venerdì 23 ottobre 2020

Diario d'inverno, Paul Auster


Paul Auster, giunto al suo 63° compleanno, si siede al tavolino e comincia a scrivere una storia del suo corpo e delle sue sensazioni, sia piacevoli sia dolorose. A trent'anni di distanza dalla pubblicazione di L'invenzione della solitudine - una sorta di memoir in cui raccontava il tema della paternità - il romanziere statunitense ci regala un secondo libro di ricordi niente affatto convenzionale: una meditazione toccante e personalissima sull'esistenza e sul tempo che passa.

Nel corso della narrazione, lo scrittore passa in rassegna la sua vita, i suoi viaggi all'estero, le sue esperienze sentimentali ed il suo primo matrimonio. In particolare, si sofferma su tre cose, che costituiscono il centro focale del testo. In primis, le case in cui ha vissuto: un lungo elenco di monolocali, appartamenti e villette in cui ha trascorso il tempo speso sulla terra fino a quel momento. In secondo luogo, Auster analizza il rapporto con la madre: una donna affascinante ma dal carattere complesso, scomparsa improvvisamente nel 2002. Infine, racconta  il legame con la moglie, la scrittrice Siri Huvstedt, compagna di vita che gli è costantemente a fianco.

Come molte altre opere di Auster, questo volume ha spunti dichiaratamente autobiografici. Con un'adeguata miscela di poetica pungente e umile reminiscenza, l'autore compone una riuscita raccolta di ricordi, aneddoti e riflessioni, che vengono esposti in seconda persona e risultano spesso collegati dai temi ricorrenti del corpo e dell'invecchiamento. Ne scaturisce il ritratto di un grande artista, di cui emergono pregi e contraddizioni, umanità e debolezze.
Il racconto, alla fin fine, segue i medesimi procedimenti della mente umana: espone vicende vissute, va avanti e indietro nel tempo, riconsidera i fatti, li classifica e li giudica.
Ancora una volta lo scrittore newyorkese mostra un'inarrivabile capacità di infondere nelle tematiche più ordinarie una potenza narrativa che ha quasi del soprannaturale.
L'unica critica che mi sento di fare a quest'opera deriva dal fatto che Auster, a tratti, pare indulgere un po' troppo nei confronti di taluni ricordi che il lettore fatica a trovare interessanti e stimolanti. Poco male, comunque: come sempre l'autore riesce a condurre la narrazione in maniera impeccabile e ci consegna l'ennesima prova di una maestria narrativa per niente comune.


Consigliato a: coloro che amano i libri di memorie e apprezzano i personaggi capaci di fermarsi e di fare i conti col proprio passato in maniera lucida e sincera.


Voto: 7,5/10


  

mercoledì 14 ottobre 2020

Uccido chi voglio, Fabio Stassi

 

Dopo La lettrice scomparsa (2016) e Ogni coincidenza ha un'anima (2018), incontriamo Vince Corso - il bibloterapeuta che cura i mali dell’anima attraverso i libri - in una nuova intrigante avventura. Questa volta il nostro amico si ritroverà coinvolto in una serie di efferati omicidi, apparentemente privi di spiegazione, che gli faranno correre il rischio di trasformarsi da inquisitore a inquisito. Partiamo, prima di tutto, da un rapido accenno della trama.

Il counselor letterario Vince Corso non appare in gran forma: la fidanzata Feng lo ha lasciato ed è partita per la Cina, il suo appartamento è stato devastato da ignoti, la sua moto rubata e il suo amato cane Django avvelenato. Com'è arrivato a questo punto? Per comprenderlo, dobbiamo fare qualche passo all'indietro. 
Tutto è cominciato nel momento in cui Vince ha ricevuto un biglietto proveniente dal carcere di Regina Coeli da parte di un ergastolano di nome Queequeg, un evento che ha dato il via ad una serie di accadimenti inaspettati. Nel giro di poche ore il nostro antieroe si è ritrovato nel mezzo di un'indagine complicatissima che lo ha condotto ad aggirarsi per Roma, confuso e smarrito, nei consueti panni di detective involontario, sempre più incredulo e diffidente di fronte al mondo che gli sta attorno. 

