Eraldo Baldini è considerato l'inventore del gotico-rurale, una definizione che rimanda al titolo di un suo libro di racconti pubblicato qualche anno fa (nel 2000 per essere precisi).
Con La palude dei fuochi erranti, lo scrittore emiliano ci restituisce lo spirito di un'epoca, facendo ricorso ad una narrazione storicamente fondata che fa pensare, in certi punti, a Il nome della rosa di Eco ed ai romanzi di Evangelisti sull'inquisitore Eymerich.
Siamo a Lancimago, piccolo paesino della Pianura Padana, nell'anno del Signore 1630. La peste, col suo corollario di morte e distruzione, sta divampando nelle zone circostanti. I frati della locale abbazia benedettina decidono pertanto di scavare una fossa comune in cui andranno seppellite le vittime del contagio. Sotto la terra dura e antica, però, vengono rinvenuti i resti di decine di persone, con gli arti e i crani fracassati.
Monsignor Diotallevi, il commissario apostolico che ha l'incarico di allestire le protezioni sanitarie per combattere il contagio, si troverà a gestire un situazione parecchio difficile. Nelle paludi e nei boschi circostanti, infatti, cominceranno a verificarsi fatti inspiegabili: fuochi che paiono errare nell'aria, animali svaniti nel nulla e presunti untori che vagano nei dintorni.
Sarà davvero tutta opera del demonio?
Baldini scava nel passato di una Romagna scura, nebbiosa e vincolata ad una religiosità malsana e crudele. Così come in La chimera di Vassalli - romanzo ambientato una ventina di anni prima - la paura dell'ignoto è la chiave di volta dell'intero racconto, che si sviluppa in un contesto drammatico in cui ha luogo l'eterna battaglia tra il bene e il male, tra la religiosità e la superstizione. Diotallevi, unico personaggio davvero raziocinante, rappresenta il punto di rottura; porta dentro di sé la forza di rifuggire dalle stupide credenze popolari per dare una risposta agli enigmi che funestano la piccola comunità rurale.
Non tutte le ciambelle, purtroppo, riescono col buco. La narrazione, seppur suggestiva, risulta a tratti un po' lenta; alcuni excursus storici paiono messi lì a mo' di riempitivo ed il finale pare "tirato via", con una conclusione troppo rapida (che si svolge nell'arco di appena due pagine).
Rispetto alla Trilogia del Novecento, la scrittura di Baldini appare meno convincente; ma su questo, probabilmente, ha inciso la necessità di ridare vita al linguaggio secentesco con l'esigenza di renderlo in qualche modo attuale: risultato che, purtroppo, non ha dato i frutti sperati.
Consigliato a: tutti gli amanti del romanzo gotico ed a chiunque apprezzi le vicende supportate da una fondata ricostruzione storico/antropologica.
Voto: 6/10
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