domenica 27 dicembre 2020

Il Gattopardo, Giuseppe Tomasi di Lampedusa


In questa annata così particolare (non credo occorra spiegare il perché) ho deciso di recuperare alcuni classici che ancora non avevo letto. Dopo La storia, Todo modo, La chimera e Il deserto dei tartari è finalmente giunto il momento di Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: un romanzo che, oltre ad essere uno dei più celebri della letteratura italiana del XX secolo, è al tempo stesso uno straordinario affresco di un mondo giunto sul viale del tramonto.

“Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi.”

Partiamo dal contesto storico. Il libro ha come sfondo le trasformazioni avvenute all'interno della società siciliana nel corso del Risorgimento, nel momento di transizione tra il regime borbonico e il Regno d'Italia, all'indomani della spedizione dei Mille.
Vengono narrate le vicende di una famiglia dell'alta aristocrazia, colta nell'esatto momento del passaggio di regime; la vicenda ruota però, essenzialmente, attorno a un unico personaggio, il principe Fabrizio Salina, il cui inesorabile declino procede di pari passo a quello di un'epoca. Assistiamo quindi a una sorta di requiem dell’aristocrazia che si vede costretta a cedere il passo a una nuova civiltà; ad una raffinata decadenza di un'intera classe sociale che si manifesta nel principe attraverso un diffuso e doloroso malessere esistenziale.

Sarebbe errato, probabilmente, catalogare Il Gattopardo nel novero dei romanzi storici tout court; all'interno della trama, infatti, non troviamo personaggi realmente esistiti e i grandi accadimenti dell'epoca, come la spedizione garibaldina, emergono esclusivamente all'interno dei discorsi dei protagonisti.
Questo romanzo rappresenta un ritratto piuttosto fedele del carattere dei siciliani: un popolo che  storicamente è sempre stato oggetto di colonizzazione e di dominio da parte di governi stranieri ma che, malgrado tutto, oppone un risoluto e sdegnoso rifiuto all'idea di un rinnovamento. 
Ad emergere, con lo scorrere delle pagine, è soprattutto un doloroso senso di sconfitta. La società isolana dell'epoca diventa la vittima delle proprie antiche tradizioni, legate ad una connotazione quasi feudale del potere e ad un'arretratezza ideologica e culturale irrisolvibile. Ma, soprattutto, è la Sicilia stessa - arida, riarsa ed inclemente - ad essere ritratta alla stregua di un ambiente avverso e sfavorevole, in cui l’uomo sconta quotidianamente i propri peccati e dove solo la terra, incurante delle umane vicende, continua a perpetuarsi all'infinito.
La scrittura è bella, lirica e ricercata, forse un pochino invecchiata dal passare inarrestabile del tempo; le descrizioni dei palazzi nobiliari, degli arredi e dei banchetti sono notevoli e fanno ormai parte della storia della letteratura.
Un classico che mi sento in dovere di consigliare a chiunque nutra il desiderio di farsi il giusto ritratto di un'epoca al confine tra un mondo che sta scomparendo e un altro - sicuramente più moderno ma, in fondo, niente affatto migliore - che sta prendendo il suo posto.


Consigliato a: chiunque voglia recuperare un classico che ha fatto la storia della letteratura italiana e a coloro che vogliono capire che cosa sia oggi la Sicilia (ri-scoprendola all'interno di un libro "di ieri").