Anche stavolta Fabio Stassi ci regala un giallo originale e intimista, in cui cruenti omicidi si alternano a rimandi letterari (basti pensare al fatto che il commissario incaricato dell'indagine si chiama Ciccio Ingravallo!) 
Credo che l'autore, da qualche tempo a questa parte, si stia impegnando nel (difficile?) tentativo di rinnovare il giallo di casa nostra - che pare andare col "pilota automatico", col suo profluvio di commissari regionali - sperimentando un nuovo percorso che prevede la "contaminazione" da parte di diversi generi. Nonostante ciò, il buon Fabio riesce a tenere un buon ritmo e a lasciare il suo pubblico con il fiato sospeso (malgrado qualche inevitabile intoppo dovuto alla sperimentazione). 
Stassi è uno scrittore che ama mettere al centro di ogni cosa il lettore perché "leggere è un atto di onnipotenza".  E così - alla pari dei libri precedenti - Uccido chi voglio si presenta ricco di suggestioni, di citazioni e spunti letterari (è consigliabile munirsi di un taccuino per annotare tutto).
La scrittura è attenta, originale e intrisa di lirismo. Oltre ad indagare sui delitti Vince si dedicherà ad un'altra investigazione, senz'altro più personale e intimista: la ricerca del suo "padre ombra", che non ha mai conosciuto e a cui, stavolta, scriverà una lunga e definitiva lettera.


Consigliato a: coloro che cercano un giallo originale, che va al di là dei consueti confini del genere, e in cui la trama si trasforma in un escamotage per raccontare il lato oscuro della società e il potere magico e salvifico delle parole.


Voto: 7/10


domenica 11 ottobre 2020

Il sentiero delle babbucce gialle, Kader Abdolah


Kader Abdolah è ormai una certezza all'interno del variegato mondo della letteratura contemporanea. Con romanzi di assoluto valore come Scrittura cuneiforme, La casa della moschea e Un pappagallo volò sull'Ijssel ha conquistato il cuore di migliaia di lettori in tutto il mondo; con questo nuovo libro si conferma come inarrivabile narratore, capace di fare da punto di riferimento per tutti coloro che sanno apprezzare la bellezza delle sue storie - fiabesche e al tempo stesso struggenti - senza disdegnare il giusto interesse per la realtà circostante.

Il sentiero delle babbucce gialle rappresenta, prima di tutto, un viaggio nella memoria, che si ispira apertamente alla storia dell'autore ma anche alla vita di Said Sultanpur: un poeta rivoluzionario giustiziato nel 1981.
Sultan, il protagonista, è un ragazzo che è cresciuto all'interno di una famiglia persiana tradizionale. Passa le giornate nella torre del castello, un luogo che gli permette di lanciare lo sguardo sul paese circostante. Affidandosi ad un binocolo, comincerà a vedere il mondo con occhi diversi; ma la svolta giungerà nel momento in cui diventerà proprietario di una macchina fotografica. Da lì in avanti, il suo talento inizierà a sbocciare, accompagnandolo nel difficile percorso verso l'età adulta. 
Lungo la strada incrocerà la violenza, l'amore e la criminalità... fino al momento in cui il suo talento con la cinepresa gli garantirà il successo, facendolo diventare uno tra i più celebri registi iraniani. Alla fine di un lungo percorso fuggirà in Olanda - un po' come lo stesso Abdolah - dove metterà per scritto la sua storia in un olandese piuttosto approssimativo. 

In quest'opera Kader Abdolah riesce a mescolare eventi personali e nazionali in un insieme dai connotati quasi fiabeschi. Chiunque legga questo libro per documentarsi sulla rivoluzione iraniana, forse, rimarrà un pochino deluso; d'altra parte, coloro che si abbandoneranno al flusso narrativo lasciandosi incantare dalle vicende umane di Sultan avranno piena soddisfazione. 
Nel libro vengono riproposti alcuni elementi che risultano centrali nell'opera di Abdolah: l’importanza di seguire la propria strada, la nostalgia per la terra d'origine ma, soprattutto, il dovere etico della memoria.
Lo scrittore di origine iraniana dimostra per l'ennesima volta di essere un signor narratore. Il suo stile è fluido e di facile lettura; coi suoi cromosomi da grande affabulatore riesce a coinvolgere il lettore fino in fondo, rimanendo sempre in equilibrio tra due mondi contrapposti e divergenti: quello della realtà e quello della finzione.
Certo - se proprio dobbiamo fare una critica - l'autore continua a lavorare da anni sui medesimi due temi: la tumultuosa storia persiana e l'emigrazione in terra olandese. Risulta però talmente abile nel costruire, attorno a questi nuclei originari, vicende nuove e coinvolgenti da farsi perdonare qualche inevitabile ripetizione (specialmente per ciò che riguarda la rivoluzione islamica).


