lunedì 30 aprile 2018

A oriente del giardino dell’Eden, Israel J. Singer



Ogni volta che leggo un romanzo di Israel Joshua Singer – fratello del Nobel per la Letteratura Isaac Bashevis – mi sorge il dubbio che il premio sia stato conferito all'autore sbagliato. Come nei precedenti I fratelli Ashkenazi e La famiglia Karnowski, lo scrittore di origine polacca riesce a raccontare in maniera impareggiabile le traversie di una famiglia di stirpe ebraica, vittima delle persecuzioni e della dilagante ingiustizia sociale.

La vicenda si snoda tra i primi anni del novecento ed il periodo immediatamente antecedente l'avvento del nazismo.
Mattes Ritter, soprannominato la lepre, è un venditore ambulante che percorre avanti e indietro le campagne polacche, cercando di smerciare la sua povera mercanzia. Le sue speranze di affermazione sociale sono tutte riposte nell'unico figlio maschio – Nachman – che vorrebbe trasformare in uno stimato rabbino. Il ragazzo, però, seguirà una strada completamente diversa: verrà sedotto dalle irresistibili sirene del socialismo reale, che lo spingeranno ad inseguire il suo sogno al di là del confine sovietico. Ma anche le figlie Sheindel e Reisel non soddisferanno le speranze paterne: la prima, intelligente ed avventurosa, rimarrà incinta di un soldato russo; la seconda incontrerà un destino ancora peggiore.

Una comunità perseguitata, umiliata, ma sempre animata da una fiamma nascosta, segreta ed invincibile, che le consente di rimanere in vita: questo è il filo conduttore di un romanzo potente e ricco di disillusione.
Si tratta di un’opera struggente e malinconica, che attraverso le vicende della famiglia Ritter arriva a raccontare in maniera esemplare quello che è il continuo “errare” dell'uomo su questa terra.
Malgrado sia un filino al di sotto dei due citati capolavori, A oriente del giardino dell’Eden è comunque un romanzo emozionante, che riesce come pochi altri a spiegare in maniera encomiabile la delusione per il comunismo reale, che in luogo delle promesse di libertà e uguaglianza è stato in grado di produrre solo desolazione e sofferenze.
Singer è inarrivabile nella descrizione dei personaggi, che risultano realistici ed intensi, ed è un autentico maestro nell'accurata ricostruzione di un periodo storico ricco di fermenti politici ed ideologici.  


Consigliato a: coloro che sanno ancora appassionarsi ai grandi romanzi, capaci di raccontare attraverso le vicissitudini di una famiglia la storia di un mondo in continua evoluzione, ed a chi ama i personaggi forti che, nonostante il vento contrario, non si piegano di fronte al destino.


Voto: 7,5/10   



venerdì 27 aprile 2018

Il signor Mani, Abraham B. Yehoshua


Questo libro è composto da cinque dialoghi… che in realtà si trasformano in veri e propri monologhi, in quanto la parte “parlata” riferibile all'interlocutore viene del tutto omessa. Assistiamo, così, a cinque confessioni: a partire dal 1983 andando indietro nel tempo, fino a raggiungere la metà dell’800.

Una figlia che parla con la madre, un soldato nazista che discorre con la nonna/matrigna, un soldato inglese che chiede consigli al suo superiore, un giovane medico che comunica col proprio padre, un commerciante che si confessa al suo maestro/mentore…
Ognuno di questi dialoghi racchiude una diversa prospettiva storica: la Palestina moderna, l’occupazione nazista delle isole greche durante la seconda guerra mondiale, la dominazione britannica durante il primo conflitto, il congresso sionista del 1899, la Gerusalemme di metà Ottocento. 
A legare insieme queste vicende – costruite esclusivamente sulle parole dei cinque protagonisti/oratori – è un filo rosso, solido ed inestinguibile, che si snoda attraverso centocinquant'anni di storia: i vari “Signor Mani” si susseguono, di padre in figlio, attraverso le varie epoche storiche e sono i veri protagonisti delle narrazioni.
Ne scaturisce, così, un potente affresco sull'ebraismo: sulle sue radici, sulla sua evoluzione, sul suo modo di essere e di apparire, sul suo modo di trasformarsi e di adattarsi alle varie contingenze.

Il punto focale della narrazione sembra essere quello dell’incidenza del passato di un popolo sulle sue vicende presenti.
La lettura non è facilissima: il fatto di aver occultato le risposte degli interlocutori costringe il lettore ad un lavoro interpretativo in cui fantasia, sensibilità e disposizione d’animo svolgono un ruolo predominante. La scrittura, però, è davvero notevole: mirabili descrizioni di luoghi, di periodi storici, di stati d’animo, di conflitti interiori dei protagonisti rendono questo libro una lettura importante, differente da qualsiasi altra.
Si tratta, indubbiamente, di un'opera molto particolare: sia per la trama sia per la scelta espositiva. Potremmo scorgervi, a tratti, una sorta di sfida in cui cimentarsi, perdendosi a poco a poco nella bellissima prosa di uno dei più grandi scrittori contemporanei, assaporandone fino in fondo ogni più piccolo particolare.


Consigliato a: coloro che amano la Letteratura con la L maiuscola e a chiunque voglia fare al conoscenza di uno degli esponenti di punta della letteratura israeliana contemporanea.


Voto: 7,5/10


giovedì 26 aprile 2018

Il vecchio e il mare, Ernest Hemingway





Questo romanzo è, probabilmente, una delle opere più celebri del grande scrittore americano: quella che gli portò il Pulitzer nel 1953 e il Nobel per la Letteratura nel 1954. Nonostante tutto ciò, rappresenta allo stesso tempo il periodo più buio di Hemingway, con l’autore ormai stanco e vittima della depressione. Un persistente pessimismo di fondo, di conseguenza, permea di sé ogni pagina del libro che diventa il racconto di un’ineluttabile sconfitta contro un destino avverso, che distrugge ogni umana conquista.

La trama credo che sia ormai nota a tutti. Santiago è un anziano pescatore che, dopo 84 giorni di magra, decide di riprendere il largo per spezzare il lungo digiuno, alla ricerca di qualche grosso pesce. Si troverà a trascorrere i tre giorni successivi in mare aperto ed a combattere una lotta estenuante con un gigantesco marlin, simbolo della forza della natura.

Un pescatore solitario e sfortunato, il combattimento contro un avversario fiero e invincibile, la vittoria ottenuta con estenuante determinazione, il ghigno beffardo del destino. Questi sono gli ingredienti di un romanzo breve – poco meno di meno di 100 pagine – che riesce ad essere cattivo e spietato ma anche pieno di eccezionale umanità.
La scrittura è diretta, nitida e senza fronzoli; di una semplicità che riesce, però, a rendere il testo toccante e profondo. I temi universali della solitudine, del rapporto tra giovani ed anziani, dell’eterno conflitto tra uomo e natura vengono sviscerati in maniera esemplare, lasciando nel lettore una sensazione di malinconia diffusa, capace di toccare le corde più nascoste dell’anima.
Il vecchio e il mare rappresenta il testamento spirituale di Hemingway: un uomo in difficoltà, che viveva in mezzo a una perenne “tempesta”. Se il vecchio Ernest non è riuscito a salvare se stesso dalle ondate impetuose della vita, ci ha comunque lasciato in eredità una delle opere più brillanti, significative e sincere della letteratura contemporanea.