Voto: 7,5/10


Gio 




sabato 26 dicembre 2020

L'uomo che dorme, Corrado De Rosa


La collana Nero Rizzoli mi lascia un pochino perplesso. Dalla sua nascita in avanti ha pubblicato ottimi romanzi di valenti professionisti del noir (Piergiorgio Pulixi, Enrico Pandiani e Bruno Morchio in primis), edizioni italiane di opere straniere davvero notevoli (basta citare Tra due mondi di Norek e La città è dei bianchi di Mullen) ma anche alcuni libri che non sono né carne né pesce. 
Non so se si tratti di una mera casualità, ma quando ci si imbatte in giornalisti di costume come Enrico Franceschini, educatori professionali come Giuseppe Fabro, membri di un collettivo di scrittura come Marco Felder o scrittori/redattori come Girolamo Di Michele che, di punto in bianco, decidono di fare un improvviso balzo nella narrativa di genere... il dubbio si sviluppa alla velocità della luce: non è che al curatore della collana è saltato per la mente di contattare meritevoli personaggi del mondo della cultura italiana (sul valore di questi personaggi non sussiste alcun dubbio!) chiedendo espressamente la stesura di un libro noir? Perché - e su questo non ci piove - al mondo nulla si improvvisa; neanche Manzoni, Verga e Pirandello avrebbero la capacità di improvvisarsi giallisti, figuriamoci chiunque altro! (P.S. consiglio, a questo proposito, la lettura di Il più splendido gioco del mondo di John Dickson Carr).
Ecco, in questa categoria di ibridi poco riusciti inserirei sicuramente L'uomo che dorme di De Rosa: un libro scritto da uno stimato esperto di psichiatria, già perito in celebri vicende giudiziarie, che però, più di un noir, pare l'elegia di un personaggio narcisista e abbastanza insopportabile. 

Il protagonista, Antonio Costanza, è uno psichiatra - nonché consulente del Tribunale per i crimini violenti - che nel corso della sua attività viene a contatto con psicopatici, mafiosi e truffatori seriali che fingono la malattia per scongiurare il carcere. 
Nonostante abbia appena quarant'anni, si dimostra vittima di una sorta di pigrizia esistenziale che si manifesta anche nei singoli dettagli della quotidianità (se non ci fosse il genitore/galoppino, manco le bollette si ricorderebbe di pagare!) 
Gli efferati omicidi di due anziane prostitute giungeranno improvvisamente a risvegliare Costanza dal suo torpore: anche su una città tranquilla come Salerno pare allungarsi l'ombra tetra e angosciante di un serial killer. 

Si capisce sin da subito che l'uomo che dorme del titolo è lo stesso dottor Costanza: un personaggio che fa dell'indolenza (quasi sconfinante nella letargia) un vero e proprio stile di vita. 
Indubbiamente, l’autore ha riversato nel personaggio gran parte delle sue esperienze lavorative; però - ammesso che si voglia considerare questo libro un noir in senso lato - l'esperimento non funziona un granché: la trama gialla è inconsistente (non ci sono dubbi sin da subito sul nome dell'assassino), le procedure investigative assenti e mancano del tutto le svolte repentine e i colpi di scena: ciò che sono il sale e il pepe della letteratura di genere. E così, pagina dopo pagina, continuiamo a seguire il buon Costanza mentre spende la sua esistenza - fatta di incontri, relazioni familiari e vicende sentimentali - che scorre via come acqua fresca senza lasciare nulla.     
Sarebbe sbagliato, però, vedere tutto in negativo; alcuni aspetti rilevanti ci sono sicuramente: la scrittura buona e perfettamente funzionale al tono della storia; l’approccio che, malgrado le tematiche trattate, rimane ironico. Troppo poco, però, per salvare un romanzo che rischia di cadere nel dimenticatoio appena chiusa l'ultima pagina.


Consigliato a: chi ama i personaggi apatici e indolenti e a chiunque apprezzi i libri che cercano di far coesistere in un problematico viluppo psichiatria e letteratura noir.


Voto: 5,5/10


Gio     



giovedì 24 dicembre 2020

Questo bacio vada al mondo intero, Colum McCann


Anche se in molti hanno catalogato - forse un po' troppo frettolosamente - quest'opera come "il romanzo definitivo sull'11 settembre", la narrazione si svolge parecchi anni prima: in una torrida giornata dell'agosto 1974, quando l'acrobata Philippe Petit camminò su un filo teso tra le Torri Nord e Sud del World Trade Center, ora cancellate per sempre. Un evento in gran parte rimosso dalla memoria collettiva fino al documentario premio Oscar Man on Wire (2008) e al film di Zemeckis The walk (2015).
Proprio da quell'evento, che fece fermare per qualche momento il tempo in un'America scombussolata dai recenti accadimenti - lo scandalo Watergate e la guerra del Vietnam in primis - trae ispirazione il libro di McCann che si concentra su una serie di individui che, in quella giornata, si fermarono  ad osservare la pericolosa passeggiata nel vuoto. 

