giovedì 12 marzo 2020

Il nostro bisogno di consolazione, Stig Dagerman



Stig Dagerman, sensibile e talentuoso poeta/giornalista/scrittore, concluse la propria breve esistenza suicidandosi all'età di 31 anni. Per la somma di questi fattori rimane ancora oggi una figura di riferimento all'interno della letteratura svedese.
Il nostro bisogno di consolazione è un breve monologo, raccolto in qualche decina di fogli, che incarna la toccante confessione/riflessione di un autore straordinario afflitto del "male di vivere": quel male tipico del Novecento per cui numerosi letterati di talento presero coscienza di avere perso la fede in ogni cosa... compreso l'uso della parola:

Dagerman era un uomo totalmente privo di fede e sentiva dentro di sé di non poter mai aspirare alla felicità. Questo breve scritto, di conseguenza, punta il dito sull'incongruenza che esiste tra il desiderio di essere felice e l'impossibilità di esserlo. Inoltre, evidenzia un altro elemento che è un po' la "trave di volta" dell'opera omnia dello scrittore: l'assoluto bisogno di libertà che si infrange contro quello scoglio insuperabile rappresentato dalla schiavitù dell'esistenza.
L'autore si sentiva, infatti, talmente schiavo del proprio talento da non avere più "il coraggio di farne uso per il timore di averlo perso”; era inoltre pesantemente osses­sionato dallo scorrere del tempo e dall'intima incapacità di ribellarsi alle pressioni imposte dalla società. 

Il libricino è piccolo solo per quanto riguarda la dimensioni: si tratta, in realtà, di un testo straordinario, composto da poche pagine, dentro cui è racchiuso un dolore di vivere impregnato da una profonda tristezza. Siamo al cospetto di una confessione lancinante, che ci mostra un uomo al culmine del suo genio ma incapace di trovare la via di fuga da una realtà opprimente, che lo avvolgeva come un malefico sudario. 
Lo stile di Dagerman - che già avevo conosciuto in Autunno tedesco - è inconfondibile: dolce ed al tempo stesso malinconico, colpisce a fondo per la sua asciuttezza ed il suo afflato lirico. 
Concludo riportando l'incipit dello scritto: 
"Mi manca la fede e non potrò mai, quindi, essere un uomo felice, perché un uomo felice non può avere il timore che la propria vita sia solo un vagare insensato verso una morte certa".


Consigliato a: coloro che vogliono scoprire un gigante della letteratura del Novecento, vittima del male di vivere, ed a chiunque ama i libri pregnanti, che rivelano un mondo intero nell'arco di poche pagine.


Voto: 8/10


Nessun commento:

Posta un commento