“Che barba che noia, che noia che barba” commentava Sandra Mondaini, alcuni anni or sono, alla fine di ogni episodio di casa Vianello. Faccio mia in toto questa affermazione nel parlarvi di La confusione morale di Lodovico Festa che balza di diritto nella top ten dei romanzi più tediosi e soporiferi che mi sia capitato di leggere.
Eppure, con il precedente La provvidenza rossa (oltre 30.000 copie vendute) l’autore era riuscito nel difficile intento di miscelare trama gialla e scenario politico, ricostruendo un credibile affresco del PCI sul finire degli anni settanta, con una riuscitissima descrizione dell’apparato di partito e delle sue gerarchie interne.
Stavolta lo sguardo di Festa si sposta dal PCI al partito socialista, nel momento in cui il movimento aveva raggiunto l’apice della sua influenza politica. Siamo all’inizio degli anni Ottanta: gli anni del rampantismo e della Milano da bere.
L’autore torna ad utilizzare, a mo’ di pretesto, una trama gialla per raccontare la politica italiana con i suoi conflitti e le sue contraddizioni. L’omicidio di un assessore comunista è infatti il fattore scatenante che spinge il protagonista, l'ingegner Cavenaghi (già incontrato nel primo romanzo), ad indagare nei meandri dei quadri di partito per cercare di trovare la soluzione all’enigma. In quegli anni – è bene ricordarlo – la giunta milanese era a maggioranza socialista ma con la partecipazione del PCI; una contraddizione in termini visto che, a livello nazionale, si stava inasprendo la polemica comunista contro Bettino Craxi.
Purtroppo, mentre in La provvidenza rossa ogni cosa funzionava alla perfezione, in questo sequel i risultati sono assai modesti. L’indagine poliziesca appare quasi come una sorta di decalcomania, appiccicata in maniera piuttosto grossolana su una trama a contenuto politico che risulta greve e prolissa.
Nonostante l’argomento sia interessante e l’analisi dell’autore sia attenta e precisa, il libro non funziona. Troppa retorica centrifugata; troppi bla-bla-bla che si susseguono pagina dopo pagina, rischiando di far perdere al lettore il filo della trama; troppi concetti ripetuti più volte fino allo sfinimento. E – giunti alla fine del libro con estrema fatica – non rimane altro che una vaga ma persistente sensazione di noia.
Consigliato a: coloro che vogliono rispolverare la loro conoscenza degli scenari politici degli anni Ottanta, durante l’apogeo craxiano e prima dell’avvento di “Mani pulite”.
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