Tra i personaggi che si muovono nelle strade newyorchesi, con lo sguardo calamitato dall'insolito spettacolo, seguiamo le vicende di un monaco di strada che assiste le prostitute del Bronx; di una di loro - giovane e bella - che spartisce il marciapiede con la madre; di un'artista piena di dubbi e di rimorsi; di alcune madri in lutto dopo aver perduto i loro figli nel sanguinoso conflitto del sud est asiatico.  
Le esistenze di questi uomini e donne si sfiorano, talvolta si intersecano e compenetrano sotto le ombre dei poderosi grattacieli di una metropoli che sta vivendo un periodo di sconforto e violenza.   

Il romanzo è strutturato in quattro libri e dodici capitoli; ogni singolo capitolo viene però raccontato dal punto di vista di un diverso narratore appartenente a un differente strato sociale. Si tratta di un un romanzo straziante, ma che non risulta affatto deprimente: vivendo la loro situazione di dolorosa angoscia, i vari personaggi riescono a trovare conforto, arrivando a una sorta di redenzione.
D'altra parte, l'epoca oggetto del racconto è quella in cui il popolo newyorkese guardava le torri gemelle con stupore, piuttosto che con l'orrore di chi si specchia in uno spazio vuoto.
McCann ha indubbiamente messo tanta carne al fuoco; ha comunque saputo gestir bene gli intrecci ed i collegamenti, costruendo una serie di storie emozionanti (anche se, purtroppo, non tutte hanno lo stesso spessore e l'adeguato approfondimento psicologico). 
Il capitolo conclusivo, narrato a distanza di parecchi anni dalla figlia di uno dei personaggi, risulta forse pleonastico e attenua un po' troppo il senso di distanza che il testo possedeva rispetto agli eventi dell'11 settembre: a mio personalissimo parere, sarebbe stato meglio concludere la narrazione in quelle complesse e tormentate giornate dell'agosto del 1974.


Consigliato a: chi vuole leggere un romanzo corale, con personaggi che si incrociano arrivando talvolta a interagire l'uno con l'altro, ed a chiunque sia curioso di farsi un'idea dell'America dei primi anni settanta: una nazione sofferente e lacerata, che sta scontando le conseguenze dei suoi peccati.


Voto: 7/10


Gio  

lunedì 21 dicembre 2020

L'uomo con la faccia da assassino, Matti Rönkä


Matti Rönkä è un volto noto della televisione finlandese –  già giornalista e reporter di Yle TV1 - che ad un certo punto della carriera ha deciso di dedicarsi alla scrittura. Il protagonista dei suoi romanzi, Viktor Kärppä, è un personaggio che incarna alla perfezione la zona d'ombra che intercorre tra "buono" e "cattivo", giusto e sbagliato, russo e finlandese: tutte situazioni che si ripropongono all'interno della sua storia personale. Proprio per questi motivi, la sua conoscenza della spietata criminalità russa è notevole ed approfondita. 
L'uomo con la faccia da assassino è il primo volume di una serie che in patria ha riscosso un notevole successo di pubblico, tanto da essere oggetto di una trasposizione televisiva.
Partiamo, come sempre, dalla trama. 

Viktor Kärppä è una sorta di detective privato di origine russa ma naturalizzato finlandese che vive ai confini della legge. Oltre a comuni indagini private, è solito sbrigare qualche lavoretto per la mafia russa di Helsinki. Quando gli viene commissionato l'incarico di ritrovare Sirje, la giovane moglie del libraio Aarne Larsson, tutto farebbe pensare a un compito di ordinaria amministrazione. Viktor scoprirà che Sirje non è una donna qualunque: è la sorella del trafficante estone Lillepuu, soprannominato "il terrore del Baltico". 
L'indagine diventerà così più complicata del previsto e il passato sovietico tornerà ben presto a presentargli il conto. 