Consigliato a: coloro che vogliono scoprire uno dei romanzi più importanti del Novecento, opera di un autore unico, capace di descrivere la realtà con un’asciuttezza di linguaggio ed una potenza espressiva ineguagliabili.


Voto: 8/10


mercoledì 25 aprile 2018

Il giallo al femminile di Rosa Teruzzi

Buongiorno gente!
Anche oggi vi parlo di una serie... nello specifico, della trilogia di gialli scritti da Rosa Teruzzi e pubblicati da Sonzogno.


Sì, avete letto bene: gialli.
So che è insolito, da parte mia, però ogni tanto succede. 😁
Naturalmente non sono del tipo di quelli che solitamente legge Gio, ma comunque sempre di indagini si tratta.



Vi avevo già nominato quest'autrice qualche articolo fa, in occasione della lettura del primo libro e dell'acquisto dei successivi, ma ho ritenuto opportuno dare un parere sulla serie completa anziché affrontare superficialmente un volume alla volta.

I titoli che compongono questa trilogia sono:
La sposa scomparsa
La fioraia del Giambellino
Non si uccide per amore


Protagoniste della storia sono tre donne che vivono in un ex casello ferroviario e sono, rispettivamente, nonna, madre e nipote.
- Iole, una hippy quasi settantenne, piena di energia e fuori come un balcone;
- Libera, fioraia di mezz'età rimasta vedova per motivi ancora più o meno ignoti, in quanto la polizia non ha ancora scoperto chi le ha ucciso il marito, che si dedica alla composizione di bouquet da sposa e a non prendere in mano le redini della sua vita;
- Vittoria, poliziotta venticinquenne che segue il caso del padre e che ha un modo di fare che, personalmente, mi fa venire sempre una voglia matta di prenderla a schiaffi.

La loro vita scorre in maniera regolare, almeno fino a quando al casello non compare una donna vestita di nero. Vittoria la riconosce e si ritira in camera fingendo di non essere in casa, ma Libera va ad accogliere la sconosciuta: la signora le spiega che vuole parlare con la poliziotta affinché indaghi sulla scomparsa della figlia, sparita ormai da molti anni.
Alla fine, spinta dalla curiosità di Iole e da lei aiutata nonostante i divieti della figlia, Libera decide di aiutare la donna e scoprirà ciò che veramente è accaduto.

Il tutto, naturalmente, è accompagnato da momenti divertenti, personaggi assurdi, e condito con piccoli scontri tra le mura di casa e l'immancabile triangolo amoroso composto da Libera, Gabriele - collega e amico del marito - e Furio, un cuoco che arriva al casello per motivi di lavoro.

Lo schema dei romanzi è pressoché il medesimo: le persone sentono parlare bene dei bouquet di Libera, si recano da lei per commissionarle un lavoro e/o per chiederle aiuto; Iole spinge Libera ad assecondare le richieste investigative e le loro indagini scorrono in parallelo con quelle della polizia sul caso del marito di Libera; la fioraia, com'è prevedibile, risolve i casi bagnando il naso agli uomini in divisa. Tuttavia non mancano i colpi di scena e la scrittura scorrevole rende piacevolissima la lettura di questi brevi testi anche per chi, come me, non è affatto appassionato di gialli.


martedì 24 aprile 2018

Belgio & Olanda, tra un passato importante e un presente che non decolla



La produzione letteraria di Belgio e Olanda, storicamente, è sempre stata sottorappresentata nel nostro paese. Nonostante la posizione geografica favorevole, che individua un importante crocevia tra gli influssi del nord Europa e quelli continentali, il noir del Benelux non ha avuto la stessa fortuna di quello dei paesi Scandinavi, che continuano a sfornare autori come fossero baguette.
Negli ultimi decenni – se si eccettua il fortunato caso di Pieter Aspe – il giallo/noir belga-olandese sembra essere sparito dai radar della letteratura “che conta”. Gli autori recentemente venuti alla ribalta, di cui parleremo in seguito, non hanno avuto troppa attenzione da parte di un pubblico ormai diviso tra la seriosità del thriller nordico e l’indole scanzonata del giallo mediterraneo: hanno scritto opere che, almeno in Italia, hanno fatto una rapida comparsata negli scaffali delle librerie per finire in breve tempo nel dimenticatoio. Paradossalmente, i Paesi Bassi più intriganti sono stati descritti dal giallista svedese Håkan Nesser, che li ha ambientati nella città immaginaria di Maardam.
Nonostante questo periodo di crisi – che pare non aver fine – Belgio ed Olanda hanno un passato importante nella storia del poliziesco: basterebbe nominare Georges Simenon e Robert Van Gulik per mettere tutti d’accordo.
In questo articolo parleremo essenzialmente degli autori più importanti: quattro “pezzi da novanta” che hanno fatto conoscere al mondo intero le potenzialità del giallo belga ed olandese. Faremo però qualche rapido accenno anche agli emergenti: autori che al momento non hanno riscosso grossa fortuna dalle nostre parti ma che, al di là delle critiche, ci fanno capire che nei Paesi Bassi e dintorni il genere non è morto… anzi: trasmette una sensazione di vitalità che non va trascurata. Magari bisognerà aspettare un po’ di tempo, occorrerà un personaggio forte e trainante – come lo sono stati Stieg Larsson per la Svezia e Jo Nesbø per la Norvegia – ma i cromosomi del mistery sono vivi e vegeti anche da quelle parti e prima o poi il riflettore del successo tornerà ad illuminare anche gli stati che si affacciano sul Mare del Nord.                

Belgio

Georges Simenon (1903-1989): Si tratta di uno dei più prolifici scrittori del ventesimo secolo: si dice che fosse in grado di produrre fino a ottanta pagine al giorno. A lui si devono centinaia di romanzi e racconti, ma la sua notorietà è tale soprattutto grazie al personaggio di Jules Maigret, commissario di polizia francese, che rappresenta una delle icone del genere (il primo della serie è Pietr il lettone, edito in Italia da Adelphi). Simenon, in realtà, aveva iniziato a scrivere i libri imperniati sulla figura di Maigret con l’idea che gli stessi avrebbero rappresentato una fase intermedia tra i suoi iniziali romanzi popolari ed i romanzi impegnati, quelli che egli definiva i romanzi duri. E così, dopo appena tre anni dal lancio della serie, l’autore decise di mandare in pensione il suo commissario, per la costernazione dei lettori ed il dispiacere del proprio editore.
Maigret, col tempo, è diventato uno dei più celebri investigatori di sempre. Con la sua aura di poliziotto flemmatico ed intuitivo, si distingue per il personalissimo metodo d’indagine: riesce ad immergersi letteralmente nell'atmosfera dei luoghi in cui sono avvenuti i delitti, lasciandosi guidare dall'intuizione, cercando di comprendere fino in fondo la personalità degli individui coinvolti nel caso.