Consigliato a: coloro che amano le narrazioni fluide e avvincenti, in cui la storia personale si inserisce fino a confondersi nell'alveo della più grande storia mondiale, e a chiunque ami le narrazioni che sanno mantenere l'equilibrio tra realismo e fiaba. 


Voto: 8/10


Gio          

sabato 10 ottobre 2020

Il collezionista di bambini, Stuart MacBride


Il collezionista di bambini, romanzo d'esordio di Stuart MacBride, introduce il personaggio di Logan McRae: un sergente investigativo in servizio presso la polizia di Grampian, in Scozia. Il libro ha ottenuto un ottimo riscontro di pubblico a livello internazionale e così l'autore ha deciso di dare il via ad una serie che, anno dopo anno, sta diventando quasi sterminata (se i miei calcoli sono giusti, dovrebbe aver raggiunto il ragguardevole traguardo di tredici volumi).
Com'è stato questo mio primo incontro con McRae? Proseguite nella lettura... e lo scoprirete presto!  

Siamo ad Aberdeen, in pieno inverno, ed il tempo è tremendo: piove senza sosta senza aver intenzione di smettere. Per Logan McRae è il primo giorno di ritorno al lavoro dopo un anno di malattia (era stato ferito gravemente nel corso di un'indagine). Per lui, purtroppo, le cose non si mettono bene: il corpo di David Reid, un bimbo di tre anni, viene rinvenuto in un fosso; è stato strangolato e sottoposto a crudeli mutilazioni. Non si tratta però di un caso isolato: l'investigatore non ci metterà molto a rendersi conto che c'è in giro un serial killer assetato di sangue infantile.
Mentre i cadaveri continuano ad accumularsi nell'obitorio cittadino, Logan sa benissimo che non c'è tempo da perdere: altri bambini stanno scomparendo e, se non riuscirà a rintracciare il colpevole alla svelta, altri innocenti moriranno. 

Cominciamo col dire che questo romanzo è valso a MacBride un Barry Award come miglior opera prima. Sinceramente, mi ha stupito il successo di un libro per niente trascendentale. Il collezionista di bambini, a mio parere, è scritto in maniera raffazzonata, pieno zeppo di luoghi comuni e con una trama abbastanza inverosimile. Inoltre, mi ha infastidito - e non poco - quel modo quasi pornografico nell'indagare la morte di bambini innocenti, con macabre descrizioni abbastanza fuori luogo e un senso dell'umorismo del tutto scollato dal contesto drammatico a cui dovrebbe far riferimento.     
L'idea di partenza, in realtà, non sarebbe affatto male; purtroppo è stata sviluppata in maniera frettolosa e abbastanza confusionaria.
A tutto ciò, si aggiunga la penosa traduzione italiana (non è al prima volta che la Newton mi fa uno scherzo simile): siamo davvero ai limiti della decenza, con un testo infarcito di errori di forma e di sintassi che fanno perdere spesso il ritmo della lettura. 
Si salva solamente la figura del protagonista: personaggio empatico e dolente, sagace e intuitivo, che riesce ad entrare immediatamente nelle grazie del lettore; sinceramente, però, è un po' troppo poco per uscire dalla mediocrità.
Se pensiamo che il tartan noir ha prodotto fior fior di scrittori - citiamo fra tutti i grandissimi Ian Rankin e William McIlvanney - da MacBride, tratteggiato dagli addetti ai lavori come un grande del thriller contemporaneo, ci si aspetta parecchio di più. 


Consigliato a: chi ama i page-turner, con un serial killer crudele e inafferrabile e un poliziotto dolente e perspicace che cerca in ogni modo di fermarlo. 


Voto: 5,5/10


Gio     

mercoledì 7 ottobre 2020

Tornare a casa, Dörte Hansen


Tornare a casa, secondo romanzo di Dörte Hansen, in Germania ha avuto un successo clamoroso: oltre ad essere stato definito dalla critica come un vero e proprio "evento letterario" (oltre 400.000 copie vendute, per la cronaca!), ha rappresentato nel cuore dei lettori una piccola ma sentita elegia nei confronti dei piccoli paesi di un tempo che, a causa del progresso e dei cambiamenti sociali in atto, stanno pian piano scomparendo. 
Come di consueto, partiamo da un rapido assaggio del plot... 