Il protagonista di questo romanzo - Viktor Kärppä - è una sorta di Alligatore in salsa finlandese. Sono numerosi i punti in comune col personaggio ideato da Massimo Carlotto: al di là del fatto di esercitare la professione in maniera semiclandestina e del muoversi sul sottile crinale che separa la legalità dal crimine, vanno sottolineate la malinconia di fondo che pervade il racconto e la capacità di utilizzare il noir per evidenziare gli aspetti nascosti di una società malata in cui assume notevole rilevanza il problema delle minoranze etniche. 
Rönkä, probabilmente, è riuscito a fornire una nuova prospettiva alla letteratura poliziesca nordica, trascinandola al di fuori del solito contesto "crimine-soluzione" per farne quasi uno strumento sociologico: l'ambientazione si alterna infatti tra Helsinki e la Carelia, una delle zone più "calde" del mondo nonché terra di confine tra civiltà che devono imparare a convivere.
La scrittura è semplice e diretta, in grado di costruire atmosfere "fredde" non soltanto per ciò che riguarda la temperatura. La psicologia dei personaggi, purtroppo, non risulta troppo approfondita; speriamo che nei successivi romanzi che compongono la serie Rönkä riesca a dare più sostanza a Viktor e alle figure che gli gravitano intorno.


Consigliato a: coloro che vogliono fare la conoscenza di un insolito detective russo-finlandese e a chiunque apprezzi l'hard-boiled, questa volta collocato in una particolare ma affascinante ambientazione nordica.


Voto: 7/10


Gio     




sabato 19 dicembre 2020

Lo spettatore, Anton Soliman


Dopo qualche tempo torniamo alle nostre mitiche letture di coppia. 
Premesso che nessuno dei due ha idea di chi sia questo Anton Soliman - e una minuziosa ricerca su Google non ci ha per nulla aiutato a colmare la lacuna - questo racconto (lungo una cinquantina di pagine) è stato acquistato da Mely sull'impulso del momento; dopo aver letto la trama - che pareva assai promettente - ha deciso di regalarmelo inserendolo come cadeaux nel calendario dell'avvento da lei predisposto.
Ne abbiamo condiviso la lettura durante una delle ormai ricorrenti giornate in "zona rossa", chiusi in casa al calduccio, e alla fine ci siamo confrontati per comprendere il significato di una storia abbastanza inusuale. 
Com'è andata? Se andate avanti... presto lo saprete! 

Trama:
Un signore di nome Oskar, un bel giorno, riceve un invito per una prima teatrale che si terrà in città. Nonostante la sorpresa, l'uomo considera questa premiere un'occasione irripetibile per entrare in contatto con personaggi di alto lignaggio che, se sarà fortunato, gli daranno l'opportunità di migliorare la sua posizione sociale. 
Anche se la serata pare essere foriera di sorprendenti novità, il povero Oskar non sospetta di sicuro che, dietro allo spettacolo teatrale, si celi un perverso e infrangibile meccanismo: verrà così intrappolato in una messa in scena che si protrarrà nel tempo, per lunghissimi anni.

Giudizio di Mely:
Non mi è piaciuto per niente, sia per il genere (troppo lontano dai miei gusti) sia per l'inconsistenza della trama. Pur essendo una lettura piuttosto breve, è riuscita a risultare ugualmente lenta e noiosetta; il protagonista, alla fine, si dimostra un vero e proprio pollo perché non ha fatto altro che perdere un sacco di tempo dietro a una persona che non se lo filava minimamente. 
Voto: 2/10 

