sabato 12 ottobre 2019

Il mio nome è Rosso, Orhan Pamuk





Può un’opera letteraria essere allo stesso tempo bellissima e noiosa, innovativa e monotona, suadente ed urticante? Questa sensazione l’ho provata leggendo Il mio nome è Rosso, uno tra i libri più celebri ed acclamati del Premio Nobel per la Letteratura Orhan Pamuk.
Si tratta di un romanzo “a più voci”, dalla struttura complessa, che si articola in un susseguirsi di capitoli che vengono raccontati dal punto di vista di personaggi diversi, fra cui figura anche Nero: un ex miniaturista, tornato ad Istanbul dopo dodici anni di lontananza, che cova dentro di sé un amore smisurato per la giovane vedova Şeküre.

Siamo nella Istanbul del 1591. Tra i miniaturisti che lavorano nel Palazzo del Sultano – il cui scopo è quello di "vedere" ciò che disegnano con gli occhi di Allah -  si nasconde un crudele assassino. Nero è disposto a qualsiasi cosa per smascherare il criminale, anche a mettere in gioco la propria vita. Perché, in caso di fallimento, gli sarebbe precluso per sempre il futuro che sogna di trascorrere accanto alla donna che ama.
Sullo sfondo, assistiamo ad un vero e proprio conflitto tra la tradizione ottomana, contraddistinta da un implacabile fanatismo, e l'ammirazione che alcuni personaggi – tra cui lo stesso Nero - provano per i dipinti della scuola veneziana e, di riflesso, anche per, per l'occidente cristiano

Quest’opera risulta sicuramente memorabile per quanto concerne la struttura, la polifonia e, soprattutto, per la straordinaria ambientazione in una Istambul fredda e nevosa alla fine del sedicesimo secolo. Pamuk è riuscito, con il suo stile perfetto ed evocativo, a trasmettere il preciso ritratto di un'epoca e della sua cultura, dipingendo i dilemmi filosofici, iconografici e religiosi di un mondo ormai al tramonto.
Purtroppo, a tratti, il romanzo risulta pesante, monotono ed ossessivamente descrittivo: i riferimenti storici si accumulano, le pagine in cui vengono descritti i lavori dei vari miniaturisti sono eccessive e, talvolta, pare che l’autore diventi preda di un’ossessione morbosa e maniacale per il dettaglio.
Personalmente, preferisco il Pamuk che racconta la Istanbul di oggi: quello di La stranezza che ho nella testa e Il museo dell’innocenza, tanto per intenderci. Nulla toglie, però, alla grandezza stilistica e formale di questo mosaico difficile ed elitario, in cui è facile perdersi ma – allo stesso tempo – risulta bellissimo e sodisfacente ritrovare la strada.


Consigliato a: coloro che non hanno paura di intraprendere un percorso difficile e per chiunque abbia il desiderio di immergersi nella cultura e nella storia di un’epoca lontana, riprodotta attraverso una scrittura elegante e perfetta.


Voto: 7/10




Nessun commento:

Posta un commento