Pieter Aspe (1953): Nome d’arte di Pieter Aspeslag, ha esordito come scrittore nel 1995 con Il quadrato della vendetta. Nel 2001 ha vinto il premio Hercule Poirot come miglior scrittore fiammingo di gialli.
I suoi romanzi sono basati sulla figura del commissario Pieter Van In: un poliziotto malinconico ed irascibile, con un carattere difficile, un caustico senso dell’umorismo e nessun rispetto delle gerarchie. Amante della birra e delle belle donne, il nostro investigatore dimostra un innato talento nella risoluzione dei casi più intricati.
Soprannominato il Simenon fiammingo, Aspe si differenzia dall'illustre predecessore per la tipologia dei temi trattati. Profondamente attaccato all'attualità, all'interno delle sue trame predilige situazioni legate all'analisi sociale, concentrandosi su argomenti quali i delitti di mafia, la corruzione dilagante e la pedofilia.
Ambientati nella tranquilla città di Bruges, i suoi libri sono intrisi di una robusta critica alla conflittualità fiamminga-vallone: un elemento ricorrente nella società belga dei nostri giorni.


Oltre ai due autori citati… non c’è molto altro. Recentemente si è parlato della giovane Lize Spit, considerata la promessa della letteratura fiamminga: con il romanzo Si scioglie (Edizioni e/o) ha sforato il tetto delle 100.000 copie ed ha avuto il plauso della critica internazionale. Sarà lei la fonte di innesco per la rinascita di un movimento che, da troppo tempo, se ne sta rinchiuso in sordina? 

Olanda

Robert Van Gulik (1910-1967): Diplomatico e studioso di culture orientali, è famoso per i suoi originali romanzi polizieschi, che sono stati lodati da celeberrime colleghe come Agatha Christie. Le sue storie sono ambientate nella Cina del periodo della dinastia Tang (VII secolo) ed hanno per protagonista l’onorevole Magistrato Dee: un personaggio ispirato ad una figura realmente esistita, quella del funzionario Ti Jendjieh.
Dee rappresenta una sorta di Sherlock Holmes cinese, con occhio e cervello talmente acuti che gli permettono di risolvere i casi più complessi contando su pochissimi indizi.
Molte delle avventure descritte dall'autore olandese trovano ispirazione in fatti realmente accaduti, raccontati nel tempo anche da altri autori. Van Gulik li ha rielaborati, utilizzando i fatti principali e modificando spesso l’ambientazione al fine di adattarli a quanto richiesto dalla narrativa poliziesca.
La serie, pubblicata in Italia a cura di O Barra O Edizioni, è apprezzabile per l’accuratezza nella descrizione della cultura e dell’ambiente cinesi. Tra i romanzi va menzionato: I delitti della campana cinese.

Janwillem Van de Wetering (1931-2008): Ha iniziato a scrivere all'età di 40 anni, dopo essere stato uomo d’affari giramondo, commissario speciale ad Amsterdam ed aver soggiornato a lungo in un monastero giapponese. I protagonisti dei suoi romanzi sono due detective della polizia di Amsterdam: De Gier e Grijpstra.
Grijpstra, il partner più anziano della squadra, è un imbolsito padre di famiglia; De Gier, giovane e aitante, è uno scapolo impenitente. Ognuno dei due detective, in realtà, è geloso della vita del collega: uno vorrebbe avere una moglie, mentre l’altro tornerebbe volentieri single. I due poliziotti hanno un metodo d’indagine molto particolare e spesso si dimostrano più inclini alla discussione filosofica che all'azione.
La coppia compare in una dozzina di romanzi polizieschi oltreché in numerosi racconti, che hanno avuto un’eco internazionale così vasta da essere pubblicati sui Mistery Magazine di Ellery Queen e di Alfred Hitchcock. In Italia, la serie è stata pubblicata anni fa da TEA ma è di difficile reperibilità (speriamo in una sollecita ristampa!). Tra le opere più note, ricordiamo Lo strano omicidio della casa galleggiante e Il caso del cadavere ritrovato sull'argine.


Dal punto di vista delle nuove leve, l’Olanda è messa decisamente meglio del Belgio: nell'ultimo decennio sono numerosi gli autori che sono giunti fino a noi.
Charles den Tex ha vinto per ben tre volte il premio Gouden Strop, il maggior riconoscimento olandese per i romanzi gialli, ed ha avuto visibilità con il libro Amsterdam. La rete uccide (pubblicato da Edizioni e/o).
Un altro nome da tenere a mente è quello di Gerbrand Bakker che, con La deviazione – edito da Einaudi –, ha ottenuto il consenso del pubblico e della critica ed è stato inserito nel novero dei più promettenti scrittori olandesi.
Saskia Noort ha fatto parlare di sé con il romanzo La febbre, un thriller dalle connotazioni erotiche che ha venduto parecchio in giro per il mondo (oltre 1.500.000 di copie, secondo Newton Compton).
Chiudiamo questa breve rassegna con Danielle Hermans, che si è cimentata nel thriller con risvolti storici alla Dan Brown con L’eredità Winckel (Piemme).
Scrittori promettenti esistono, indubbiamente, ma al momento non sono altro che luci minuscole in una notte senza luna. All'Olanda occorrerebbe invece un faro gigantesco, capace di illuminare tutto quanto il movimento.

Anche stavolta siamo giunti alla fine del nostro percorso.
La situazione del giallo in Belgio ed Olanda, come abbiamo visto, è tutt'altro che rosea: i giovani autori paiono quasi intimoriti – se non schiacciati – dalle ombre dei colossi del passato. D’altra parte, chi non diventerebbe piccolo piccolo confrontandosi col carisma di Georges Simenon?
Nonostante tutto, occorre essere ottimisti riguardo al futuro più o meno immediato. In fondo, si tratta di nazioni in cui si legge e si traduce moltissimo e dall'italiano – in particolare – si trova un po’ di tutto: dai classici ai best-seller di Paolo Giordano ed Elena Ferrante. Inoltre, se ci concentriamo sui Paesi Bassi, l’attenzione al fenomeno libro è notevole: annualmente vengono organizzati eventi per i lettori in giro per il paese e, per ogni acquisto in libreria, viene donata una novella scritta per l’occasione da un autore affermato.
Quindi… è ancora troppo presto per celebrare il funerale del giallo/noir del Benelux. Attendiamo speranzosi in un colpo di coda, affinché un movimento che ha scritto pagine importanti all'interno del genere riesca finalmente a risalire la china.


lunedì 23 aprile 2018

Le bambine dimenticate, Sara Blædel


Sara Blædel, in Danimarca, è una vera e propria star: ha venduto nel corso degli anni oltre due milioni di copie che, su circa sei milioni di residenti, rappresentano una cifra da record.
La curiosità, di conseguenza, mi ha letteralmente imposto di acquistare questo romanzo per capire i motivi del suo successo travolgente (considerato che un danese su tre possiede un volume dell’autrice).
Se devo dire la verità, il libro non mi ha per niente esaltato: nonostante un buon inizio, la prevedibilità della trama e la scarsa caratterizzazione dei personaggi hanno progressivamente fatto scemare il mio interesse per la vicenda e, alla fine, ho terminato la lettura senza particolari entusiasmi.     