Gli eventi raccontati nel romanzo si svolgono nella campagna della Germania settentrionale. Ingwer Feddersen, professore ultra-quarantenne, fa ritorno al suo villaggio natale lasciando dietro di sé - nella spietata e frenetica città - una carriera accademica insoddisfacente e un'ambigua convivenza a tre. Ha parecchie cose da farsi perdonare; prima fra tutte: la scelta di essere scappato via anni prima, rifiutando di proseguire l'attività di famiglia. Ora, la situazione non è per niente facile: la nonna Ella è affetta da demenza senile, il nonno Sönke porta ostinatamente avanti la conduzione della vecchia locanda e il villaggio sembra ormai indirizzato ad un rapido e brusco declino. 
Ingwer constaterà di persona la progressiva scomparsa del mondo rurale dov'era nato e cresciuto ma, al tempo stesso, si renderà conto che il dolore della perdita può anche essere l'interessante preludio a un nuovo inizio e a una nuova vita.

Questo libro racconta il cambiamento culturale e interpersonale in atto a Brinkebull - un villaggio immaginario della Frisia settentrionale -, e va alla sincera alla riscoperta della società di un tempo; luoghi dove le persone si sentivano veramente a casa propria, in cui vigeva un forte senso di rispetto e di appartenenza e in cui c'era la volontà di sostenersi a vicenda, anche nei momenti più difficili. 
Spaziando, attraverso un sapiente uso del flashback, dagli anni Sessanta ai giorni nostri, Dörte Hansen racconta una storia realistica e credibile, senza cercare di idealizzare a tutti i costi la vita di campagna. Riesce così nel difficile intento di disegnare in maniera scrupolosa e amorevole il mutamento strutturale nelle zone rurali; il villaggio di Brinkebull diventa una sorta di microcosmo che viene analizzato al microscopio, senza troppo pathos ma con una discreta dose di umorismo. 
Attingendo ad un linguaggio laconico e incisivo - anche se non troppo scorrevole (ma forse è il sottoscritto ad avere problemi con gli autori teutonici!) - l'autrice riesce a raccontare la forza delle tradizioni che hanno accompagnato intere generazioni e la situazione di un "vecchio mondo" che si sta lentamente sgretolando.
Un plauso particolare va alla descrizione dei personaggi: anche i più bizzarri tra loro vengono descritti con garbo ed empatia.


Consigliato a: coloro che amano i romanzi che raccontano la storia di mondi antichi che si stanno gradualmente dissolvendo per lasciare spazio a un presente ricco di incognite e a chiunque vuole andare alla riscoperta di valori e tradizioni legati a un passato neanche troppo lontano.


Voto: 7/10



domenica 4 ottobre 2020

La locanda del Gatto nero, Yokomizo Seishi


Dopo aver rotto il ghiaccio con Il detective Kindaichi, uscito in Italia lo scorso anno, Sellerio ci regala la seconda avventura dell'eccentrico investigatore privato che in Patria è considerato un vero e proprio mito. Mentre il caso precedente era il classico delitto della camera chiusa - ovvero un'indagine su un evento apparentemente inspiegabile, perché avvenuto in una stanza chiusa dall'esterno - questa volta il buon Kōsuke si troverà ad indagare su quello che, nel gergo della letteratura gialla, è denominato "omicidio senza volto".
Partiamo, come sempre, dalla trama. 

Un ufficiale di polizia, attraversando in bicicletta la periferia di Tokyo, scorge un monaco intento a scavare nel cortile di un tempio. Osservandolo di nascosto, vede emergere dalla terra il cadavere di una donna dal volto sfigurato. Le analisi successive riveleranno che la sconosciuta è stata uccisa da una letale ferita alla testa. Nella fossa, però, viene rinvenuta anche la carcassa di un gatto nero. 
I vecchi gestori della locanda - che si sono resi nel frattempo irreperibili - sono i principali sospettati. Il prosieguo delle indagini spingerà l'attenzione della polizia su altri due personaggi: una ballerina e un imprenditore, legati sentimentalmente ai proprietari. Solo l'intervento del geniale Kindaichi Kōsuke, però, riuscirà a dare una svolta decisiva. 