Giudizio di Gio:
Lo spunto di partenza non sarebbe male, con lo sviluppo del plot che segue incessantemente l'idea del palcoscenico come metafora della vita. Purtroppo, dopo un inizio promettente, la narrazione si perde un po' per strada e il racconto si incarta su se stesso nell'attesa di un qualcosa che non accadrà. Soliman strizza l'occhio a Samuel Beckett e al suo Godot... ma rimane anni luce lontano dall'originale. La scrittura un po' piatta non asseconda le buone intenzioni dell'autore e, alla fine, il messaggio che cerca di trasmettere al lettore è abbastanza scontato.
Voto: 5/10    

Come vedete, questa volta siamo abbastanza d'accordo: entrambi non abbiamo apprezzato granché quest'opera, ritenendola piuttosto velleitaria e non all'altezza (anche se, leggendo tra le righe, il giudizio di Mely è stato molto più cattivo e tranciante di quello di Gio). 
Ringraziandovi per l'attenzione, vi diamo appuntamento ad una delle prossime letture di coppia. 
A presto!





   


martedì 15 dicembre 2020

La famosa invasione degli orsi in Sicilia, Dino Buzzati


«Dunque ascoltiamo senza batter ciglia / la famosa invasione degli orsi in Sicilia.»

Questo è l'incipit di una fiaba deliziosa, piacevole e divertente, che risulta ancora attualissima nonostante siano passati ormai 75 anni dalla sua pubblicazione. Come nei racconti degli antichi cantastorie ogni singola vicenda ne racchiude altre, che si sviluppano a loro volta in svariati percorsi secondari e che costituiscono una gioia per tutti coloro che hanno il piacere e la voglia di immergersi in un mondo immaginario e coinvolgente.

Il libro narra le vicende di un gruppo di orsi che vive sulle montagne siciliane sotto l'illuminata guida del Re Leonzio. Nel corso di un gelido inverno, gli orsi rimangono privi di cibo; decidono quindi di invadere il Granducato di Sicilia per cercare di sopravvivere. Il sovrano degli orsi spera anche di ritrovare il figlio Tonio, che alcuni anni prima era stato rapito dai cacciatori.
Dopo aver sconfitto l'esercito del Granduca, inizia il regno di Leonzio all'insegna della pacifica convivenza tra orsi e uomini.
Col passare del tempo, però, gli orsi cominceranno a corrompersi, assumendo le peggiori abitudini umane: bere, rubare e giocare d'azzardo.  

Una Storia con la S maiuscola, che sarebbe riduttivo considerare alla stregua di un libro per bambini. Nonostante il racconto sia semplice - dedicato al popolo dell'infanzia - anche ai grandi non sfugge il profondo significato del testo e la critica che porta dentro di sé.
L'elemento principale della narrazione è il tema del cambiamento: quella graduale variazione di abitudini e di modi d'essere che si viene a creare nel momento in cui gli orsi entrano in contatto con gli esseri umani, iniziando a vivere come loro e arrivando a conoscerne anche gli aspetti più negativi (e questo ha fatto scattare dentro di me un necessario paragone con La fattoria degli animali di George Orwell).
Quest'opera, oltre ad essere un accorato omaggio alla Sicilia dei tempi che furono, è al tempo stesso una chiara metafora della guerra - che l’Italia stava vivendo durante la stesura della storia -  di cui riesce a mettere in risalto tutta l’assurdità.
La narrazione si articola nel susseguirsi di agili capitoletti, ciascuno dei quali termina sul più bello: un ottimo impulso per spingere il lettore a proseguire nella lettura senza interruzioni. La presenza di bellissime illustrazioni, opera del medesimo Buzzati, si concilia alla perfezione col magico fluire della narrazione.


Consigliato a: coloro che amano i libri per l'infanzia in grado di parlare anche al mondo degli adulti ed a chiunque voglia tuffarsi in un mondo fiabesco capace di coinvolgere, ammaliare e far riflettere.