Dopo una lunga esperienza alla Omicidi, Louise Rick ha appena assunto il ruolo di capo del Dipartimento Persone Scomparse. Si trova sin da subito alle prese con un caso difficile: il rinvenimento in mezzo ad un bosco del cadavere di una donna. Viste le difficoltà di identificazione, Louise decide di rendere pubblica la fotografia della vittima. Viene così a sapere che si tratta di Lisemette, una “bambina dimenticata”, che parecchi anni prima era stata rinchiusa in un centro di salute mentale. La poliziotta, però, ben presto scoprirà una verità ancora più terrificante: la donna aveva una gemella ed entrambe, una trentina di anni prima, erano state dichiarate morte...

Ho trovato Le bambine dimenticate piuttosto banale. Nonostante l’ottima partenza, in cui c’erano tutti i presupposti per un buon thriller, la trama si perde ben presto per strada, adagiandosi in uno svolgimento semplicistico e scontato. I personaggi sono di cartapesta: mancano di spessore e non riescono a catturare l’attenzione di lettori che, dopo l’invasione di thriller scandinavi, necessitano di qualcosa di più solido e convincente del solito plot a sfondo macabro. Inoltre, i rimandi tra presente e passato non sempre filano lisci, risultando eccessivamente meccanici e forzati.
Non so se il problema di fondo sia legato al proliferare di scrittrici nordiche, che hanno la tendenza a riproporre il medesimo stereotipato personaggio – donna forte in apparenza, vulnerabile internamente, in lotta col maschilismo dominante – ma la Louis Rick della Blædel lascia uno sgradevole senso di deja-vu e non invoglia sicuramente a proseguire la serie.


Consigliato a: tutti gli amanti del thriller nordico, per fare la conoscenza di quella che è considerata - a torto o a ragione - la regina del giallo danese.


Voto: 5,5/10 



venerdì 20 aprile 2018

Sellerio: quando il Giallo diventa Blu


C’era una volta una piccola casa editrice.
Fondata alla fine degli anni sessanta, a Palermo, da un fotografo e da una ex funzionaria pubblica, cominciò in sordina i primi passi nel mondo dell’editoria. E così, anno dopo anno, iniziò a crescere ed a mietere i primi successi.
In un mondo editoriale in continuo movimento – in cui quotidianamente nuove case editrici nascono ed altre scompaiono – spesso caratterizzato da fusioni di grandi gruppi imprenditoriali, questa piccola realtà è riuscita non solo a sopravvivere, ma addirittura a prosperare: come una sorta di Davide in mezzo ad aggressivi Golia ha vinto alla grande la scommessa, andando al di là delle più ottimistiche previsioni.
Ora possiede una fetta importante del mercato: è entrata a far parte della top ten nazionale e – per quanto riguarda il “prodotto-romanzo” – si è saldamente insediata al quinto posto per numero di copie vendute.
Per capire il motivo di questo successo, non ci resta altro che raccontare la storia di Sellerio, ricostruendo lo straordinario percorso di crescita di una casa editrice che, da qualche anno a questa parte, è ormai sulla bocca di tutti: raro esempio di organizzazione e di oculatezza imprenditoriale. 

Il fenomeno Camilleri
Sellerio sembrava ormai avviata verso un destino “di nicchia” quando, negli anni novanta del secolo scorso, scoprì una vera e propria miniera d’oro: un regista/sceneggiatore di nome Andrea Camilleri, diventato romanziere in età piuttosto matura.
Il 1994 – data di uscita di La forma dell’acqua, primo romanzo imperniato sulla figura del commissario Montalbano – rappresenta una data cardine non solamente per la casa editrice siciliana ma anche per la letteratura gialla di casa nostra. Coniugando alla perfezione la tensione del mistery con l’umorismo tipico della commedia, Camilleri creava una nuova tipologia di romanzo, capace di ribaltare completamente le regole del mondo editoriale italiano. Le classifiche dei best sellers – che fino a quel punto erano state dominate dagli autori d’oltreoceano – subivano uno stravolgimento epocale: uno scrittore italiano, per la prima volta, risultava essere il più venduto. 


Ma Camilleri non era l’unica freccia nell'arco di Sellerio. Nello stesso periodo, la casa editrice ottenne ottimi riscontri dalla pubblicazione dei romanzi di Manuel Vázquez Montalbán, che fecero conoscere al grande pubblico lo straordinario personaggio dell’investigatore/ex agente CIA Pepe Carvalho. 

Gli autori stranieri e… un altro italiano
E così i gialli di Sellerio – che nella realtà hanno la copertina di un bel colore blu notte – cominciarono ad accaparrarsi i favori del grande pubblico, contribuendo ad ampliare a dismisura il bacino di utenza della casa editrice.
Forte del successo raggiunto, Sellerio decise quindi di puntare su alcuni scrittori stranieri di sicuro impatto. Il tentativo di creare un’alternativa al giallo/thriller nordamericano, che fino a quel momento la faceva da padrone incontrastato, portò sin da subito ad ottimi risultati: gli scrittori introdotti sul mercato nostrano ottennero un’ottima accoglienza, arrivando in breve tempo a conquistare il favore di lettori desiderosi di un prodotto di qualità.
Tra gli autori presentati in Italia negli ultimi anni, vanno sicuramente menzionati la spagnola Alicia Giménez Bartlett, il britannico Colin Dexter e la coppia (anche nella vita) svedese composta da Maj Sjöwall e Per Wahlöö.


Nello stesso periodo, la casa editrice scopriva un altro scrittore italiano di talento: l’ex magistrato Gianrico Carofiglio, che con i suoi legal-thriller costruiti sulla figura dell’Avvocato Guerrieri riusciva ad ottenere un meritato successo. 

L’ultimo decennio: Manzini, Malvaldi & c.
Negli ultimi anni, Sellerio ha proseguito l’escalation cominciata nei decenni precedenti con un crescendo rossiniano di rara intensità.
Antonio Manzini, con il personaggio di Rocco Schiavone, e Marco Malvaldi, con i vecchietti del BarLume, hanno fatto propria la lezione di Camilleri: la contaminazione di trame gialle ben congegnate con elementi tipici della commedia (a tratti quasi da avanspettacolo) ha portato a risultati eccellenti, visto che entrambi gli autori hanno raggiunto il milione di copie vendute.


Seguendo la stessa scia, una nuova generazione di scrittori si sta facendo pian piano conoscere: oltre ai due testé citati, vanno ricordati Alessandro Robecchi, Francesco Recami e Gaetano Savatteri.
Inoltre, non possono essere dimenticate le cosiddette “antologie”: volumi che raccolgono alcuni racconti brevi degli scrittori di “Casa Sellerio” (la prima è stata Un Natale in giallo, uscita nel 2011), che vendono decine di migliaia di copie.

