Ho sempre apprezzato Orhan Pamuk per la sua innata capacità di rappresentare similitudini e differenze tra culture radicalmente opposte, facendone emergere i rispettivi valori e le logiche contrapposizioni. Questo romanzo, che rappresenta una delle prime opere dell'autore premiato col Nobel per la letteratura, non sfugge a questo assunto: al suo interno si percepisce, ad ogni pagina, il serrato confronto tra due mondi - cultura orientale e occidentale - che diventa sin da subito il leitmotiv dell'intera narrazione.
Si può dire che Il castello bianco porti dentro di sé i germi di quella che, qualche anno dopo, diventerà una tra le opere cardini nella produzione dello scrittore turco, Il mio nome è Rosso (sebbene il sottoscritto preferisca i libri con ambientazione contemporanea come La stranezza che ho nella testa e Il museo dell'innocenza); rimane però parecchio distante dalla potenza stilistica e narrativa di quel meraviglioso affresco e, nonostante l'affascinante idea di partenza, finisce col perdersi in un'esposizione lenta e faticosa.
Durante un viaggio in nave da Venezia a Napoli, un giovane studioso italiano cade in mano ai turchi. Dopo essere stato incarcerato ad Istanbul, il ragazzo riesce ad entrare nelle grazie del Pascià e, qualche tempo dopo, viene affidato come schiavo a uno studioso da tutti conosciuto come "Maestro": un uomo a cui è accomunato da una sorprendente somiglianza fisica.
Da quel momento in avanti, sarà suo compito istruire il nuovo padrone nelle principali scienze occidentali: medicina, matematica e astronomia. Il rapporto tra i due uomini subirà una lenta e progressiva evoluzione; la reciproca conoscenza - che li condurrà al punto di confidarsi anche i segreti più intimi - farà sorgere in loro l'idea di potersi scambiare identità.
Il tema del doppio è senza dubbio uno dei più ricorrenti all'interno della letteratura mondiale. In questo caso facciamo la conoscenza di un Maestro ottomano e del suo servitore veneziano: due personaggi che si somigliano come gocce d'acqua e che finiranno col fondersi in un'unica e inestricabile identità. La metafora, in questo caso, è abbastanza scoperta: i due protagonisti rappresentano le similitudini tra oriente e occidente, due mondi distinti e conflittuali che alla fine si dimostrano come facce della medesima medaglia.
Di sicuro non si tratta di un libro di facile lettura; ogni tanto pare di trovarsi di fronte ad un mero esercizio di stile. Però è innegabile che, all'interno della narrazione, vengano esposti temi molto importanti: la relazione tra padrone e servitore; lo straordinario potere della conoscenza; la modernizzazione dell'Impero Ottomano e la sua rivalità con i paesi dell'occidente.
Nonostante la narrazione proceda, talvolta, in maniera faticosa, riusciamo già ad intravedere il talento straordinario di Pamuk: un autore che ha la capacità di ritrarre personaggi e imperi di alcuni secoli prima facendo percepire al lettore di oggi la realtà di questi luoghi, indipendentemente dalla cultura in cui vive.
Consigliato a: coloro che amano la scrittura sospesa e quasi rarefatta, capace di trascinare il lettore lontano nel tempo, ed a chiunque voglia affrontare una delle prime opere di un autore destinato ad essere premiato qualche anno dopo col Nobel.
Voto: 6,5/10
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