Questo
è stato il mio terzo Abdolah - dopo Uno
scià alla corte d’Europa e La casa
della Moschea - e non ha fatto altro che consolidare il mio giudizio riguardo
a questo scrittore iraniano, rifugiato politico in Occidente e naturalizzato
olandese: un autore che vanta la straordinaria capacità di coniugare uno stile
narrativo avvincente con un afflato lirico in grado di toccare le corde più
profonde dell’animo umano.
Un pappagallo volò sull’Ijssel è
un romanzo profondamente attuale, che chiunque dovrebbe leggere in questo particolare momento: racconta vicende di immigrazione e di integrazione sociale con una
lucidità ed una partecipazione emotiva encomiabili e riesce a trasmettere,
attraverso le micro-storie dei protagonisti, quella che rappresenta la realtà
dei nostri giorni e che monopolizza quotidianamente il dibattito politico.
Le
vicende si svolgono in quattro paesini dell’Olanda, che sono candidati ad accogliere
un gruppo di rifugiati.
Facciamo
così la conoscenza di Memed, aspirante meccanico e padre di una bambina
gravemente malata; di Lina, validissima interprete che arriverà ad essere
eletta in Parlamento; di Khalid, erede di una dinastia di miniaturisti che farà
valere il suo formidabile talento di pittore e restauratore; di Pari che dopo
essersi separata dal coniuge inizierà una difficile emancipazione collaborando
con un quotidiano locale.
Il
passare del tempo farà però emergere populismi e conflitti mai sopiti; eventi drammatici
come gli omicidi del politico Pim Fortuyn e del regista Theo van Gogh ma,
soprattutto, la tragedia delle Torri Gemelle giungeranno a distruggere il
precario equilibrio raggiunto a fatica tra la popolazione locale e gli
immigrati.
Si
tratta di un romanzo corale, denso di personaggi, di cui seguiamo pagina dopo
pagina l’evoluzione attraverso le piccole storie quotidiane. Abdolah con
passione intrisa di sguardo poetico, riesce ad evidenziare le difficoltà di
integrazione fra la cultura occidentale e quella islamica, contrastata
soprattutto da endemiche differenze socio-politiche e dalla diffidenza
reciproca.
Seguiamo
così un percorso che, dall'iniziale accoglienza da parte degli indigeni
olandesi, condurrà ad un’intolleranza forte, pervicace e manifestata
quotidianamente.
A
differenza dei romanzi precedenti, l’autore inserisce la propria narrazione nel
contesto dell’attualità, riuscendo però a non perdere per strada il proprio
tono fiabesco ed a tratti surreale. La
nota di speranza con cui si conclude il libro è un segnale forte, che indica un
percorso difficile ma tutto sommato non impossibile.
L’impronta
autobiografica è notevole: alcuni dei personaggi (Memed e Pari in particolare) affrontano
esperienze già vissute dallo stesso Abdolah che – non dimentichiamolo - è stato
a sua volta immigrato e rifugiato.
Consigliato a:
coloro che amano i romanzi che sanno essere avvincenti e poetici allo stesso
tempo ed a chiunque voglia lanciare uno sguardo “dall’interno” sulla vita dei
profughi e le loro difficoltà di integrazione in un nuovo mondo.
Voto:
8/10
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