L’Oscar del giallo
Il Premio Scerbanenco è un riconoscimento letterario per il genere giallo intitolato a Giorgio Scerbanenco: maestro riconosciuto oltreché capostipite della letteratura poliziesca italiana. Nell'ambito di questo settore, rappresenta senza dubbio il riconoscimento di maggior rilievo a livello nazionale.
Or bene, nelle recenti edizioni di questa sorta di “Oscar del giallo” abbiamo assistito per ben due volte al trionfo di romanzi editi da Sellerio: nel 2016 Cosa resta di noi di Giampaolo Simi e nel 2017 La lettrice scomparsa di Fabio Stassi.


Questi successi confermano – nel caso ce ne fosse bisogno – la meticolosa attenzione dell’editore alla qualità dei prodotti: libri intelligenti ed allo stesso tempo divertenti, scelti con cura ed in grado di convincere non solo il pubblico ma anche il più smaliziato dei critici. 

Conclusioni
Alla fine di questo excursus, non è difficile trarre delle conclusioni.
Che cosa c’è realmente dietro il successo di questa piccola casa editrice, in grado di competere con giganti dell’editoria quali Mondadori, Rizzoli, Longanesi & C.?
Come primo punto, va evidenziato come – nel corso degli anni – Sellerio abbia cercato di puntare sulla “costruzione” casalinga degli autori piuttosto che dannarsi l’anima nel tentativo di azzeccare a tutti i costi il best seller: Manzini, Malvaldi e gli altri sono emersi proprio grazie a questo editore, che è stato capace di dar loro fiducia, proiettandoli nell'olimpo della notorietà.
In secondo luogo, la natura “seriale” dei romanzi – col periodico ritorno di protagonisti come Salvo Montalbano o Rocco Schiavone – ha consentito di indirizzare le scelte del pubblico sul nome dell’autore piuttosto che su un titolo seducente o ammiccante.
Altro elemento da non dimenticare è l’accurata selezione dei titoli. Nonostante la crescita esponenziale del volume di affari (nel 2016 è cresciuta del 30% rispetto all'anno precedente) il numero dei titoli è rimasto pressoché costante: una sessantina di libri l’anno, quindi 5 o 6 al mese. Da questo emerge un’inequivocabile dato di fatto: la scelta di puntare sulla qualità (ovvero pochi libri scelti bene) piuttosto che inflazionare il mercato con centinaia di titoli, sperando di pescare il jolly dal mazzo.
Come punto conclusivo, una nota di merito spetta alla copertina dei romanzi (perché, com'è ovvio, anche l’occhio vuole la sua parte). Il formato, l’impostazione grafica e l’inimitabile blu che fa da sfondo all'immagine seguono ancora il progetto grafico di Enzo Sellerio, una scelta coraggiosa che ha sfidato il tempo e ancora oggi rappresenta più di un marchio di fabbrica. Quasi a dire che, in un mondo dell’editoria soggetto a bruschi e repentini cambiamenti di clima, i libri editi da Sellerio sono ormai una delle poche certezze.


giovedì 19 aprile 2018

Delitti tra i Cantoni: il Giallo svizzero contemporaneo



Nei luoghi comuni la Svizzera è considerata il paese del cioccolato, degli orologi, del formaggio e dei paesaggi da sogno. Le città sono celebri per le loro strade pulite, i tram rigorosamente puntuali e l’erba tosata e pettinata; gli abitanti sono maniaci della puntualità ed intolleranti per ogni sorta di inefficienza dei servizi.
Come potete intuire, si tratta di una cornice tutt’altro che ideale per la rappresentazione di storie nere o poliziesche. Eppure, nonostante queste premesse sfavorevoli, anche la Confederazione Elvetica ha dato il suo valido contributo allo sviluppo del Giallo Mittel-Europeo.
Bisogna premettere, però, che non esiste una vera e propria letteratura svizzera, in quanto autori e autrici si sono mossi soprattutto negli ambiti culturali dei rispettivi idiomi (tedesco, francese ed italiano). E così – nonostante i tentativi di rafforzare l’idea di una letteratura nazionale - la lingua ha sovente avuto la meglio sui confini: basti pensare alla produzione della Svizzera tedesca che dimostra una forte correlazione con quella della Germania.   
Al di là di queste doverose considerazioni, questo piccolo stato nel cuore dell’Europa ha dato i natali a narratori che hanno scritto pagine importanti nella storia del giallo/noir contemporaneo.
In questo articolo parleremo principalmente di cinque protagonisti della scena letteraria svizzera che, attraverso le loro opere, sono riusciti ad ottenere una vasta eco internazionale.   


Friedrich Glauser (1896-1938):
Nonostante l’esistenza problematica – fu a lungo morfinomane e dipendente dall’oppio – Glauser rappresenta uno dei principali interpreti del giallo di lingua tedesca. La sua notorietà è dovuta, soprattutto, ai polizieschi imperniati sul personaggio del Wachtmeister Studer. Tra le sue opere, pubblicate in Italia da Sellerio, vanno menzionate Il cinese e Il regno di Matto.
Definito dal suo editore il "Simenon svizzero", ha in comune con lo scrittore belga l'attenzione al confronto umano che si genera dopo un delitto e la meticolosa investigazione dei motivi che spingono una persona normale a uscire dalla società civile rendendosi colpevole di omicidio.
Dal 1987 è stato istituito il Premio Glauser: uno dei più noti riconoscimenti per la letteratura di genere in lingua teutonica.

Friedrich Dürrenmatt (1921-1990):
Dopo la seconda guerra mondiale, ispirato dalla lettura di Lessing, Kafka e Brecht, si dedicò alla stesura di racconti brevi e di pezzi teatrali, prima di approdare nel territorio del romanzo.
Nella sua vasta produzione letteraria ha spesso analizzato i problemi della società contemporanea, smascherando le meschinità nascoste dalla facciata perbenista e piccolo borghese. I suoi libri – tra cui vanno ricordati Il sospetto, La promessa, Il giudice e il suo boia - intendono dimostrare una tesi ben precisa: i destini umani sono spesso governati dal caso.
Per Dürrenmatt, infatti, l’accurata concatenazione di eventi fittizi all’interno di una trama - a maggior ragione se poliziesca – è poco compatibile con la realtà e rappresenta una costruzione intellettuale troppo debole per essere credibile.

Hansjörg Schneider (1938):
Valido drammaturgo, oltreché scrittore, ha usato occasionalmente nelle sue opere il Mundart (ovvero il dialetto svizzero). Con le storie basate sul commissario Peter Hunkeler - funzionario della polizia criminale di Basilea – ha ottenuto ottimi riscontri di pubblico e di critica. Il suo protagonista è un ultracinquantenne indolente e disilluso, che ama l’alcool e le bettole di quart'ordine: locali frequentati dalla stessa gentaglia che prima o poi gli toccherà arrestare.
Nelle sue opere ha spesso rappresentato una dimensione arcaica della Svizzera, con i suoi paesaggi, la sua vegetazione, la sua gastronomia e la rassicurante alternanza delle stagioni. Tra i suoi romanzi, editi da Casagrande, vanno menzionati Il caso Livius e Morte di una dottoressa.