Voto: 8/10



sabato 12 dicembre 2020

It, Stephen King

 


Parto da tre piccole premesse:
1) Se avessi letto questo libro a vent'anni invece che a cinquantatré suonati, probabilmente il mio giudizio sarebbe stato diverso;
2) Purtroppo, non amo per nulla il soprannaturale e ciò che esula dalla realtà tangibile; horror, fantasy e fantascienza sono troppo lontani dalle mie corde e, proprio per questo, non riesco ad apprezzare neanche le cose migliori dei menzionati generi (per dire... mi sono addormentato durante la visione di Il signore degli anelli);
3) Di Stephen King ho apprezzato soprattutto quei romanzi in cui il contenuto di fantasia era limitato o ridotto ai minimi termini: 22.11.63 e Il miglio verde, ad esempio, li ho trovati davvero notevoli
Detto questo, è logico che il mio giudizio su It non possa essere del tutto positivo. Dopo un inizio folgorante, capace di coinvolgere il cuore e la mente del lettore trascinandolo in una straordinaria discesa agli inferi, il prosieguo del romanzo non l'ho trovato all'altezza. Per usare una metafora che mi aiuti a spiegare le sensazioni che mi ha dato questo libro, posso farvi pensare all'immagine di un bel soufflé - soffice ed appetitoso - che lievita pian piano nel forno ma alla fine, malauguratamente, si sgonfia senza rimedio. 

Credo che la trama la conosciate ormai tutti. 
Impossibile che non abbiate mai sentito parlare della piccola cittadina di Derry; della tremenda sorte toccata al piccolo Georgie mentre cerca di recuperare una barchetta di carta da un canale di scolo; di quell'oscura presenza - denominata It, per l'appunto - che si manifesta sotto le sembianze di un clown. 
Chiunque - almeno credo - conosce alla perfezione la vicenda di quella creatura mostruosa risvegliata dalle tenebre e della sua terrificante sfida ad un gruppo di ragazzini; così come il 99% della popolazione mondiale sa benissimo che, a distanza di anni, quando il mostro riprenderà a chiedere il suo tributo di sangue, i ragazzini di un tempo lasceranno alle loro spalle famiglia e lavoro per tornare a combatterlo. 

La storia funziona alla perfezione finché resta nel territori del romanzo di formazione. In questo contesto, ritroviamo infatti i temi cari al Re del Brivido: il potere della memoria, il mito dell'innocenza perduta, i traumi propri dell'infanzia, la violenza occultata dietro una sottile patina di serenità.
Purtroppo, da un certo momento in avanti, pare che Re Stefano abbia un po' perso di mano le redini del racconto. La vicenda fuoriesce dai binari, come un treno che viaggia troppo veloce, e infierisce in maniera grottesca producendo schiere di mostri famelici e cruenti, effetti grandguignoleschi da film splatter di serie B e snodi narrativi abbastanza sconclusionati (almeno, a mio personalissimo parere).
Il libro scorre benissimo fino ad un certo punto; nella seconda parte finisce per perdersi producendo situazioni confusionarie e poco plausibili. Nonostante abbia divorato in pochi giorni i primi tre quarti del testo, la parte finale è stata per me una sorta di agonia (tanto che mi è quasi passato per la mente di abbandonare!) 
Fatto sta che la mia valutazione non collima per niente con quella di chi ritiene che It sia il migliore libro di King: lo scrittore di Portland ha fatto decisamente di meglio! 


Consigliato a: coloro che amano i romanzi di formazione permeati da una decisa ed esuberante vena "horror" e a chiunque ami i tomoni avvincenti e trascinanti (almeno... fino ad un certo punto).     


Voto: 6,5 (media tra l'8 della prima parte e il 5 della seconda).


Gio    

venerdì 11 dicembre 2020

Anatomia di un istante, Javier Cercas

 


In Anatomia di un istante - così come aveva già fatto nel precedente romanzo sulla guerra civile, Soldati di Salamina - Javier Cercas ha esaminato un momento chiave della storia spagnola contemporanea: il tentativo di colpo di stato del 23 febbraio 1981 che è di fatto l'unico golpe mai catturato dal mezzo televisivo mentre questo stava accadendo (il che, come sostiene lo stesso autore, "garantiva sia la sua realtà che la sua irrealtà").

