Da parecchio tempo avevo intenzione di leggere La cena di Herman Koch: un libro di cui si è parlato moltissimo e che, nella sola Europa, ha superato la ragguardevole cifra di un milione di copie vendute. L'impatto degli atti di violenza sulla vita familiare - specialmente quella borghese - è un argomento all'ordine del giorno: quotidianamente, sfogliando i giornali, si riscontrano casi simili a quelli raccontati dall'autore olandese nel suo romanzo. Purtroppo, però, la scelta di affrontare un argomento di attualità non garantisce automaticamente il successo... e in questo caso, nonostante le buone intenzioni, i risultati non sono in linea con ciò che si aspettava.
Siamo ad Amsterdam, in un rinomato ristorante.
La storia è narrata in prima persona da Paul Lohman, ex insegnante di storia. Lui e sua moglie Claire si incontrano col fratello maggiore Serge - un politico in ascesa, in lizza per la carica di primo ministro - e la di lui consorte Babette. L'obiettivo della serata è quello di discutere su come gestire una situazione difficile: i loro figli adolescenti, Michel e Rick, hanno commesso un crimine tremendo e l'atto violento è stato filmato da una telecamera di sicurezza e diffuso in TV (anche se, al momento, i colpevoli non sono stati identificati). I genitori devono quindi decidere il da farsi.
A poco a poco, cominciano a emergere segreti che gettano una strana luce sul comportamento dei due giovani e si formano alleanze inaspettate nel momento in cui i genitori rivelano ciò che sarebbero disposti a fare per proteggere i propri figli.
Due famiglie solo in apparenza legate tra loro. Due visioni contrapposte del rapporto tra genitori e figli. Una tensione crescente, mentre il tempo viene scandito dalle varie portate all'interno di un ristorante. Questi sono gli ingredienti principali di La cena.
Negli ultimi anni sono stati numerosi i tentativi letterari di rappresentare l'angoscia dei genitori della middle-class: basti pensare, a mero titolo di esempio, a Carnage di Yasmina Reza (portato sul grande schermo da Roman Polanski) o a Lo schiaffo di Christos Tsiolkas. Koch prova a fornire il suo contributo con quest'opera ambiziosa e originale ma, purtroppo, non riesce nel tutto nell'intento, scivolando sulle bucce di banana della prevedibilità e dell'implausibilità.
Si tratta di un romanzo sicuramente inquietante, che vorrebbe raccontare come i germi del male possano annidarsi anche nell'animo di individui insospettabili, ma che col passare dei capitoli diventa sempre più inattendibile e indigesto.
Nonostante un inizio promettente, si perde per strada per l'assurdità del tutto: al di là dell'improbabile scelta di un ristorante pubblico per una discussione così delicata e del fatto che la storia non stia in piedi (i genitori riconoscono i figli da un semplice fotogramma mentre la polizia, con tutte le poderose strumentazioni di cui dispone, continua a brancolare nel buio), la narrazione si trasforma ben presto in una rappresentazione di personaggi così antipatici e ripugnanti da rendere la storia del tutto sgradevole. Inoltre, pare che Koch si sia dedicato più allo "stile" - curando in maniera lodevole e accurata lo sviluppo degli snodi narrativi - piuttosto che alla sostanza, che rimane rattrappita e richiusa nel novero delle buone intenzioni.
Consigliato a: coloro che amano i conflitti familiari, il complesso rapporto tra genitori e figli e le vicende della middle-class contemporanea.
Voto: 5/10
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