Andrea Fazioli (1978):
Originario di Bellinzona, dopo aver lavorato come giornalista e presentatore radiotelevisivo è stato assistente di letteratura francese all’università e insegnante di italiano alle scuole medie ed al liceo.
Nel 2005, grazie all'editore svizzero Dadò, ha pubblicato il romanzo Chi muore si rivede, in cui compare per la prima volta il personaggio dell'investigatore privato Elia Contini. Questo detective molto particolare abita a Corvesco, un paese immaginario del Canton Ticino, ama i cantautori francesi ed ha l’insolito hobby di camminare nei boschi per fotografare le volpi.
Tra le sue opere, pubblicate da Guanda, citiamo L’uomo senza casa (vincitore del Premio Stresa 2008), Come rapinare una banca svizzera e La sparizione.

Joel Dicker (1985):
Nato nella svizzera francofona, dopo essersi laureato in Giurisprudenza all'Università di Ginevra ha deciso di dedicarsi anima e corpo alla scrittura. L’inizio di carriera non è stato per niente promettente: i suoi primi romanzi sono stati sdegnosamente rifiutati dagli editori ed il giovane emergente ha dovuto attendere fino al 2012, con Gli ultimi giorni dei nostri padri, per vedere pubblicata una sua opera.
Nello stesso anno viene però pubblicato La verità sul caso Harry Quebert: un romanzo pieno di colpi di scena attraverso cui ha conosciuto uno straordinario successo a livello internazionale. Tradotto in ben 33 lingue, questo libro ha venduto più di cinque milioni di copie nel mondo ed è stato premiato con il Grand Prix du Roman de l'Académie française.

Ed eccoci arrivati alla fine di questo breve pellegrinaggio tra i cantoni!
Gli autori su cui abbiamo concentrato l’attenzione ci hanno dimostrato l’esistenza di alcuni “denominatori comuni”, derivanti da una cultura che riesce ad unire più di quanto la lingua divida: il sentirsi, ad esempio, parte di un piccolo paese, circondato da grandi nazioni, e l’essere costantemente animati da una mentalità fortemente democratica.
Nonostante la Svizzera sia un paese giovane, multiculturale e plurilingue, che ha spesso sofferto di immobilismo e isolamento, molti narratori contemporanei hanno rivelato un’insospettata indole dissacratoria, non disdegnando di sperimentare nuove forme espressive.




mercoledì 18 aprile 2018

The Lock - Pierdomenico Baccalario

Buonsalve gente!
In tanti mi hanno chiesto di esprimere il mio parere su questa saga e ho pensato, allora, di dedicarle un intero post... naturalmente cercando di evitare spoiler. 😁

Partiamo dalle basi: Baccalario è un nome di una certa rilevanza, nel mondo dei libri per ragazzi, ma io non avevo mai letto nulla di suo (a parte un minilibretto che non si può dire faccia conoscere bene l'autore). Cominciare quindi con una serie di sei romanzi, oltretutto con un libro che li racchiude tutti, è stato forse un po' rischioso. Tuttavia, posso tirare un sospiro di sollievo e dire che mi è andata particolarmente bene.

Come dicevo, si tratta di un'avventura composta da sei romanzi, di circa 130 pagine l'uno, che sono:
- I guardiani del fiume
- Il patto della luna piena
- Il rifugio segreto
- La corsa dei sogni
- La sfida dei ribelli
- Il giorno del destino


Protagonista di questi libri è Pit, un ragazzino come tanti che, d'estate, riceve un invito dai cugini per passare insieme le vacanze ad Henley Creek. Nel pacco che gli hanno inviato per fargli la proposta, hanno addirittura inserito i biglietti per i mezzi necessari a raggiungere il posto (treno, corriera) e anche un taccuino con tutte le indicazioni utili a non perdersi.
Una volta raggiunto il luogo dell'incontro, però, i ragazzi si renderanno conto che c'è qualcosa che non torna: loro erano convinti che l'idea di passare le vacanze insieme fosse di Pit! Ma allora, se non sono stati loro ad invitarsi reciprocamente... chi è stato?
Naturalmente toccherà a loro scoprirlo e, seguendo alcuni indizi, si ritroveranno a dover svolgere dei giochi a squadre per divertire il popolo magico che vive al fiume che passa per il paese e che ha una particolarità non da poco: scorre al contrario.
Pit, i cugini e tutti gli altri ragazzi dovranno ogni giorno risolvere degli enigmi e partecipare alle gare... tuttavia, presto qualcuno di si renderà conto che ci sono un po' troppi misteri, attorno a queste attività, e deciderà di farsi le idee chiare.

Lo schema di base è più o meno lo stesso per ogni volume: arriva l'enigma da risolvere per partecipare al gioco, si svolge la partita e chi vince ottiene un premio. Tuttavia è molto intrigante e, per quanto la scrittura sia semplice, la curiosità di sapere cosa succederà dopo non manca mai.
Pur essendo una serie per ragazzi, avendo quindi un linguaggio per questa fascia di pubblico, e ricordando un pochino Hunger Games (più che altro per la faccenda dei giochi), posso dire che nel complesso è stata una lettura piacevole a cui non posso che dare un giudizio positivo.

Per quanto riguarda l'autore, invece, ho deciso di approfondire un po' e ho già prenotato un altro suo libro in biblioteca: giusto per non perdere il vizio, si tratta di un libro che parla di libri. Ma su questo non avevate dubbi, vero?

Vi ringrazio per aver dedicato un po' di tempo a questa "recensione" e per essere stati tanto coraggiosi da arrivati fino a qui.
Vi aspetto al prossimo articolo!

martedì 17 aprile 2018

Il Conte di Montecristo, Alexandre Dumas


Ma chi sono io per recensire Il Conte di Montecristo? Non sono altro che un umile lettore, che è rimasto letteralmente catturato da questa prosa avvincente, trascinante, capace di resistere al trascorrere inesorabile degli anni… mantenendo inalterata la propria freschezza e forza espressiva.
Molto spesso si guarda ai “Classici” con diffidenza: li consideriamo quasi alla stregua di roba vecchia, pronta per il mercatino dell’usato. Nel caso in cui qualcuno la pensasse in questa maniera… ebbene, recuperi immediatamente dagli scaffali della libreria (o in biblioteca o dove diavolo vuole) quest’opera di Dumas padre: si maledirà in eterno per averne rimandato la lettura per così tanto tempo.
Il Conte di Montecristo non è un libro di avventura; è il libro d’avventura per eccellenza: un romanzo capace di prendere per mano il lettore e di trascinarlo con sé per un migliaio di pagine senza mai mollare la presa. 

La storia la conosciamo un po’ tutti (anche alla luce delle numerose riduzioni per il piccolo o grande schermo). Edmond Dantès è un giovane marinaio che viene imprigionato il giorno delle nozze a seguito di un complotto ordito da tre nemici - il contabile Danglars, il rivale in amore Fernando e il Magistrato Villefort – che l’hanno ingiustamente accusato di fedeltà al decaduto imperatore Napoleone. Dopo essere stato rinchiuso per 14 anni nel castello di If, riuscirà ad evadere; grazie al tesoro dell’abate Farìa – conosciuto in carcere – riuscirà a mettere in atto la sua terribile vendetta.

