martedì 19 novembre 2019

La donna mancina, Peter Handke


Se questo è il capolavoro di Peter Handke… siamo fritti.
Dopo la consegna del Premio Nobel, ho deciso di andare alla scoperta di questo autore austriaco che conoscevo già come ottimo sceneggiatore – Il cielo sopra Berlino di Wenders è opera sua – ma di cui ignoravo del tutto l’attività di scrittore. Purtroppo La donna mancina non mi ha per niente esaltato: l’ho trovato un romanzetto qualunque, pura acqua fresca che scivola via senza lasciare traccia, e pertanto lontano anni luce da quell’opera memorabile che mi aspettavo da un narratore insignito della massima onorificenza in campo letterario.
Partiamo, come di consueto, dalla trama…

Marianne è sposata con Bruno, direttore vendite di una ditta di porcellane, ed è madre di un ragazzino di otto anni di nome Stefano. Quando il marito fa ritorno a casa, dopo una trasferta dl lavoro in Finlandia, le dichiara il proprio amore assoluto e totale. Lei, del tutto inaspettatamente, gli risponde invece di volersi separare.
La donna, restando ferma sulle sue posizioni, si dedicherà ad un’esistenza solitaria: riprenderà il lavoro di un tempo in campo editoriale, affrontando la vita racchiusa nel proprio eremo e disdegnando nuovi legami sociali e sentimentali.

Si tratta di un romanzo breve – una novantina di pagine in tutto - abbastanza tradizionale per quanto concerne la struttura e lo sviluppo della trama.
Handke utilizza la vicenda di Marianne per raccontare una storia di solitudine auto-inflitta, che flirta da vicino con l’apatia, attraverso un pot-pourri di microeventi quotidiani che vengono accostati, talvolta, senza troppo rispetto per il continuum narrativo.  
Con uno stile fotografico, teso ad inculcare nel lettore alcune immagini nitide e ben definite, l’autore abbraccia un afflato minimalista, senza troppi guizzi o particolarità stilistiche.
Il tutto puzza un pochettino di artefatto e di stantio: pare di assistere ad una piece-teatrale un po’ bislacca, priva di qualsiasi trasporto emotivo/passionale, con cui Handke cerca di descrivere la battaglia di una donna contro la consuetudine, nel tentativo di sganciarsi dal proprio ruolo di moglie/madre per inseguire una nuova identità.
I dialoghi appaiono stringati, quasi schematici; le descrizioni di luoghi ed ambienti sono ridotte all’osso e piuttosto insignificanti.
Ala fine la domanda sorge spontanea: che cos’hanno fatto di male all’Accademia del Nobel scrittori grandissimi come McCarthy, DeLillo, Ford e Marias, senza tralasciare la buonanima di Philip Roth, per vedersi preferire un autore che non si distingue certo per originalità o brillantezza letteraria? Probabilmente non lo sapremo mai… 


Consigliato a: coloro che vogliono fare la conoscenza dell'ultimo Premio Nobel ed a chiunque apprezzi la narrazione di stampo sintetico e minimalista.


Voto: 5/10



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