“Qualunque destino, per lungo e complicato che sia, consta in realtà di un solo momento: quello in cui l’uomo sa per sempre chi è”

Proprio partendo da questa considerazione di Jorge Luis Borges, Cercas rinuncia del tutto (o quasi) alla fiction per raccontare i fatti nudi e crudi; quelli che si verificarono dal momento in cui il colonnello Tejero entrò armato nel parlamento di Madrid. 
Ciò che l'autore scorge in quell'istante - mentre le pallottole fischiavano nell'aria e i parlamentari si rintanavano sotto i banchi come bestie smarrite - è la reazione di tre uomini: il primo ministro Adolfo Suàrez, il tenente generale Gutiérrez Mellado e il segretario del partito comunista Santiago Carillo; tre personaggi che, pur essendo sicuramente ascrivibili a valori diversi (talvolta addirittura contrastanti), rimasero seduti sul loro scranno a sfidare il golpe imminente.
Quel gesto - diretta conseguenza del retroterra personale e politico dei personaggi - diventa così il punto di partenza attraverso cui analizzare le vicende - passate, presenti e future - di un Paese approdato alla democrazia dopo lunghi anni trascorsi sotto il Franchismo.  

Una perfetta ricostruzione storica. Sarebbe errato sostenere che quest'opera costituisca un ibrido tra il resoconto puntuale dei fatti e la storia romanzata; questo libro è, in realtà, una cronaca scritta in forma di saggio, supportata da uno stile avvincente, in cui lo scrittore si addentra in un'indagine psicologica degli interpreti di un momento topico della storia spagnola.
A metà strada tra l'inchiesta giornalistica e la riflessione storica, Anatomia di un istante racconta con accuratezza gli avvenimenti di quelle lunghe ore in cui il mondo intero rimase col fiato sospeso, utilizzando quel preciso momento come una sorta di "spioncino" attraverso cui si può contemplare un'epoca e un paese. 
Con una notevole abilità nella gestione delle fonti documentarie e una padronanza assoluta della narrazione, Cercas riesce così a ricostruire la cronaca di una giornata memorabile per l'avvenire della Spagna contemporanea.  


Consigliato a: coloro che amano la storia, raccontata magari con le modalità e gli strumenti del romanzo, ma assolutamente fedele e attendibile per ciò che concerne spirito, impatto emotivo e gestione delle fonti documentali.


Voto: 8/10


Gio    

venerdì 4 dicembre 2020

Il delirante circolo degli uccelli ubriachi, Juan Aparicio-Belmonte

 


Se con Mala suerte avevo fatto la conoscenza di Juan Aparicio-Belmonte e della sua notevole capacità inventiva, con questa sorta di sequel - atipico, debordante e sopra le righe - ho invece scoperto un fior fior di romanziere, capace di congegnare trame dalla struttura geniale e di dar vita a personaggi e a situazioni esilaranti.
Questo romanzo è una sorta di ottovolante, lanciato ad alta velocità, che travolge il lettore con il suo ritmo inarrestabile e vertiginoso.
Partiamo dalla trama, al cui interno troviamo di tutto e di più....

Abbiamo uno scrittore arrestato per un brutale delitto, un messia sceso dal cielo che preannuncia una prossima apocalisse, un'artista concettuale che ha ideato una colossale vagina esplosiva, il primo ministro spagnolo impegnato in una liaison clandestina, un poliziotto sadico ed ermafrodita... e, dulcis in fundo, ritroviamo la bellissima e sexy investigatrice Sarita Lagos - già protagonista dell'opera precedente - impegnata a combattere un bizzarro complotto di alcune inquietanti donne delle pulizie. 