Alexandre Dumas ha una capacità di narrare raramente riscontrabile negli scrittori della nostra epoca. Nonostante i numerosi personaggi, la storia che si prolunga nel corso degli anni e l’intreccio complesso – caratteristiche comuni a parecchia letteratura ottocentesca – l’autore tiene tutto sotto controllo, senza la minima sbavatura.
Costruisce così un meraviglioso romanzo d’avventura che rappresenta, allo stesso tempo, un riuscitissimo apologo sulla giustizia, la vendetta ed il perdono.
Il libro tiene il lettore letteralmente incollato alle pagine, grazie ai continui colpi di scena e alla scelta perfetta degli snodi narrativi: roba da far tremare d’invidia i vari Ken Follett e Dan Brown. 
Una nota di plauso, infine, per la traduzione curata da Riccardo Reim: anche la Newton - quando vuole - riesce a presentare prodotti di livello assoluto. 


Consigliato a: chiunque… perché si tratta di un capolavoro senza tempo che ciascuno dovrebbe leggere!


Voto: 9/10


lunedì 16 aprile 2018

I veleni della dolce Linnea, Arto Paasilinna




Da qualche mese ho scoperto Arto Paasilinna e devo dire che me lo sto gustando a poco a poco. Giunto al terzo romanzo – dopo L’anno della lepre e Il bosco delle volpi – mi rendo conto di aver fatto la conoscenza di un autore ricco d’inventiva, capace come pochi altri di catturare il lettore con le sue storie originali e divertenti.
Questo scrittore – che in Finlandia è ormai considerato di culto – riesce a farsi apprezzare, soprattutto, per il suo travolgente senso dell’umorismo e per l’innata capacità di raccontare sorridendo anche le vicende più drammatiche.
I veleni della dolce Linnea è un libro che mantiene in pieno le aspettative, facendoci conoscere un’immagine della Finlandia di cui, probabilmente, non eravamo a conoscenza.
Ma partiamo dalla trama…   

La vita tranquilla della ottantenne Linnea Ravaska, vedova di un colonnello, viene turbata da un terzetto di mascalzoni che ogni mese si presenta al suo casolare per estorcerle il denaro della pensione. Il nipote Kauko ed i suoi scagnozzi non si accontentano però di derubarla; distruggono e saccheggiano le sue proprietà senza che la povera donna abbia il coraggio di  ribellarsi. 
Almeno fino al giorno in cui il troppo è troppo…

Si tratta di un romanzo leggero (ma tutt'altro che superficiale), ironico e dissacrante, che riesce a metterci in contatto con una realtà scomoda, che mal si concilia con territori che sono spesso rappresentati come paradisi di civiltà e di tolleranza. Attingendo a piene mani ad un umorismo sottile e paradossale, Paasilinna racconta la vicenda di un personaggio indimenticabile – la Collonnella Linnea – che risulta istintivamente simpatica e per cui il lettore si trova sin dalle prime pagine a tifare in maniera indefessa.
Unendo le reminiscenze delle vecchie commedie hollywoodiane – prime tra tutte Arsenico e vecchi merletti e La signora omicidi – ad una buona dose di umorismo nordico, aggiungendo una spruzzata del cinema di Kaurismaki e condendo il tutto con una geniale inventiva, l’autore Finlandese ci regala un libro piacevole ed accattivante, capace di divertire e di far riflettere allo stesso tempo.


Consigliato a: tutti gli amanti della letteratura nordica ed a coloro che amano le storie che riescono a conciliare humour e tragedie umane.


Voto: 7/10



venerdì 13 aprile 2018

Il punto sul thriller tedesco



Per anni, qui in Italia, abbiamo avuto la tendenza a far coincidere l’espressione “giallo tedesco” con la figura dell’Ispettore Derrick. Sebbene siano state numerosissime le serie televisive di successo –  oltre a Derrick ricordiamo Last Cop, Siska e Un caso per due – la letteratura di genere teutonica è sempre rimasta qualche passo indietro rispetto alle produzioni per il piccolo schermo: fino a pochi anni or sono, l’unico romanziere che avesse acquisito una certa notorietà presso il pubblico di casa nostra era il renano Franz Schätzing.
Nelle ultime stagioni, però, si è verificato un totale cambiamento di rotta: gli scrittori nati in Germania hanno iniziato a farsi largo nelle classifiche di vendita e sembrano voler seguire l’aureo percorso intrapreso qualche anno fa dai colleghi svedesi, con il consolidamento di una vera e propria scuola di crime writers.
Come abbiamo ripetuto più volte, nessun genere è in grado di spiegarci la realtà di un paese più del poliziesco, penetrando a fondo negli anfratti più nascosti della società contemporanea. Il Giallo tedesco, da par suo, si è mostrato ligio a questo assioma. Partendo praticamente da zero, è riuscito a far crescere pian piano una nuova generazione di autori capaci di coniugare alla perfezione l’atmosfera del thriller con le varie sfumature della Germania post-unificazione: un paese ricco di contraddizioni, in cui la criminalità ha ancora un peso rilevante. I paesaggi del Mare del Nord, le spietate metropoli di Amburgo e di Berlino ed i misteriosi territori della Foresta Nera, sono diventati le location ideali per trame che hanno saputo far presa su un pubblico desideroso di emozioni forti ma anche di storie con significati sociali importanti.
Il compito di questo articolo è quello di esaminare da vicino dieci autori che sono, probabilmente, i più importanti della nuova scuola tedesca. Personaggi profondamente diversi tra loro per formazione, stile e personalità, ma che presi nel loro insieme ci trasmettono un’idea piuttosto realistica di quella che è la letteratura gialla in Germania.


Franz Schätzing (1957): Dopo aver studiato Scienze della comunicazione ed aver fondato un’agenzia di pubblicità, si è dedicato alla scrittura all'inizio degli anni Novanta, elaborando  satire e racconti brevi. Il grande successo è arrivato nel 2004 con il thriller fantascientifico Il quinto giorno, basato sulla cosiddetta Ipotesi Gaia: il principio per cui la natura resiste all'umanità, come ogni creatura vivente sopravvive agli attacchi di un organismo dannoso. I libri di Schätzing, pubblicati in tutto il mondo, hanno una struttura alquanto particolare: dopo una partenza lenta, in cui vengono narrati eventi dislocati per le varie parti del globo terrestre, la storia entra decisamente nel vivo e procede spedita, raggiungendo a poco a poco picchi di tensione notevole.

Wulf Dorn (1969): Con alle spalle studi in lingue, ha lavorato come logopedista  per la riabilitazione del linguaggio in pazienti psichiatrici. Ha raggiunto la fama internazionale con il suo primo romanzo, Lo psichiatra, che in Germania è diventato un caso editoriale grazie al passaparola dei lettori. Considerato come uno dei più originali autori di psicothriller, è amatissimo dai lettori italiani (sono oltre 400.000 le copie vendute nel nostro paese). I suoi libri sono caratterizzati da una calibrata strategia della suspense: come ha scritto la stampa tedesca, “quando Dorn fa tirare il fiato al lettore, è solo per trascinarlo meglio più giù, verso l’inferno.”

