martedì 21 luglio 2020

Gang bang, Chuck Palahniuk


Nonostante il sottoscritto sia un vero cultore della letteratura Nordamericana, Gang bang rappresenta il mio primo incontro con Chuck Palahniuk: uno scrittore di cui si è parlato molto negli ultimi anni sia per aver ispirato film di successo (Fight club) sia per la straordinaria capacità di trasportare il lettore in situazioni assurde, al limite del surreale.
Com'è andata? Se proseguite nella lettura di questo commento, lo saprete molto presto... 

Cassie Wright, regina del cinema hard, vuole coronare la sua straordinaria carriera battendo il record mondiale di gang bang: il suo obiettivo, infatti, è quello di accoppiarsi con seicento uomini davanti alla macchina da presa. La storia viene raccontata attraverso le voci narranti di tre personaggi - il signor 600, il signor 72 e il signor 137 - identificati attraverso il numero che è stato loro impresso sul braccio con un pennarello.
Mentre i performers, a gruppetti di tre, vengono chiamati all'azione (ma forse sarebbe più appropriato dire... all'erezione!), 600, 72 e 137 si conoscono e cominciano a dialogare tra loro; a poco a poco emergerà così il giudizio negativo che ognuno ha maturato nei confronti degli altri due.

Che dire? L'idea di base sarebbe anche interessante ma, purtroppo, nel giro di una manciata di pagine il libro diventa ripetitivo e noioso. Ci troviamo di fronte a un divagare eccessivo, quasi come se l'autore avesse iniettato fiale e fiale di anabolizzanti su un racconto breve per trasformarlo in romanzo.
Assistiamo così al reiterarsi di situazioni e di comportamenti in cui lo pseudo-machismo fa a pugni con l'attaccamento alla figura materna e ad un perpetuo sciorinare di false provocazioni che, ad un certo punto, diventano particolarmente indigeste.
La modifica dei titoli di pellicole celebri per adattarle alla tematica pornografica - Il codice Dai Spingi, Il culo oltre la siepe, Com'era aperta la mia valle - è roba da barzellette di liceali piuttosto che da letteratura memorabile; a ciò si aggiunga il fatto che le descrizioni delle scene dei film dell'attrice protagonista, trasmessi su una TV per ingannare l'attesa, sfiorano il ridicolo (non si sa se più o meno volontario).
Lo stile di Palahniuk sarebbe anche apprezzabile: scientifico, crudo, capace di rasentare il grottesco. La trama, però, non lo supporta per niente nelle sue buone intenzioni: ridotta all'osso, lenta e ridondante, non si lascia certo ricordare per qualcosa in particolare.
Il mio primo incontro con Palahniuk non è stato per niente positivo; conto però di leggere altre sue opere prima di stilare un giudizio definitivo.


Consigliato a: chi ama gli scrittori dall'indole provocatoria e dissacrante e a tutti coloro che apprezzano la letteratura americana contemporanea, con tutto il suo corollario di sperimentazioni e visioni destabilizzanti.


Voto: 5/10

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