In questa annata così particolare (non credo occorra spiegare il perché) ho deciso di recuperare alcuni classici che ancora non avevo letto. Dopo La storia, Todo modo, La chimera e Il deserto dei tartari è finalmente giunto il momento di Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: un romanzo che, oltre ad essere uno dei più celebri della letteratura italiana del XX secolo, è al tempo stesso uno straordinario affresco di un mondo giunto sul viale del tramonto.
“Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi.”
Partiamo dal contesto storico. Il libro ha come sfondo le trasformazioni avvenute all'interno della società siciliana nel corso del Risorgimento, nel momento di transizione tra il regime borbonico e il Regno d'Italia, all'indomani della spedizione dei Mille.
Vengono narrate le vicende di una famiglia dell'alta aristocrazia, colta nell'esatto momento del passaggio di regime; la vicenda ruota però, essenzialmente, attorno a un unico personaggio, il principe Fabrizio Salina, il cui inesorabile declino procede di pari passo a quello di un'epoca. Assistiamo quindi a una sorta di requiem dell’aristocrazia che si vede costretta a cedere il passo a una nuova civiltà; ad una raffinata decadenza di un'intera classe sociale che si manifesta nel principe attraverso un diffuso e doloroso malessere esistenziale.
Sarebbe errato, probabilmente, catalogare Il Gattopardo nel novero dei romanzi storici tout court; all'interno della trama, infatti, non troviamo personaggi realmente esistiti e i grandi accadimenti dell'epoca, come la spedizione garibaldina, emergono esclusivamente all'interno dei discorsi dei protagonisti.
Questo romanzo rappresenta un ritratto piuttosto fedele del carattere dei siciliani: un popolo che storicamente è sempre stato oggetto di colonizzazione e di dominio da parte di governi stranieri ma che, malgrado tutto, oppone un risoluto e sdegnoso rifiuto all'idea di un rinnovamento.
Ad emergere, con lo scorrere delle pagine, è soprattutto un doloroso senso di sconfitta. La società isolana dell'epoca diventa la vittima delle proprie antiche tradizioni, legate ad una connotazione quasi feudale del potere e ad un'arretratezza ideologica e culturale irrisolvibile. Ma, soprattutto, è la Sicilia stessa - arida, riarsa ed inclemente - ad essere ritratta alla stregua di un ambiente avverso e sfavorevole, in cui l’uomo sconta quotidianamente i propri peccati e dove solo la terra, incurante delle umane vicende, continua a perpetuarsi all'infinito.
La scrittura è bella, lirica e ricercata, forse un pochino invecchiata dal passare inarrestabile del tempo; le descrizioni dei palazzi nobiliari, degli arredi e dei banchetti sono notevoli e fanno ormai parte della storia della letteratura.
Un classico che mi sento in dovere di consigliare a chiunque nutra il desiderio di farsi il giusto ritratto di un'epoca al confine tra un mondo che sta scomparendo e un altro - sicuramente più moderno ma, in fondo, niente affatto migliore - che sta prendendo il suo posto.
Consigliato a: chiunque voglia recuperare un classico che ha fatto la storia della letteratura italiana e a coloro che vogliono capire che cosa sia oggi la Sicilia (ri-scoprendola all'interno di un libro "di ieri").
Voto: 7,5/10