Leggere un romanzo di Simenon dà la stessa, meravigliosa sensazione di rincontrare un vecchio amico. E così, ad anni di distanza dalla lettura di L’uomo di Londra e di L’uomo che guardava passare i treni, mi sono riavvicinato a questo grande maestro della narrativa mondiale, recuperando questo romanzo breve che può essere senza dubbio annoverato nella lista dei più celebri tra quelli scritti dal narratore belga.
L’orologiaio di Everton, qualche anno fa, venne portato sullo schermo dal regista francese Bertrand Tavernier: un grandissimo Philippe Noiret, con un’interpretazione memorabile, riuscì a regalare l’immagine di un personaggio indimenticabile, capace di far breccia nelle emozioni del pubblico.
E così, anni dopo la visione della pellicola, non ho potuto esimermi dalla lettura del romanzo e devo dire di essere rimasto davvero soddisfatto dalla scelta effettuata.
Scritto nel 1954 da un Simenon che, da qualche anno risiedeva stabilmente negli Stati Uniti, il romanzo mostra tutti gli elementi caratteristici delle opere dello scrittore. Con uno stile narrativo fluido, asciutto e scevro da estetismi, il vecchio Georges riesce a ricostruisce in maniera delicata ed essenziale una vicenda profondamente drammatica, facendo affidamento ad un’arguta psicologia e ad una insuperabile capacità di osservare le gli umani accadimenti.
La trama è molto semplice. Dave Galloway, il protagonista, è uomo ordinario ed abitudinario, privo di qualsiasi slancio. Ha vissuto un’esistenza umile, quasi sommessa, dedicandosi alla propria attività di riparatore di orologi e crescendo da solo il proprio figlio, Ben, dopo la repentina fuga della consorte (stufa di un’esistenza piatta e inconsistente)
Un giorno, di punto in bianco, si trova coinvolto in una situazione imprevedibile: Ben, scappato di casa insieme ad una ragazza, rimane coinvolto in un omicidio.
Da questo momento in avanti, Simenon dà il meglio di sé. Scava con precisione nella psicologia dei personaggi, andando alla ricerca dei meccanismi che hanno prodotto le loro scelte, dei “germi” preesistenti che hanno condotto a tali conseguenze.
E, sempre in un miracoloso equilibrio tra sentimento e ragione, tra cuore e mente, arriva a dare una precisa lettura a quello che è il fattore scatenante dell’intera vicenda: lo spirito di ribellione, che Dave aveva soffocato dentro di sé per tutta l’esistenza, esplode invece poderoso ed incontrollato nella figura del figlio.
Ben non tiene a bada i propri istinti come il proprio genitore, ma li asseconda completamente, facendoli propri. Si addentra così in una strada senza via di uscita, completamente diversa da quella piatta, usuale ma rassicurante percorsa da Dave.
L’uomo di Everton è un romanzo che non lascia indifferenti. Colpisce profondamente per la sua forza drammatica, ma soprattutto per l’invidiabile capacità di elevare una vicenda “gialla”, dai risvolti abbastanza ordinari, ai ranghi di un magnifico apologo sulla volontà umana e sul suo modo di esplicarsi nel mondo circostante.
Un romanzo che parla delle scelte e della profonda incapacità degli esseri umani nel riuscire a gestirle, armonizzarle e viverle consapevolmente, sempre in perenne equilibrio tra il “vorrei essere” ed il “sarò”.
Consigliato a: chi cerca un libro duro ma allo stesso tempo ricco di pathos e capacità di analisi ed a chiunque ami le opere di questo straordinario scrittore: romanzi che, nonostante il passare del tempo, conservano inalterata la loro forza e la loro attualità.
Voto: 8/10
Bravo
RispondiEliminaGrazie.
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