Si tratta di un romanzo dall'inventiva sfrenata, che interseca diverse storie ed è sorretto da un umorismo incontrollato che, di tanto in tanto, flirta da vicino con l'assurdità e l'incongruenza. Dirò di più: all'interno del testo è contenuto un vero e proprio "romanzo nel romanzo" che, ad un certo punto, riesce quasi a trarre in inganno l'inconsapevole lettore... tanto che non si riesce più a capire quale sia la parte romanzata e quella attribuibile alla realtà.
Belmonte lavora di fino sulla struttura del noir classico, destrutturando e ricostruendo senza preoccuparsi di plausibilità e verosimiglianze; miscela perfettamente ironia, stravaganze, irrazionalità e fantasie deliranti, facendo leva su una prosa che possiede le qualità del ritmo e dell'agilità. Certo, a tratti pare di assistere ad una colossale follia narrativa: i salti repentini da un personaggio all'altro, da un narratore all'altro, da un'avventura all'altra, possono, alla lunga, stancare un poco. 
Rimane comunque il mio giudizio assolutamente positivo su questo libro che riesce, attraverso un umorismo originale e sfrontato, a ritrarre il senso di spaesamento che pervade gran parte della nostra società.


Consigliato a: chi ama la letteratura sperimentale, originale e sfrontata e a chiunque voglia fare la conoscenza di un autore emergente che è considerato dalla critica spagnola come "un vero e proprio sabotatore del noir".


Voto: 8/10



giovedì 3 dicembre 2020

Il cerchio celtico, Björn Larsson


Conoscete tutti la mia smisurata passione per i prodotti Iperborea. Questa volta mi sono dedicato a quello che è considerato uno tra gli autori di punta della casa editrice, specializzata nella letteratura del Nord Europa: Björn Larsson.
Di questo prolifico autore svedese, fino ad ora, avevo letto unicamente il libro/confessione Diario di bordo di uno scrittore; ho ritenuto giusto, quindi, dedicargli un po' di attenzione anche per ciò che riguarda la sua attività di romanziere.  

In una notte scura, nel porto danese di Dragor, Ulf riceve un giornale di bordo da un marinaio finlandese di nome Pekka, che poi scompare improvvisamente. Gli strani eventi narrati nel registro riportano i dati della navigazione fra la Finlandia e la Scozia; da un certo punto in avanti, però, iniziano a raccontare di alcune misteriose vicende legate ai luoghi della tradizione celtica.
Sulla spinta di tutto ciò Ulf, accompagnato dall'amico Torben, deciderà di compiere un'audace traversata invernale del Mare del Nord verso la Scozia; nel corso del viaggio, irto di pericoli e difficoltà, si troverà ad affrontare trafficanti di armi e seguaci di un antico culto druidico.

Il vecchio e caro romanzo d'avventura, privo di elementi di fantasia o fantascienza, è diventato oramai una rarità. Larsson riesce a rivitalizzarlo attraverso un'originale storia in cui coesistono mare, amicizia, intrighi, efferati omicidi e la volontà di rinascita di un popolo, troppo a lungo soffocato dalla Storia.
Certo, la premessa di una cospirazione celtica non è molto plausibile - vista l'accresciuta autonomia concessa di recente a Scozia e Galles - però la storia risulta avvincente a prescindere per la sua capacità di miscelare mitologia e magia con il mystery di stampo classico.
Questo libro ha l'innegabile merito di farci sentire il sapore del mare aperto, delle coste frastagliate e dei canali scozzesi; allo stesso tempo ci regala un'interessante rappresentazione della storia e della tradizione celtica. 
Peccato solo che Larsson si dilunghi eccessivamente nelle descrizioni nautiche, infarcite da sin troppi dettagli. Per coloro che non hanno dimestichezza con la navigazione, alcuni passaggi del romanzo sono arabo allo stato puro! 
La lettura è scorrevole, senza cali di ritmo o di tensione; credo comunque di aver ravvisato alcuni problemi - dovuti probabilmente alla traduzione - che riguardano l'utilizzo dissonante dei tempi verbali. 


Consigliato a: coloro che amano il mare e l'avventura e a chiunque si appassioni alle vicende in cui imperversano mitologia, riti ancestrali e culti druidici.


Voto: 7/10