lunedì 17 settembre 2018

L’umiliazione, Philip Roth


 

Concludo la mia personalissima analisi delle Nemesi di Philip Roth – i quattro romanzi che rappresentano il canto del cigno dell’autore prima del definitivo ritiro dalle scene letterarie – occupandomi di L’umiliazione.
Il tema comune al quartetto di opere è rappresentato dall’ambiguo rapporto dell’uomo col destino. Dopo aver sviscerato il tema della morte (Everyman), quello dell’umana inadeguatezza nei riguardi della storia (Indignazione) e quello dell’impotenza di fronte alla malattia (Nemesi), questa volta lo scrittore di Newark analizza le conseguenze della perdita del talento, occupandosi della deriva di un attore che ha perso per strada l’ispirazione artistica.

Simon Axler, celebre attore teatrale, dopo aver superato i sessant'anni di età sente di non riuscire più ad entusiasmare il pubblico. Dopo una serie di clamorosi fiaschi è ridotto come un pugile al tappeto: ogni volta che si presenta sul palcoscenico, scopre fino in fondo la propria incapacità ed inettitudine. L’abbandono della moglie, inoltre, contribuisce ad acuire il suo stato depressivo.
Precipita così in una terrificante spirale che lo spinge all’autodistruzione. Il rapporto con una ragazza parecchi anni più giovane – figlia di vecchi compagni d’accademia – lo spingerà ad alimentare un insolito ed insano desiderio erotico attraverso cui cercherà un simulacro di conforto e consolazione in un’esistenza ormai priva di punti fermi.

La solitudine, la perdita di sicurezza e la sconfitta  sono gli elementi chiave di quest’opera, che vuole rappresentare la decadenza dell'individuo di fronte ad una realtà che, per lungo tempo, l’aveva incensato e celebrato.
I temi ricorrenti sono quelli a cui l’autore ci ha abituato nel corso degli anni: brama sessuale, ataviche paure, rapporti difficili tra figli e genitori e la vecchiaia che, come un rullo compressore, avanza distruggendo ogni cosa.
Non concordo con coloro che ritengono L’umiliazione un'opera minore di Roth. Certo, i vertici di Pastorale americana e Ho sposato un comunista sono parecchio lontani; la descrizione dei personaggi, le derivazioni psicologiche e la capacità di analisi rimangono però di livello assoluto.
La trama, forse, non mostra il consueto equilibrio: il passaggio dalla prima alla seconda parte risulta un po’ macchinoso e comporta un certo stridio. Si tratta però di peccati veniali che, ad uno scrittore come Roth, possiamo perdonare senza farci troppi problemi.


Consigliato a: coloro che amano i romanzi in grado di rappresentare l’evoluzione degli individui, con straordinari approfondimenti psicologici ed un’attenta analisi sociale, ed a chiunque voglia godersi la prosa caustica ed inconfondibile di uno dei maggiori autori a cavallo tra ventesimo e ventunesimo secolo.


Voto: 7/10



Nessun commento:

Posta un commento