martedì 4 maggio 2021

La casa degli spiriti, Isabel Allende


Oggi vi parlerò di un volume che attendeva sullo scaffale da qualche tempo (un bel po' di annetti a dire il vero) e che mi sono finalmente deciso a prendere in mano. 
La casa degli spiriti è il primo e forse più celebre romanzo della scrittrice peruviana (ma cilena d’adozione) Isabel Allende. Pubblicato nell'ormai lontano 1982, il libro racchiude una saga familiare lunga tre generazioni in cui si riflettono la storia e il destino di un intero popolo.

Nel periodo compreso tra i primi anni del Novecento e l'avvento della dittatura degli anni Settanta, alla splendida tenuta "Tre Marie", si svolgono le vicende di Esteban Trueba e della sua famiglia. Ricchi latifondisti e miseri contadini, sostenitori e contestatori del Presidente Allende, forze di destra e di sinistra, si confrontano in questa opera che intende rappresentare un affresco della cultura, della società e della politica cilena del Novecento.

Parto da un assunto: io e il "Realismo magico" non andiamo per niente d'accordo. Mi ritengo realista fino al midollo; pertanto quando vedo il mondo concreto e reale, così com'è visibile, contaminato da elementi magici o di fantasia vengo colto da una sensazione di sconforto che mi spinge a rifiutare indiscriminatamente ciò che sto leggendo.
Detto questo, è palese che La casa degli spiriti - così com'è accaduto con Cent'anni di solitudine e altri romanzi annoverabili alla corrente - non mi abbia appassionato granché, lasciandomi addosso una sensazione di noia indistinta. 
L'opera, in realtà, può essere letta come una sorta di diario, nel senso che narra la storia di un nucleo familiare attraverso un lungo flash-back in cui, spesso, narrazione e intreccio non vanno di pari passo. La commistione tra vicende reali e invenzioni romanzesche non sempre funziona alla perfezione; gli eventi effettivamente accaduti, celati dietro una patina di finzione, risultano un po' attenuati ed edulcorati e persino gli accadimenti più tragici e drammatici vengono spogliati della loro forza dirompente: fatti che dovrebbero lasciarci indignati, confusi e sconvolti scivolano via, in maniera fiabesca, come acqua tra le dita. 
Ecco... in poche parole vi ho spiegato perché non mi piace il realismo magico: per il fatto di cercare di camuffare il mondo circostante, tramutando il dolore in fiaba e la tragedia in soft opera. 
Al di là di tutto, la Allende risulta per me eccessivamente verbosa e ridondante; questo romanzo, in particolare, è a tratti dispersivo e prolisso e ho trovato davvero arduo appassionarmi alle vicende di Esteban Trueba e dei suoi famigliari. 


Consigliato a: chi ama la letteratura sudamericana e la sua capacità di coniugare avvenimenti realistici con elementi magici e a chiunque apprezzi le saghe raccontate in maniera sfarzosa e ampollosa.


Voto: n.g. (come sempre, quando non mi trovo d'accordo con la stragrande maggioranza dei lettori, evito di dare un voto).







      

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