domenica 2 febbraio 2020

Ah l’amore l’amore, Antonio Manzini




Spiace dirlo – specialmente dopo aver letto decine di recensioni positive – ma con Ah l’amore l’amore prosegue il trend negativo per Manzini, che da un paio di libri a questa parte sembra aver perso per strada l'inventiva e l'originalità che l'avevano contraddistinto. 
Il romanzo - non fraintendetemi - è tutt'altro che noioso: scorre rapidamente e come mero prodotto d'intrattenimento svolge adeguatamente il suo dovere. Risulta però un po' troppo prevedibile e privo di guizzi memorabili; quasi come se l'autore, da qualche tempo a questa parte, fosse diventato schiavo delle esigenze televisive ed avesse come unico obiettivo quello di sfornare sceneggiature già pronte per il piccolo schermo invece che opere ad ampio respiro letterario. 

Rocco Schiavone, che nell'ultimo romanzo era stato ferito da un proiettile vagante, si trova ricoverato in ospedale dopo l'asportazione di un rene. La stessa operazione era stata fatale a Renato Sirchia, facoltoso imprenditore della zona, a causa di un banalissimo errore di trasfusione. 
Costretto all'immobilità, Rocco decide di indagare su quel decesso, avvenuto in sala operatoria, che è stato frettolosamente annoverato tra gli episodi di malasanità. Il vicequestore inizia ben presto a sospettare che la morte di Sirchia non sia la conseguenza di un errore umano; dal suo letto di dolore chiama quindi a raccolta tutti i suoi uomini e segue costantemente lo sviluppo dell'indagine, alla ricerca di una risposta che metta definitivamente a tacere i suoi dubbi.

Ah l'amore l'amore sembra un'opera più televisiva che romanzesca. Francamente parlando, pare un libro scritto più "per contratto" - per garantire la prosecuzione della serie e rispettare l'uscita a cadenza annuale (e quindi per tacitare gli insaziabili appetiti dei fans) - che per rispondere a vere esigenze narrative. Nulla aggiunge al personaggio di Schiavone, che oramai conosciamo alla perfezione. Pare anzi che Manzini abbia voluto concedere più spazio ai comprimari - il vice-ispettore Scipioni e l'agente Casella ad esempio - e approfondire le loro vicende personali, aggiungendo ulteriori filoni narrativi su cui lavorare nei prossimi episodi della serie. 
Giusto o sbagliato?
Mi sembra che Manzini soffra un po' della medesima Sindrome di Maurizio De Giovanni: la trama gialla, col passare del tempo, si è eccessivamente diluita in un'atmosfera da soap televisiva e manca del tutto la volontà (o il coraggio?) di chiarire definitivamente alcune situazioni che si trascinano puntata dopo puntata come se niente fosse.
A ciò si aggiunga il fatto che il protagonista, con la sua personalità strabordante, ha finito per fagocitare tutto ciò che stava attorno, facendo diventare il progetto piuttosto ripetitivo.
Occorrerebbe, a mio avviso, una brusca sterzata, prima che anche il più appassionato dei lettori si disaffezioni, finendo col disinteressarsi prima del tempo alle evoluzioni di un personaggio che si è tanto amato ma che, ultimamente, sta diventando un poco pesante.


Consigliato a: coloro che amano i gialli all'italiana, con interazione tra trama gialla e gusto per la commedia, ed a tutti i numerosi fan di Rocco Schiavone. 


Voto: 6/10


Gio 






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