Probabilmente, il limite di questo romanzo è la sua brevità (poco più di un centinaio di pagine): di conseguenza al lettore è lasciato troppo poco tempo per entrare in competizione con l'autore, come accade in ogni Mystery che si rispetti.
La struttura è molto simile a quella del precedente romanzo: abbiamo una prima parte in cui cominciano le indagini e la polizia brancola nel buio, formulando ipotesi che si riveleranno del tutto errate; segue poi una seconda parte in cui interviene il buon Kindaichi che, con il suo tono apparentemente dimesso, diventa protagonista assoluto con il suo genio intuitivo e la sua invidiabile capacità di ragionamento.
La costruzione è senza dubbio interessante; tuttavia risulta un po' troppo macchinoso il procedimento di spiegazione del delitto.
L'ambientazione Giapponese postbellica funziona decisamente di più della trama gialla (che si ispira ai grandi classici del genere... senza però riuscire ad eguagliarli in arguzia e capacità di coinvolgimento).
Sellerio ha annunciato la prosecuzione della serie: vedremo se i prossimi romanzi ci condurranno ad un'evoluzione del personaggio e - questa è la speranza - ad una maggiore articolazione dei plot (che, per il momento, sembrano quasi appartenere alla serie "vorrei essere John Dickson Carr ma non ci riesco").


Consigliato a: coloro che amano il giallo classico e a tutti colore che apprezzano le ambientazioni tipicamente orientali.


Voto: 6/10


Gio  

sabato 3 ottobre 2020

La prima moglie e altre cianfrusaglie, Arto Paasilinna



Volomari Volotinen, il protagonista di questo romanzo, è un assicuratore che viaggia attraverso l’Europa per stipulare contratti di vario genere e per verificare i sinistri da liquidare. Sposato con la pasticcera Laura Loponen, di vent'anni più vecchia di lui, nutre una grande passione per il collezionismo, tanto da diventare un accumulatore compulsivo di antiche rarità. 
Nel corso dei suoi viaggi, che lo porteranno dalla Lapponia a Londra, dal Mar Glaciale Artico a Budapest, raccoglierà cianfrusaglie di ogni tipo: le mutande di Tarzan, la dentiera del maresciallo Mannerheim, il colbacco di Lenin, la  ghigliottina con cui venne giustiziato Danton e - udite udite - persino  una clavicola di Cristo.

La critica all'accumulazione compulsiva, al desiderio inarrestabile di possedere oggetti antichi con cui riempire la propria casa, covando l'illusione che gli stessi siano utili a rendere più pregna la vita e a fermare lo scorrere inarrestabile del tempo: questo credo che sia il significato più o meno recondito di questo libro che, come tutte le altre opere dello scrittore finlandese, è intriso da un profondo senso dell'ironia.  
La ricerca della libertà - che è un po' il leit-motiv all'interno delle narrazioni di Paasilinna - questa volta si accompagna ad un legame ferreo e tangibile con il passato più o meno recente, rappresentato dalla miriade di oggetti che vengono via via recuperati dal protagonista/accumulatore seriale.  

Probabilmente La prima moglie e altre cianfrusaglie non verrà ricordato come il miglior libro dell'autore. Anche se al vecchio Arto non fa certo difetto la fantasia, questa volta le sue invenzioni narrative non riescono a convincere del tutto. 
A farsi sentire è soprattutto la mancanza di una trama solida che faccia da spina dorsale all'impianto generale. Piuttosto che a un romanzo, infatti, ci troviamo di fronte a un collage di racconti - più o meno riusciti - che hanno come unico filo conduttore la figura del protagonista, impegnato nella sua folle corsa al possesso dei cimeli più disparati e stravaganti.
La prosa di Paasilinna, come sempre, si dimostra scorrevole, divertente e mai banale; i personaggi sono eccentrici quanto basta e le situazioni a tratti surreali. Tutto ciò contribuisce, almeno in parte, a salvare un libro che va sicuramente annoverato tra le opere minori del geniale autore finlandese. 


Consigliato a: coloro che sanno apprezzare l'ironia scandinava, i personaggi eccentrici e stralunati e la velata critica all'accumulazione selvaggia e compulsiva.   


Voto: 6+/10