alla luce attraverso riflessioni che scaturiscono direttamente dall'io narrante.

Siamo nel 2001. A seguito di un evento catastrofico l'universo ha una profonda crisi di autostima e decide di non espandersi più, tornando indietro di dieci anni. In questo contesto Vonnegut espone vicende personali ma anche legate ad altri personaggi - tra cui lo scrittore di fantascienza Kilgore Trout, già presente in altri romanzi (tra cui Mattatoio n.5) -  attraverso una serie di aneddoti e riflessioni.

Un'avvertenza preliminare: non aspettatevi assolutamente il classico romanzo di fantascienza. Il cronosisma su cui è imperniata la vicenda, in realtà, non è altro che un geniale pretesto per mettere nero su bianco un lungo excursus di memorie. In questo contesto, con l'umanità che viene rispedita dieci anni nel passato, l'autore statunitense rielabora figure, personaggi e ricordi del passato più o meno recente.
La struttura è tutt'altro che lineare; Vonnegut ama spaziare in lungo e in largo nella materia narrativa, saltando avanti e indietro nel tempo, e creando l'intelaiatura ad hoc per l'inserimento dei suoi originalissimi pensieri.
Chi non ha mai letto niente dell'autore di Indianapolis potrebbe rimanere un po' spiazzato; si tratta di un volume adatto, indubbiamente, a  chi possiede confidenza con la sua scrittura e desidera approfondire alcune delle tematiche a lui care. Come per la maggior parte delle sue opere, non è tanto importante ciò che lui scrive, ma il come lo scrive: Vonnegut sa essere incisivo e divertente, senza mai sbagliare una frase. 
All'interno di quest'opera, si susseguono storie vere e storie fasulle, ma tutte finiranno col lasciarci qualcosa sull'essere umano e i suoi modi d'essere. Gli aspetti prevalenti, comunque, sono rappresentati dall'ironia, dall’introspezione e dalla satira.


Consigliato a: chi voglia leggere l'ultimo romanzo della carriera di un autore unico, capace di utilizzare il malleabile strumento della fiction per tessere una sorta di autobiografia, e a chiunque ami le riflessioni originali e debordanti.


Voto: 7/10


Gio 

sabato 17 luglio 2021

Una rabbia semplice, Davide Longo

 


Devo dire che le aspettative, quando ho iniziato questo libro, erano molto alte. La recensione entusiastica di Baricco, che riassumeva la scrittura di Longo in un cocktail composto da "due parti di Fenoglio, due di Simenon, una di Paolo Conte e cinque di Longo" era un biglietto da visita troppo ghiotto per non tuffarsi anima e corpo nella lettura.
Purtroppo, però, le attese sono andate quasi del tutto deluse...

Il Commissario Arcadipane ha superato i cinquant'anni, ha alle spalle un matrimonio fallito e si trascina stancamente nella sua quotidianità, divenuta ormai indolente e ripetitiva. Il caso di una donna di servizio selvaggiamente picchiata nei pressi della metropolitana torinese, con il colpevole acciuffato nel giro di poche ore, fa però rinascere in lui l'istinto del detective che pareva ormai perduto per strada: la soluzione troppo elementare di quel caso non lo convince per niente. 
Con l’aiuto del suo vecchio capo Corso Bramard e dell’agente Isa Mancini si troverà a indagare su un "gioco" folle e micidiale, che trae linfa vitale dal mondo nascosto della Rete.

Che dire? Anche se le premesse erano buone, mai come in questo caso mi pare giusto dire che la montagna ha partorito il topolino. 
La trama è scombinata e poco credibile; i personaggi sono poco coerenti, macchiettistici e al limite dell'inverosimile. 
Alla fine, il tutto risulta pesante più di un fardello e fastidiosamente ripetitivo, con un finale che più che alla letteratura poliziesca fa pensare a un fantasy azzardato e mal congegnato. 
Ovviamente, dopo aver terminato, non mi sento per niente invogliato a leggere gli altri due libri della serie.
Superfluo aggiungere che Simenon e Fenoglio, a questo punto, c'entrano come i cavoli a merenda. Non so quanto abbia inciso il fatto che Longo sia un docente della scuola Holden e lungi da me attribuire al buon Baricco intenzioni di fare una "marchetta editoriale" (in tal caso, non sarebbe né il primo né l'ultimo)... però i dubbi sulla corsia preferenziale che viene assegnata per diritto divino ad alcune opere letterarie rimangono vividi ed inestinguibili. 


Consigliato a: coloro che amano i polizieschi metropolitani, incentrati su personaggi piuttosto sopra le righe e che non si fanno troppi problemi per la verosimiglianza della vicenda.  


Voto: 4/10


Gio      

sabato 3 luglio 2021

Il labirinto delle ombre, Remigiusz Mróz

 


Remigiusz Mróz è il più celebre autore di thriller polacco; in patria ha venduto milioni di copie e la critica l'ha spesso paragonato a scrittori come Stieg Larsson e Jo Nesbø per la sua capacità di coinvolgere il lettore e di creare trame ad alto tasso di adrenalina. Logico che, viste le premesse, mi aspettassi molto da questo libro che, tra l'altro, è la sua prima opera ad essere tradotta in lingua italiana.
Purtroppo, il mio incontro con Mróz non è stato per niente positivo. Questo romanzo passa di diritto tra le peggiori esperienze letterarie della mia lunga vita di lettore.  
M andiamo con ordine...

