E
anche Manzini, alla fine, ci è cascato!
Se
Camilleri disse, tempo fa, che il giallo di casa nostra è una filiazione
diretta del melodramma, i suoi eredi putativi – soprattutto De Giovanni e Manzini
- l’hanno preso un po’ troppo alla lettera: specialmente se consideriamo il
fatto che viviamo in un paese in cui il “melò” si è spesso identificato con
produzioni televisive dallo svolgimento interminabile.
E
così anche la serie di Rocco Schiavone comincia a mostrare un po’ la corda, soprattutto
per la riproposizione in forma esponenziale delle medesime situazioni e
caratterizzazioni, rimescolate di volta in volta.
A
differenza di De Giovanni, però, lo scrittore romano riesce a rimanere a galla
soprattutto grazie al suo protagonista: un personaggio ben costruito e pieno di
sfaccettature che, nonostante l’assoluta mancanza di originalità della trama,
continua ad appassionare migliaia di lettori.
Rien ne va plus
parte esattamente da dove si concludeva il precedente Fate il vostro gioco. Rocco ha concluso positivamente le
indagini sull'omicidio di Romano Favre, il pensionato del casinò ucciso a
coltellate nella sua abitazione, assicurando il colpevole alla giustizia. Il
movente, però, è rimasto misterioso.
Stavolta,
il vicequestore si ritrova ad indagare su una rapina: un furgone portavalori, che
trasportava l'incasso del casinò di Saint Vincent, è scomparso nel nulla.
Schiavone
si renderà presto conto che le due vicende sono intimamente connesse e che la
sparizione del furgone rientra a far parte di quel “gioco oscuro” che aveva in parte
svelato nel precedente libro.
Più
che un testo a se stante, Rien ne va plus
rappresenta la seconda parte di un unico, lungo romanzo: fruire delle due
opere separatamente è praticamente impossibile, perché nella mente del lettore
si aprirebbero voragini incolmabili.
Che
la letteratura di genere italiana abbia ormai virato verso la ripetitività, è
ormai un dato di fatto. Non sono in grado di dire se dietro questo assioma si
celi un’aridità di idee o se sia il segnale – preoccupante – dell’avvenuto
addomesticamento di un pubblico ormai “adagiato” sul carisma di un personaggio,
disposto ad accettare qualunque cosa pur di ritrovare i propri beniamini.
Fatto
sta che anche la serie di Rocco Schiavone si sta trasformando, a poco a poco,
in una sorta di copione televisivo a puntate, che ruota su se stesso e mette la
struttura del giallo al servizio di personaggi icona che – con la loro
personalità – finiscono col fagocitarsi tutto ciò che gira attorno.
La
scrittura di Manzini, come sempre, è fluida e scorrevole… ma questo non è
sufficiente per farne un romanzo memorabile.
Consigliato
a: tutti i fan di Rocco Schiavone ed a chiunque ami i personaggi seriali che,
libro dopo libro, arrivano a mostrare al lettore un pezzettino in più del loro
modo d’essere.
Voto:
6/10
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