Siamo nel 1959. Un bambino di appena nove anni, Ninetto, parte dalla natia Sicilia e giunge a Milano in cerca di lavoro. In breve diventa garzone di una tintoria, trovandosi improvvisamente immerso in una metropoli estranea e insincera, in cui la ricerca di lavoro ed il desiderio di accumulare denaro sono le uniche cose importanti.
Marco Balzano ci racconta una storia di emigrazione ed emarginazione sociale, con un’esposizione diretta e per niente retorica: le emozioni forti suscitate dalla narrazione si innestano nel tessuto urbano di una città in continua evoluzione, in cui il piccolo protagonista si sente un po’ “straniero” come nel libro di Camus (citato più volte nel corso del racconto).
La storia non è originalissima: l’abbiamo già incrociata un sacco di volte, leggendo libri, guardando film e l’abbiamo persino ascoltata in “presa diretta”, dalla bocca di qualcuno che emigrante dal sud lo è stato per davvero.
Il punto di forza del racconto sta principalmente nella figura di Ninetto: il piccolo protagonista è un personaggio indimenticabile: tenero, spontaneo, pieno di ingenuità e freschezza, viene descritto dall’autore con grande cura e sensibilità.
La vicenda narrata costituisce in realtà un lunghissimo flash-back. Un Ninetto ormai invecchiato, appena uscito dal carcere, prova a rimettere insieme i cocci della propria esistenza, cercando di recuperare il rapporto con la figlia ma, soprattutto, con la nipote che non ha mai incontrato. La Milano contemporanea, però, non è più quella di un tempo: le vecchie fabbriche hanno chiuso per sempre i battenti, sostituite da grattacieli e palazzi moderni, ed i fatiscenti edifici in cui Ninetto risiedeva assieme a calabresi e abruzzesi sono ora occupati da arabi ed egiziani.
Il romanzo è utile per affrontare e comprendere i drammi personali e familiari di coloro che sono stati “emigranti”: le umane debolezze, l’importanza di farsi una cultura, il desiderio mai sopito di raccontare queste storie di privazione e sacrifici a figli e nipoti.
La narrazione, però, non sempre è all’altezza: momenti efficaci e trascinanti si alternano a fasi di stanca e di tedio, rendendo un po’ complicata la lettura.
Alla fine dei conti, si tratta di un libro discreto… ma premiarlo con il Campiello, a mio personalissimo parere, è stato un poco eccessivo.
Consigliato: a coloro che vogliono farsi un'idea del romanzo italiano contemporaneo, attraverso l'opera di uno dei suoi autori più lodati dalla critica, ed a chiunque ami le vicende che trattano temi come diversità, emarginazione e immigrazione.
Voto: 6,5/10
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