Che tu sia per me il coltello, David Grossman
Mattone o capolavoro?
Cumulo di parole vuote ed ampollose oppure opera che scava in profondità?
Com'è ovvio, il giudizio su un libro come questo non potrà mai raggiungere l'unanimità…
Leggendolo, il sottoscritto si è spesso trovato ad oscillare tra le due diverse scuole di pensiero: da un lato sono stato vittima di un senso di noia epidermica e diffusa, che ha intralciato pagina dopo pagina la lettura; dall'altro ho apprezzato fino in fondo l'intensa e struggente prosa di Grossman, capace di descrivere un mondo interiore facendo leva sulla forza universale delle parole.
Si tratta di un romanzo epistolare piuttosto atipico, in cui - per più di due terzi delle pagine - siamo testimoni della vicenda attraverso lo sguardo del protagonista: un personaggio complesso, particolare, enigmatico… colui che ha dato il via a tutta la storia.
Yair – questo è il suo nome – rimane profondamente colpito da Myriam, una donna che sembra volersi estraniare dall'ambiente circostante. Attratto dal suo modo d’essere, le invia una lettera nella quale le propone una relazione epistolare libera da vincoli ed in grado di scavare in profondità – come un coltello acuminato – dissezionando un'intera gamma di emozioni e stati d'animo. Ha così luogo un processo di avvicinamento reciproco in cui l'uomo e la donna si sonderanno l'un l'altra, con intensa complicità ed inusuale sensualità, utilizzando lo scandaglio inarrestabile delle parole. Ad un certo punto, Yair si renderà conto che Myriam – con le sue lettere – ha aperto una fenditura all'interno della sua anima, scoprendo una ferita dolorosa e mai rimarginata.
L'idea di base del romanzo è interessante; il fatto che una donna posata e colta possa accettare l'instaurazione di un simile dialogo con uno sconosciuto apre scenari davvero imprevedibili. Purtroppo, la concezione un po' troppo "elitaria" del rapporto può avere effetti diversi sul lettore: creare un'attrazione irresistibile, che conduce ad abbandonarsi anima e corpo al fluire inarrestabile della narrazione, ovvero – viceversa – provocare in lui un senso di sofferenza, che lo rende vittima di una sensazione di tedio difficile da superare.
La lettura è tutt'altro che scorrevole: non è facile seguire il percorso senza perdersi tra le elucubrazioni di Yair che, talvolta e a causa della sua logorrea che fagocita il mondo circostante, paiono dei pipponi mentali.
Al di là di tutto, è innegabile la sensazione di aver letto un libro ricco di spessore, dal punto di vista stilistico e dell'approfondimento psicologico. Tuttavia, l'arduo percorso narrativo rappresenta un ostacolo troppo evidente per godersi appieno la lettura: tanto che, alla fine, la delusione rischia di prevalere su qualsiasi altra considerazione.
Consigliato a: coloro che vogliono confrontarsi con un'opera difficile e controversa – seppure non adatta a tutti – e a chi vuole conoscere un Grossman stilisticamente perfetto nonostante l'evidente osticità del contenuto.
Voto: 5,5/10
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RispondiElimina...mmmh...mi sa che non sono ancora pronta....
RispondiEliminaIo sono tra coloro che non lo hanno apprezzato per niente. Non l’ho mollato solo perché, fino alla fine, ho sperato di potermi ricredere, ma così non è stato. L’ho trovato sproporzionato, noioso e privo di senso.
RispondiEliminaNon sono riuscita ad apprezzare neanche la prosa