Dopo
aver letto La promessa e Il giudice e il suo boia, ho concluso la
lettura della trilogia gialla di Dürrenmatt con Il sospetto. Scritto nel 1951 – parecchi anni prima che Simon Wiesenthal
assicurasse alla giustizia il criminale nazista Adolf Eichmann – questo romanzo
è sostenuto da una trama nera come la pece, che riesce a coniugare indagine
poliziesca e analisi psicologica trasmettendo, al tempo stesso, un'interessante
critica del mondo capitalista.
Ritroviamo
il commissario Bärlach – già protagonista di Il giudice e il suo boia – ricoverato in un ospedale nei pressi di
Berna. Per puro caso, incappa in una vecchia foto pubblicata sulla rivista Life:
ritrae l’immagine di un chirurgo di nome Nehle intento ad operare senza anestesia
un prigioniero ebreo in un campo di concentramento.
Malgrado
il viso del medico sia in parte occultato da una mascherina, il dottor Hungertobel
– vecchio amico di Bärlach - pensa di riconoscere il collega Emmenberger, titolare
di una rinomata clinica in Svizzera.
Il
commissario, roso dal tarlo del sospetto, inizierà ad indagare sulle possibili
relazioni tra i due medici, arrivando ben presto ad ipotizzare uno scambio di
persona, attraverso cui il criminale sarebbe riuscito a sfuggire ai tribunali
di guerra.
Romanzo
dal forte impatto psicologico, che indaga in profondità il rapporto tra carnefice
e vittima, contrappone due diverse visioni del crimine e della giustizia:
quella di chi ha seguito la strada di una fredda inumanità e quella di colui
che lotta per sconfiggerlo. Questo libro, più di diversi altri, riesce a raggiungere
le radici del male, dimostrando come la spietatezza sia profondamente radicata
anche in una società apparentemente linda e candida come quella svizzera.
Come
di consueto, Dürrenmatt utilizza il genere giallo per parlare di argomenti più
elevati: la memoria di una tragedia ancora troppo vicina, l’impossibilità per gli
inquirenti di raggiungere la verità, la natura fondamentalmente crudele
dell’essere umano.
Rispetto
agli altri romanzi, si riscontra un’eccessiva elaborazione filosofica, che
rischia talvolta di far perdere il filo; rimane comunque un buon esempio di “giallo
emblematico”, capace di valicare talvolta i limiti dell’eticamente accettabile
per giungere negli inesplorati territori dello sconcertante.
Consigliato a: coloro che amano i romanzi
che riescono – con il sapiente utilizzo di una trama poliziesca – a raccontare
le perversioni e le tragedie dell’epoca contemporanea ed a chiunque apprezzi i
gialli di chiara matrice filosofica che si addentrano a fondo nella psicologia dei
protagonisti.
Voto: 7/10
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