Ho acquistato questo romanzo seguendo il consiglio di Antonio D’Orrico che, sulle pagine del Corriere della Sera, l’ha dipinto come ”il miglior esordio della stagione”. Mi permetto di dissentire…
Premetto che l’attività di “stroncatore folle”, che si arma di mannaia e fa a pezzi e maciulla qualsiasi libro che gli risulti un po’ ostile, non rientra nelle mie corde. Il romanzo di Arango, però, ha risvegliato in me istinti ancestrali, che mi hanno portato ad odiare quest’opera in maniera indefessa ed assoluta.
Sascha Arango, dalle notizie reperite in rete, è un celebre sceneggiatore tedesco (di padre Colombiano), vincitore di numerosi premi per alcune rinomate serie TV (Tatort ad esempio). Il suo esordio letterario, però, fa sorgere nel lettore parecchi punti interrogativi.
Ma andiamo per ordine, partendo dalla trama.
Il protagonista, Henry Hayden, è un celebre e ricco scrittore, i cui libri vengo stampati in milioni di copie. In realtà lui non ha mai scritto un tubo: è la mogliettina che di notte si mette alla macchina da scrivere e crea di getto pagine e pagine, in un flusso ininterrotto, che si trasformano in meravigliosi romanzi.
Il nostro Henry, però, ha il grave difetto di non riuscire a tenere chiusa la patta dei calzoni… e così mette incinta Betty, la sua editor. Decide allora di sbarazzarsi di lei: tampona l’autovettura della donna facendola precipitare in un burrone. Peccato che Betty avesse scambiato la macchina con la signora Hayden. Quindi, il nostro caro Henry si trasforma, senza volerlo, nell’assassino della propria consorte.
Raccontata così la trama sembra piuttosto ridicola; ma vi garantisco che la lettura del romanzo la fa diventare ancora peggiore.
Certo, sarebbe troppo scomodare Patricia Highsmith ed il suo “talentuoso” Mister Ripley. Hayden, infatti, più che un genio del crimine pare un epigono dell’esimio Rag. Fantozzi Ugo. Commette errori banali, lasciando dietro di sé tracce più grandi di quelle di un elefante: nella vita reale, con ogni probabilità, sarebbe stato arrestato nel giro di poche ore. In un gustosissimo capitolo, capolavoro di comicità involontaria, arriva quasi a trafiggersi da solo con una fiocina mentre dà la caccia ad una martora nascosta in soffitta.
In sostanza, più che un genio del male il nostro scrittore-uxoricida sembra (se mi permettete un “francesismo”) un pirla da competizione.
Per il resto, Arango tende ad esagerare con i colpi di scena: sono come una manciata di prezzemolo che scarica qua e là, all’interno della trama, facendo crescere l’irritazione dell’inerme lettore (che deve subire cotanta tracotanza). Nell’arco di appena 250 pagine, fa succedere di tutto ed il contrario di tutto, con l’intento di stupire, ma dimostrando solamente spocchia e superbia.
Ogni tanto il buon Sascha arriva addirittura ad elevare se stesso al di sopra della vicenda, quasi fosse una sorta di “deus-ex-machina” che tutto può: abbondano i “come vedremo più avanti” e altre chicche simili, che poteva anche risparmiarci.
I personaggi di contorno sono poco credibili e per nulla coerenti. Ognuno di loro pare avere delle evidenti tare cerebrali, visto che agisce in maniera del tutto scriteriata e poco credibile.
La scrittura appare più adatta ad una serie televisiva che ad un’opera letteraria. Non sorgono dubbi sul fatto che si tratti di un romanzo redatto appositamente per essere portato sullo schermo, grande o piccolo che sia: l’abbondanza di dialoghi (spesso insulsi), la scrittura rapida e la scenografia ridotta all’osso contribuiscono ad allontanare il libro dal territorio della letteratura per farlo addentrare nelle sabbie mobili della mera operazione commerciale.
In conclusione, ci si può porre un unico quesito: sentivamo proprio il bisogno di un romanzo simile? Era davvero necessario donare al pubblico dei lettori questa folle accozzaglia di irritanti colpi di scena, al cui confronto l'Harry Quebert di Joel Dicker pare un capolavoro della storia della letteratura?
Secondo il mio modestissimo parere… no!
Consigliato a: ehm... è meglio che stia zitto.
Voto: 2/10
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