Questo
è il resoconto del mio primo incontro con Julian Barnes.
A
spingermi alla lettura di Il senso di una
fine è stata, indubbiamente, la
vittoria ottenuta nel 2011 al Man Booker Prize: quello che è il più importante
premio letterario per testi in lingua inglese.
Se
devo essere sincero fino in fondo, questo romanzo non mi ha convinto del tutto.
Al di là dell’antipatia istintiva che ho provato per i personaggi – che mi sono
sembrati tanti “piccoli Stoner” – mi ha lasciato perplesso la scelta di imbastire
un intreccio così ampio, articolato e denso di particolari senza arrivare a chiarire
un granché. Molto rumore per nulla, direi, parafrasando il bardo di Stratford-upon-Avon.
Tony
Webster è un uomo comune; un sessantenne disincantato che ha avuto un’esistenza
relativamente tranquilla: nel lavoro, nella famiglia, nei sentimenti. Quando
riceve la lettera di un avvocato, che gli comunica di aver ricevuto in eredità
cinquecento sterline ed un diario, la sua vita cambia radicalmente. Webster
dovrà scoprire da dove proviene quell’inaspettato lascito e che cosa si
nasconda all’interno di quelle pagine enigmatiche, provenienti dal passato. A
poco a poco, il nostro protagonista si troverà al cospetto di risposte che
avrebbe preferito non conoscere, imparando a sue spese che “la nostra vita non
è la nostra vita, ma solo la storia che ne abbiamo raccontato”.
Non
ci sono dubbi che Julian Barnes sia un ottimo scrittore: la sua prosa è di altissimo
livello e la sua capacità di introspezione è davvero eccellente.
Questo
romanzo, però, dopo un’ottima partenza si incarta ben spesso su se stesso e
perde pian piano lo slancio iniziale. Il plot, che nelle prime pagine faceva
ben sperare, diventa piuttosto banale; oscilla con insistenza tra il filosofico
ed il cerebrale, fino a giungere ad un finale che, oltre a risultare affrettato,
si dimostra confuso e ingarbugliato.
Rimangono
– di questa lettura – alcune buone intuizioni oltreché delle valide riflessioni
sul tempo che passa e sugli inganni della memoria: troppo poco per farne un bel
libro… specialmente se, sullo stesso argomento, abbiamo già letto opere
straordinarie come Everyman di Philip
Roth (a cui Barnes non si avvicina manco col cannocchiale).
Consigliato a: coloro che vogliono
conoscere uno dei più rinomati scrittori britannici contemporanei ed a chiunque ami i romanzi ambigui e cerebrali, che non sempre chiariscono tutto ciò che viene raccontato.
Voto:
6/10
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