Sebastian Fitzek (1971): Il suo romanzo d’esordio, La terapia, ha avuto un successo straordinario in Germania nel 2006, giungendo a contendere a Il codice Da Vinci il primo posto nelle classifiche dei bestsellers. A proposito di questo libro, lo stesso autore ha dichiarato di aver pensato alla trama mentre attendeva la fidanzata nella sala d’attesa di uno studio medico: “Quando dopo mezz'ora non s’era fatta vedere, il mio cervello thriller ha cominciato a speculare: e se tutti ti dicessero che non è mai venuta?” Le opere di Fitzek sono particolarmente adatte per i lettori che sono alla ricerca di thriller veloci, ricchi di colpi di scena e con finali del tutto imprevedibili.


Friedrich Ani (1959): Figlio di madre tedesca e padre siriano, è noto per i suoi romanzi che hanno come protagonista il commissario Tabor Süden: un detective tenace e silenzioso che lavora nella sezione “persone scomparse” al dipartimento di polizia di Monaco. Considerato dalla critica internazionale il Simenon Tedesco, ha vinto per ben cinque volte il Deutscher Krimi Preis, il più prestigioso premio per i gialli d’autore pubblicati in Germania.
Se da un lato la sua figura è stata spesso accostata a quella dei grandi lupi solitari del genere come Dashiell Hammett e Raymond Chandler, le atmosfere dei suoi libri e la capacità di narrare i risvolti più segreti dell’animo umano lo rendono simile a Jo Nesbø e Henning Mankell.

Charlotte Link (1963): Figlia d’arte – la madre è la celebre scrittrice tedesca Almuth Link – è considerata tra le autrici più talentuose della sua generazione. La sua fama è dovuta soprattutto alla grande versatilità: dopo aver avuto un buon successo con romanzi a sfondo storico ha superato se stessa con i thriller psicologici, tanto che ogni suo nuovo libro arriva ad occupare stabilmente i primi posti delle classifiche di vendita tedesche (non per niente si è meritata il soprannome di Lady bestseller). La sua abilità consiste soprattutto nel saper regalare al pubblico storie avvincenti ed inquietanti, senza però indulgere mai al raccapricciante e arricchendo la trama con un originale ed apprezzato tocco femminile.

Veit Heinichen (1957): Prima di dedicarsi alla scrittura ha lavorato a lungo come libraio, collaborando con alcuni importanti editori internazionali. Dal 1997 si è trasferito a Trieste – ormai considerata sua città d’adozione – dove ha scelto di ambientare i suoi romanzi, che si sono rivelati autentici bestseller: in Germania ne è stata tratta una serie televisiva intitolata Commissario Laurenti e prodotta  dalla prima rete ARDI. Heinichen costituisce l’ideale punto d’incontro tra il poliziesco nordico e quello mediterraneo: come pochi altri autori è riuscito a sondare gli angoli più reconditi della nostra società, arrivando spesso a riprodurre in filigrana la scioccante attualità, trasformandosi in una sorta di cronista dei cambiamenti europei.


Jakob Arjouni (1964-2013): Prima di diventare scrittore ha sbarcato il lunario vendendo noccioline e costumi da bagno; un bel giorno, però, l’eccellente editore tedesco Diogenes decise di puntare su di lui (all'epoca era appena diciannovenne). Così Arjouni – nome d’arte di Jakob Bothe – venne consacrato enfant prodige dalla stampa internazionale. Il suo romanzo d’esordio – Happy birthday, turco! – arrivò ai vertici delle classifiche di vendita e la versione cinematografica ottenne un buon successo di cassetta. Il protagonista dei suoi gialli è il detective turco Kemal Kayankaya, simpatico e spaccone, che ha dato il la ad un nuovo ed originale filone della letteratura di genere europea: quello dell'etno-thriller.

Marc Raabe (1968): Socio ed amministratore delegato di una società di produzioni televisive e cinematografiche, si è distinto come uno degli autori-rivelazione del giallo tedesco degli ultimi anni. Il suo esordio è stato folgorante: con Il sezionatore è  rimasto per lunghe settimane nella classifica dei libri più venduti in Germania. Esponente del cosiddetto thriller psicologico, si è dimostrato particolarmente abile nell’orchestrare trame accattivanti e nella costruzione di inquietanti atmosfere horror. Il collega Sebastian Fitzek ha detto di lui: “Attenzione: se Marc Raabe proietta i suoi personaggi negli incubi peggiori, allora c’è il grosso rischio che capiti lo stesso anche a voi lettori.”

Simone Buchholz (1972): Si è dedicata al genere giallo a partire dal 2006, raggiungendo il successo con Revolver, le ragazze del porto di Amburgo: il thriller che ha conquistato la Germania con oltre 30.000 copie vendute. Questo romanzo d’esordio ha inaugurato la serie di successo dedicata alla giovane procuratrice Chas Riley. La protagonista di questi libri è una donna tosta, sensibile, con un passato tormentato, che svolge le sue indagini nel difficile distretto di St.Pauli di Amburgo: patria per marinai, prostitute, alternativi e altre persone dalle molto dubbie professioni.

Melanie Raabe (1981): Nata a Jena e cresciuta in Turingia, ha studiato Scienze della comunicazione e Letterature comparate. Personaggio eclettico – è blogger, giornalista e autrice testi teatrali, oltre che scrittrice – ha avuto un ottimo riscontro di pubblico e critica con il suo primo romanzo La trappola: un thriller psicologico che narra la vicenda di una scrittrice di successo che, da più di dieci anni, vive reclusa nella sua villa senza mai uscirne. I plot delle sue opere sono ben congegnati e sanno tenere incollato il lettore dalla prima all'ultima pagina, in un crescendo di suspense e terrore che lo avvolgono come una spirale.
  
Arrivati alla fine di questa panoramica, risulta evidente come il thriller tedesco stia seguendo due differenti traiettorie. Autori come Fitzek e Dorn sono rappresentativi di quel genere definito thriller psicologico che nel corso degli ultimi anni ha riscosso una notevole fioritura a livello internazionale. D’altro canto, Ani ed Heinichen sono invece esponenti del vecchio e caro noir che, grazie al loro innato talento, è stato oggetto di una rielaborazione e di un progressivo adattamento alle atmosfere e al modo di essere teutonici.
Questo proliferare di nuovi autori ha fatto sì che un genere a lungo considerato come “letteratura di serie B” sia gradualmente cresciuto, acquisendo sempre maggiore qualità e consapevolezza nei propri mezzi.
Spiegare la ragione di questo exploit non è per niente facile, ma un peso notevole potrebbe averlo avuto il controverso rapporto che la Germania del Ventesimo secolo ha intrattenuto con la verità: la difficoltà di venire a patti con quel retroterra di misteri che hanno increspato la densa superficie della sua storia recente.
Ad ogni modo, il thriller tedesco è forte ed in continua ascesa e l’esempio italiano lo dimostra: una casa editrice come la Emons – specializzata in audiolibri – ha inaugurato una collana dedicata interamente ai gialli tedeschi (tra gli autori introdotti, oltre a quelli già citati, vanno ricordati Harald Gilbers, Brigitte Glaser e Klüpfel & Kobr).


Gio