L’uomo di casa, Romano De Marco
Personalmente, ritengo Romano De Marco uno dei più talentuosi autori delle ultime generazioni. Con Nero a Milano, in particolare, ha dato il via ad una serie noir di grande impatto, con personaggi credibili ed un'ambientazione capace di rievocare le atmosfere di Scerbanenco.
Sinceramente, non riesco a capire il perché abbia deciso, di punto in bianco, di abbandonare il palcoscenico milanese per raccontare una vicenda ambientata al di là dell’Oceano…
Ma andiamo con ordine, partendo dalla trama…
La vita di Sandra Morrison viene stravolta dopo il ritrovamento del cadavere del marito in uno squallido parcheggio, con la gola recisa ed i calzoni calati. Per la polizia non ci sono dubbi: si tratterebbe di un omicidio a scopo di rapina, maturato durante un fugace incontro con una prostituta. Sandra, incredula di fronte all'accaduto, comincia così a porsi dei dubbi sull'uomo con cui ha condiviso tanti anni di vita coniugale, cercando di rispondere ad un’angosciosa domanda: chi era veramente suo marito? A complicare le cose, la scoperta che l’uomo stava indagando su un caso di cronaca nera di trent'anni prima, concernente il rapimento e l’uccisione di sei bambini per mano di una donna di cui si sono perse le tracce.
La trama del romanzo non si discute: è davvero ben congegnata e riesce ad appassionare il lettore senza sbalzi di tensione. Purtroppo, però, l'ambientazione statunitense spoglia il racconto di un elemento – a mio avviso – fondamentale nella letteratura noir contemporanea: il contesto sociale. Se in Io la troverò e Città di polvere il dipanarsi della trama era perfettamente funzionale all'ambientazione meneghina - una metropoli degradata, sulfurea e notturna - la collocazione yankee non funziona altrettanto bene: l'adattamento appare impersonale e posticcio e non trasmette il radicamento in quel palcoscenico cittadino che nelle opere precedenti, alla pari dei personaggi, era coprotagonista dalla vicenda narrata.
Il sottoscritto ritiene – a torto o a ragione, chi lo sa? – che il noir italiano contemporaneo sia essenzialmente sociale. Senza un simile retroterra di persone, luoghi ed esperienze, il tutto rischierebbe di ridursi ad un mero gioco di abilità, capace sì di divertire il lettore ma senza arrivare a toccarne il cuore (come purtroppo fa parecchia letteratura di genere “made in USA”).
Prendiamo questo romanzo di De Marco come una sorta di affermazione personale – del tipo "io sono in grado di fare thriller come quelli degli americani" (e su questo non c’è dubbio!) – però attendiamo speranzosi un ritorno alle origini con gli amati Marco Tanzi, Luca Betti e Laura Damiani.
Il noir italiano ha troppo bisogno di un autore lui!
Consigliato a: coloro che amano i thriller adrenalinici "come quelli che si fanno in America" e a chi vuole assistere ad una prova di De Marco diversa dal solito.
Voto: 6,5/10
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