Partiamo
da una piccola premessa…
Se
appartenete a quella schiera di lettori che amano le trame armoniose, con snodi
narrativi accuratamente definiti, La
Scopa del sistema non vi piacerà per niente. Se invece vi approccerete a
questo testo in maniera diversa dal solito, con una disposizione d’animo tale da
accogliere tutte le stranezze ed innovazioni presenti nella trama, alla ricerca
dei significati più reconditi, allora questo sarà il vostro libro.
Geniale,
anticonvenzionale, folle, paradossale (e chi più ne ha più ne metta), il primo
romanzo di DFW è qualcosa di completamente diverso da ciò che la maggioranza
dei lettori contemporanei è abituata ad avere tra le mani. Getta concretamente le
basi di ciò che troverà compimento nel successivo Infinite jest: quella innata capacità dell’autore di confrontarsi
con le convenzioni stilistiche ed intellettuali della sua epoca, mirando al
loro superamento attraverso un’analisi della società che fuoriesce dai canoni di
quel “sentire comune” a cui siamo profondamente ed inconsapevolmente abituati.
Lenore
Beadsman, la giovane donna attorno cui ruota tutta la vicenda, si mette alla
ricerca della bisnonna – che ha il suo stesso nome di battesimo - scappata dalla
casa di riposo per anziani insieme ad altri venticinque residenti. Poco per
volta, con lo svolgersi del plot, faremo la conoscenza di una galleria di
strampalati personaggi: una banda di autentici freak che sono lontani anni luce
dallo spirito rassicurante dell’ordinario. Incontreremo cosi il problematico Rick
Vigorous, direttore nonché amante di Lenore; il pappagallino Vlad l'Impalatore,
che recita sermoni religiosi su una rete tv; il mastodontico Norman Bombardini,
miliardario che si ingozza a più non posso con l’idea di trangugiare l’intero
pianeta; il fratello LaVache, studente sopra le righe che si strafà di marjuana.
Una schiera di personaggi, uno più spassoso ed assurdo dell'altro, che si
agitano sullo sfondo di un'America bizzarra e delirante, ma più vera del vero.
La
scopa del sistema fu pubblicato nel
1987, quando Wallace aveva appena 24 anni (non credo siano stati molti gli
scrittori in grado di produrre, a quell’età, un lavoro così consistente). Questo
romanzo ci mostra come, all’interno della stessa storia, possano coesistere stili
narrativi, esperimenti linguistici e registri apparentemente inconciliabili ma
che, grazie al talento dell’autore, arrivano a fondersi in maniera compiuta e
definita.
Opera
estremamente divertente, contraddistinta da un umorismo incisivo e da una
scrittura colta, garantisce numerosi spunti di riflessione per via di quei
significati sotterranei che, alla
stregua di una sorta di magma, ribollono senza tregua sotto il tappeto
narrativo.
Come
un fiume in piena – alternando narrazioni, vicende, titoli di giornale,
trascrizioni di sedute e molto altro – il libro scorre via che è un piacere, lasciandoci
un delizioso senso di incompiutezza come quello che si prova quando si viene
trasportati a lungo attraverso un viaggio extrasensoriale di cui non è importante
conoscere il finale… perché viene ampiamente superato dalla meravigliosa
sensazione del viaggio stesso.
Consigliato
a: coloro che vogliono conoscere un’opera chiave della letteratura americana
contemporanea ed a chiunque voglia approcciarsi ad un genio della scrittura,
visionario ed innovativo, scomparso – ahinoi! – troppo prematuramente.
Voto:
8,5/10
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