venerdì 8 febbraio 2019

Rien ne va plus, Antonio Manzini





E anche Manzini, alla fine, ci è cascato!
Se Camilleri disse, tempo fa, che il giallo di casa nostra è una filiazione diretta del melodramma, i suoi eredi putativi – soprattutto De Giovanni e Manzini - l’hanno preso un po’ troppo alla lettera: specialmente se consideriamo il fatto che viviamo in un paese in cui il “melò” si è spesso identificato con produzioni televisive dallo svolgimento interminabile.       
E così anche la serie di Rocco Schiavone comincia a mostrare un po’ la corda, soprattutto per la riproposizione in forma esponenziale delle medesime situazioni e caratterizzazioni, rimescolate di volta in volta.
A differenza di De Giovanni, però, lo scrittore romano riesce a rimanere a galla soprattutto grazie al suo protagonista: un personaggio ben costruito e pieno di sfaccettature che, nonostante l’assoluta mancanza di originalità della trama, continua ad appassionare migliaia di lettori.    

Rien ne va plus parte esattamente da dove si concludeva il precedente Fate il vostro gioco. Rocco ha concluso positivamente le indagini sull'omicidio di Romano Favre, il pensionato del casinò ucciso a coltellate nella sua abitazione, assicurando il colpevole alla giustizia. Il movente, però, è rimasto misterioso.
Stavolta, il vicequestore si ritrova ad indagare su una rapina: un furgone portavalori, che trasportava l'incasso del casinò di Saint Vincent, è scomparso nel nulla.
Schiavone si renderà presto conto che le due vicende sono intimamente connesse e che la sparizione del furgone rientra a far parte di quel “gioco oscuro” che aveva in parte svelato nel precedente libro.

Più che un testo a se stante, Rien ne va plus rappresenta la seconda parte di un unico, lungo romanzo: fruire delle due opere separatamente è praticamente impossibile, perché nella mente del lettore si aprirebbero voragini incolmabili.    
Che la letteratura di genere italiana abbia ormai virato verso la ripetitività, è ormai un dato di fatto. Non sono in grado di dire se dietro questo assioma si celi un’aridità di idee o se sia il segnale – preoccupante – dell’avvenuto addomesticamento di un pubblico ormai “adagiato” sul carisma di un personaggio, disposto ad accettare qualunque cosa pur di ritrovare i propri beniamini.  
Fatto sta che anche la serie di Rocco Schiavone si sta trasformando, a poco a poco, in una sorta di copione televisivo a puntate, che ruota su se stesso e mette la struttura del giallo al servizio di personaggi icona che – con la loro personalità – finiscono col fagocitarsi tutto ciò che gira attorno.
La scrittura di Manzini, come sempre, è fluida e scorrevole… ma questo non è sufficiente per farne un romanzo memorabile.


Consigliato a: tutti i fan di Rocco Schiavone ed a chiunque ami i personaggi seriali che, libro dopo libro, arrivano a mostrare al lettore un pezzettino in più del loro modo d’essere.


Voto: 6/10



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