Da qualche anno a questa parte sono diventato molto critico nei
confronti della letteratura di casa nostra. Pare che gli editori nostrani si
siano oramai adagiati su una aurea (a essere generosi!) mediocrità, che li spinge a
pubblicare romanzi che, molto spesso, sono uno la fotocopia dell’altro. Drammi domestici,
dissoluzione della famiglia borghese, storie minimaliste… e così via: sfiderei
chiunque a proseguire la lettura di questi tomi che, malgrado tutto, arrivano
con sospetta regolarità a contendersi i maggiori premi letterari del nostro
paese.
Ma poi, un bel giorno, arriva quasi dal nulla un romanzo inaspettato,
geniale e folgorante, che riesce a sovvertire completamente le regole del “mainstream”:
partendo da una miseria di 160 copie (o poco più) distribuite in prima tiratura,
Ferrovie del Messico è riuscito - grazie a un crescente consenso giunto
dal basso attraverso il passaparola (e non imposto dall’altro da editori e media)
- a raggiungere la straordinaria cifra di 25.000 copie vendute.“Essere lirici e ironici è l’unica cosa che ci protegge dalla disperazione assoluta” scrive l’autore, Gian Marco Griffi, a un certo punto. Come non dargli ragione! Sin dalla prime pagine ci rendiamo conto di essere precipitati in un romanzo epico, con connotazioni talvolta tragicomiche, che appare quasi il giardino segreto della Burnett: ricco di sentieri che si biforcano e capaci di aprire davanti agli occhi del lettore nuove strade, misteriose e inaspettate.
La trama, in apparenza, è molto semplice. Cesco Magetti è un giovane milite
della Guardia Nazionale Repubblicana, di stanza ad Asti, che riceve l’ordine di redigere una mappa
delle ferrovie messicane. Dopo aver fatto la conoscenza della bellissima bibliotecaria
Tilde Giordano, di cui il nostro soldatino si innamora a prima vista, affronterà
un’avventura degna della ricerca del Sacro Graal. Nonostante il feroce mal di
denti che lo perseguita, Cesco si butterà anima e corpo alla ricerca di un libro
intitolato Historia poética y pintoresca de los ferrocarriles en Mexico:
un testo quasi introvabile ma che, in realtà, rappresenta l’unico supporto a
disposizione per un’attendibile ricostruzione dell’itinerario ferroviario
richiesto. Lungo il percorso, incrocerà decine e decine di personaggi, uno più
bizzarro dell’altro, assurdamente dislocati dentro i sentieri della storia che,
alla stregua di un labirinto senza uscita, si dipana davanti agli occhi del
sempre più stupito lettore.
Che aggiungere d’altro, relativamente a quest’opera che – almeno per qualche istante
– è riuscita nell’intento di sovvertire le regole non scritte di un mondo
letterario che va ormai col “pilota automatico”, col suo coté attraente e
respingente al tempo stesso?
Il libro si dimostra unico e originale, sia dal punto di vista della
costruzione narrativa sia da quello del linguaggio (o, meglio, dei linguaggi
che ci compaiono davanti e che transitano dal registro aulico a quello
colloquiale, da quello gergale a quello dialettale). È vero che la linea
narrativa risulta spesso frammentata, “con salti di tempo e di spazio” (cit.
Guccini), ma tale evoluzione non rappresenta affatto una pecca bensì una sorta
di marchio distintivo che conferisce originalità a una storia già di per sé
assolutamente fuori dagli schemi.
Possiamo quindi definire Ferrovie del Messico una sorta di Romanzo
Mondo, in cui compare di tutto e il contrario di tutto: amore e guerra, scienza
e bibliografia, morte e religione, realtà e fantasia. I riferimenti letterari
che mi vengono in mente sono numerosi: da Roberto Bolaño (Griffi, a un certo
punto, cita espressamente Arturo Belano, alter ego dello scrittore cileno) a
Borges ai postmodernisti come Thomas Pynchon.
Concludo con una constatazione: Gian Marco Griffi ha dimostrato un coraggio da leone,
buttandosi in un’impresa che – di primo acchito – appariva simile a un salto nel
vuoto senza paracadute. Terminata la lettura posso dire con certezza che l’autore
è atterrato sul morbido ed è uscito vincitore dalla sua personalissima e singolare
tenzone letteraria.
Voto: ★★★★★
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