Una sera di dieci anni prima Damian aveva chiesto alla fidanzata Ewa di sposarlo. Pochi istanti dopo, però erano stati aggrediti da un gruppo di malviventi; lui era svenuto e, al risveglio, la sua amata era scomparsa. Ora, a un decennio di distanza, un amico gli mostra una foto pubblicata su un profilo Facebook, che ritrae una ragazza perfettamente uguale a Ewa in mezzo al pubblico di un concerto. Damian, sperando che si tratti di lei, si reca immediatamente dall'ispettore che si era occupato del caso; nel giro di poche ore, però, la foto viene fatta sparire dal web e l'amico che gli aveva mostrato l'immagine viene misteriosamente ucciso.

Ci sono libri belli e libri brutti. Questo però, ad essere sinceri, rasenta l'idiozia!
Gli espedienti narrativi utilizzati dal buon Remigio non sono per niente plausibili; la storia è del tutto inverosimile, costruita attorno a personaggi di cartapesta e sorretta (si fa per dire!) da uno stile approssimativo
L'idea di partenza, di per sé, non sarebbe neanche male ma finisce, nel giro di una manciata di pagine, per scivolare in un racconto banale e alquanto ripetitivo. 
Anche la soluzione dell'enigma non funziona un granché: è "tirata via" e scricchiola più delle scale di un antico maniero scozzese.
Spero che le altre opere di Mróz siano un filino meglio: se questo libro vale come biglietto da visita con cui presentarsi ai lettori dello Stivale... be', direi che la scelta non è stata per niente azzeccata. Al termine della lettura, infatti, permane una sensazione indistinta, a metà strada tra la noia e l'irritazione.

N.B. Credo che, molto presto, questo romanzo farà un bel viaggetto verso il mercatino dell'usato...    


Consigliato a: (chi vuole farsi del male!!!)


Voto: 2/10


giovedì 1 luglio 2021

Il bar, Marco Fedele

 


Ogni tanto è bello uscire dal "seminato", rappresentato dagli autori più noti (i cui nomi sono sulla bocca di tutti), per dedicarsi a qualcosa di diverso. Stavolta, per l'appunto, vi parlerò di Il bar: un ambizioso noir di uno scrittore emergente di nome Marco Fedele che tenta di conciliare il mondo della ndrangheta con quello della placida provincia del nord est. 
Partiamo, come sempre, da un rapido sunto del plot.    

Nella prima parte del romanzo vengono raccontate le vicende di alcuni personaggi legati alla ’ndrangheta milanese: un'organizzazione ben strutturata, che poggia su gerarchie quasi militari, e che si dedica al riciclaggio di denaro sporco. Il commissario Umberto Fabbri della DIA di Milano assiste quasi impotente allo svolgersi di un drammatico conflitto tra bande, contraddistinto da conflitti a fuoco e morti violente.   
Poi, senza alcuna spiegazione, si passa direttamente alla seconda parte, ambientata in un piccolo paesino in provincia di Gorizia. Suzana Obradovic, una giovane cameriera che si è da poco trasferita in quei luoghi, viene misteriosamente assassinata. Sarà lo stesso Fabbri ad occuparsi del delitto; come nel più classico dei polizieschi riunirà tutti i sospetti nell’unico locale del paese per cercare di risolvere un enigma che si presenterà più complesso del previsto.

Un libro di contrapposizioni. Geografiche - da un lato la zona meridionale di Milano, in cui nascono e prosperano associazioni a carattere criminale, dall'altro l'atmosfera pacata e serena dell’estrema provincia italiana - ma anche stilistiche: ad una prima parte decisamente noir, che esplora i meccanismi del mondo della malavita, fa seguito un seconda che strizza l'occhio al giallo whodunit, con il commissario Fabbri che - da novello Ellery Queen (o Hercule Poirot, se preferite) - s'ingegna per dipanare l'intricata matassa.  
Sicuramente, è da apprezzare la scrittura di Fedele: l'autore dimostra una buona capacità di gestire una materia narrativa complessa che, di tanto in tanto, rischia di strabordare come lava da un vulcano. La prosa è scorrevole anche se l'uso del dialetto - con note "traduttive" a fondo pagina - in alcuni dialoghi risulta un po' eccessivo e rischia di far perdere il filo anche al lettore più paziente.
L'idea di scomporre la vicenda in due blocchi divisi e difficilmente conciliabili, però, lascia un pochino perplessi. La prima parte del romanzo, come si capirà ben presto, è preparatoria alla seconda; sarebbe stato più logico, però, ridurne l'impatto - magari condensandola in una sorta di incipit - invece di assegnarle il cinquanta percento delle pagine complessive: le due anime del racconto faticano così a conciliarsi e, al termine del libro, rimane la sensazione di aver letto due storie separate piuttosto che qualcosa di unitario e compatto.


Consigliato a: coloro che amano le storie di criminalità organizzata ma anche ai lettori che sanno apprezzare i meccanismi e le evoluzioni del giallo classico.


Voto: 6,5/10


Gio