lunedì 21 gennaio 2019

Cent’anni di solitudine, Gabriel García Márquez,





So benissimo che con questo commento mi attirerò addosso gli strali di gran parte dei lettori. E sono consapevole del fatto che quest’opera sia considerata da molti come uno dei capolavori assoluti del Novecento. Purtroppo, se devo essere sincero fino in fondo, Cent’anni di solitudine balza di diritto ai vertici della classifica delle letture più noiose e sgradevoli che mi sia capitato di affrontare.  
Nonostante abbia grande rispetto per Marquez – ho amato moltissimo Cronaca di una morte annunciata e L’amore ai tempi del colera – questo libro mi è risultato ostico al limite della sopportabilità ed ho pure corso il rischio di abbandonarlo (cosa che non mi capita da una decina d’anni).    

La trama credo che la conosciate tutti. Vengono narrate le vicende di ben sette generazioni della famiglia Buendía il cui capostipite - José Arcadio - fondò alla fine del XIX secolo la (immaginaria) città di Macondo. La storia è raccontata  con uno stile che vorrebbe essere sontuoso ma che risulta tedioso e soporifero. Compito del romanzo sarebbe quello di narrare un universo di solitudini incrociate, dove si susseguono  i destini ineluttabili di una famiglia.

È come se il mondo continuasse a girare in tondo” dice la capostipite Ursula, ad un certo punto. Il fatto che la storia si ripeta – se questo voleva essere il messaggio più recondito dell’opera - non è poi quella grossa novità: basterebbe sfogliare la Teoria dei periodi politici di Giuseppe Ferrari (pubblicata cent’anni prima) per capire che tale ipotesi era già stata messa in campo ed adeguatamente dissezionata.    
Più che un romanzo, sembra di leggere quattrocento pagine di “sinossi” abbozzata e mal articolata. D’altra parte, se Marquez intendeva scrivere la storia di sette generazioni di una  famiglia sudamericana, doveva dedicarci parecchie pagine in più. L’assenza di distinzione tra dialoghi, narrazione e descrizioni dà proprio l’idea dell’incompiutezza della trama, fornendo l’apparenza di un liofilizzato di libro (un “bignami” di un’opera mastodontica che non è mai esistita) più che di un qualcosa di esaustivo e totale.
I personaggi sono tagliati con l’accetta e si succedono generazione dopo generazione senza lasciare traccia memorabile del loro passaggio. Il fatto che ricorrano sempre gli stessi nomi – padri, figli, nipoti, bis-nipoti e così via si chiamano tutti Arcadio o Aureliano – complica tremendamente le cose: manco con un albero genealogico della famiglia Buendía a portata di mano ci si raccapezza.
La narrazione procede per accumulo ad oltranza di eventi sgangherati e confusionari, che si mescolano, si intrecciano e talvolta si ripetono, rischiando di sconfinare nella farragine più assoluta.  
Ed alla fine la domanda sorge spontanea: com’è possibile che Cent’anni di solitudine abbia avuto tale riscontro a livello internazionale mentre libri di caratura nettamente superiore – cito a mero titolo di esempio Grande seno, fianchi larghi di Mo Yan e Gente indipendente di Halldor Laxness – siano praticamente sconosciuti alla gran parte dei lettori?
Per me è un mistero assoluto. D’altra parte essendo il sottoscritto un umile lettore – e non un critico professionista, austero militante e severo (cit. Guccini) - non ho la presunzione di possedere la verità assoluta.
Probabilmente si tratta davvero di un capolavoro e sono io ad essere un cafone-ignorante che non ha compreso l’enorme levatura di questo romanzo. Mi conforta comunque il parere di Pierpaolo Pasolini che, all’uscita del libro, lo massacrò senza pietà definendolo come il “romanzo di uno scenografo o di un costumista, scritto con grande vitalità e spreco di tradizionale manierismo barocco latino-americano, quasi ad uso di una grande casa cinematografica americana.” Come dargli torto!?


Consigliato a: coloro che vogliono affrontare un’opera ritenuta da molti – ma non da tutti – come uno dei capolavori del Novecento ed a chiunque voglia farsi l’idea di che cosa sia stato realmente il “realismo magico”.


Voto: per questa volta... passo oltre.



Nessun commento:

Posta un commento