Ogni tanto è bello uscire dal "seminato", rappresentato dagli autori più noti (i cui nomi sono sulla bocca di tutti), per dedicarsi a qualcosa di diverso. Stavolta, per l'appunto, vi parlerò di Il bar: un ambizioso noir di uno scrittore emergente di nome Marco Fedele che tenta di conciliare il mondo della ndrangheta con quello della placida provincia del nord est.
Partiamo, come sempre, da un rapido sunto del plot.
Nella prima parte del romanzo vengono raccontate le vicende di alcuni personaggi legati alla ’ndrangheta milanese: un'organizzazione ben strutturata, che poggia su gerarchie quasi militari, e che si dedica al riciclaggio di denaro sporco. Il commissario Umberto Fabbri della DIA di Milano assiste quasi impotente allo svolgersi di un drammatico conflitto tra bande, contraddistinto da conflitti a fuoco e morti violente.
Poi, senza alcuna spiegazione, si passa direttamente alla seconda parte, ambientata in un piccolo paesino in provincia di Gorizia. Suzana Obradovic, una giovane cameriera che si è da poco trasferita in quei luoghi, viene misteriosamente assassinata. Sarà lo stesso Fabbri ad occuparsi del delitto; come nel più classico dei polizieschi riunirà tutti i sospetti nell’unico locale del paese per cercare di risolvere un enigma che si presenterà più complesso del previsto.
Un libro di contrapposizioni. Geografiche - da un lato la zona meridionale di Milano, in cui nascono e prosperano associazioni a carattere criminale, dall'altro l'atmosfera pacata e serena dell’estrema provincia italiana - ma anche stilistiche: ad una prima parte decisamente noir, che esplora i meccanismi del mondo della malavita, fa seguito un seconda che strizza l'occhio al giallo whodunit, con il commissario Fabbri che - da novello Ellery Queen (o Hercule Poirot, se preferite) - s'ingegna per dipanare l'intricata matassa.
Sicuramente, è da apprezzare la scrittura di Fedele: l'autore dimostra una buona capacità di gestire una materia narrativa complessa che, di tanto in tanto, rischia di strabordare come lava da un vulcano. La prosa è scorrevole anche se l'uso del dialetto - con note "traduttive" a fondo pagina - in alcuni dialoghi risulta un po' eccessivo e rischia di far perdere il filo anche al lettore più paziente.
L'idea di scomporre la vicenda in due blocchi divisi e difficilmente conciliabili, però, lascia un pochino perplessi. La prima parte del romanzo, come si capirà ben presto, è preparatoria alla seconda; sarebbe stato più logico, però, ridurne l'impatto - magari condensandola in una sorta di incipit - invece di assegnarle il cinquanta percento delle pagine complessive: le due anime del racconto faticano così a conciliarsi e, al termine del libro, rimane la sensazione di aver letto due storie separate piuttosto che qualcosa di unitario e compatto.
Consigliato a: coloro che amano le storie di criminalità organizzata ma anche ai lettori che sanno apprezzare i meccanismi e le evoluzioni del giallo classico.
Voto: 6,5/10
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