martedì 26 novembre 2019

Il viaggio delle bottiglie vuote, Kader Abdolah


Prosegue la mia personalissima scoperta di Kader Abdolah, un autore con cui è stato “amore a prima vista”. In questo romanzo sono abbozzati argomenti importanti, che verranno esplicitati ed approfonditi nei libri successivi (in particolare in Un pappagallo volò sull’Ijssel): sto parlando del tema dell’integrazione, molto dibattuto ai giorni nostri, che viene analizzato all’interno di un paese di antica emigrazione ma che è anche meta di nuovi arrivi.

Bolfazl, il protagonista, è un esule iraniano che si è rifugiato nei Paesi Bassi. Nel suo percorso verso l’integrazione è aiutato dal vicino di casa René, un artista omosessuale separato e con una figlia. Alla fine dei conti, l'emarginazione dell’esule e quella del diverso risultano molto simili; per Bolfazl, però, le difficoltà incontrate nell’essere accettato diventeranno un impulso notevole verso la costruzione di una nuova vita mentre la lingua olandese costituirà un utile grimaldello con cui scardinare quel portone che lo separa dal nuovo mondo.

Il viaggio delle bottiglie vuote racconta la storia di una lotta: quella di un profugo che cerca di reinventare la propria esistenza in Olanda: una nazione che, in questo contesto, diventa un vero e proprio simbolo dell’intero mondo occidentale. Descritta  attraverso la prospettiva di chi è nato in un paese lontano, la vicenda rappresenta uno sguardo d’insieme sul mondo contemporaneo, in cui si sviluppa quel conflitto latente tra indigeni ed immigrati.
Abdolah riesce a raccontare lo stato d’animo di un uomo che si ritrova ad essere “estraneo” non solo per via dell’etnia e del paese d’origine, ma anche per il fatto di doversi confrontare con un sistema di valori completamente diverso se non radicalmente opposto a quello a cui è stato abituato.
La frustrazione dell’esule senza patria, solo con i propri valori, ci fa capire come l'emarginazione sia uguale in ogni posto del mondo; il diverso, talvolta, riesce a farsi accettare usando le stesse armi del "nemico” (in particolare la lingua) e la capacità di adattamento è una dote fondamentale per non sentirsi esclusi/segregati/estraniati.
Non è ancora il miglior Abdolah – quello che emergerà con le successive opere quali La casa della Moschea e Uno scià alla corte d’Europa – ed alcuni passaggi del romanzo appaiono, a tratti, frettolosi e senza un approfondimento che probabilmente sarebbe stato necessario. 
Il libro, al di là di tutto, è ben scritto, supportato da una narrazione asciutta e diretta che sa rivelarsi nel contempo lirica e suadente.


Consigliato a: coloro che amano i romanzi imperniati su temi attuali e importanti come quello dell’immigrazione ed a chiunque ami le vicende che raccontano la storia di un percorso di rinascita individuale.


Voto: 7/10


venerdì 22 novembre 2019

L'anno dei misteri, Marco Vichi


Prima di entrare nel dettaglio, mi sembra importante dedicare un po' di attenzione alla dedica indicata all'inizio del romanzo:
Al caro amico Andrea Camilleri, magnifico e gentile cantastorie, che amava il commissario Bordelli.
Credo che non ci sia bisogno di alcun commento: queste poche parole rappresentano un sincero attestato di stima e di amicizia da parte di Vichi allo Scrittore (la S maiuscola è d'obbligo) che ha dato il via alla grande stagione del giallo di casa nostra. Ma ora veniamo a noi...

L'ottavo romanzo che ha come protagonista il Commissario Bordelli mantiene in pieno le promesse (e come poteva essere altrimenti?) Vichi si rivela fior fior di narratore, proseguendo il racconto della lenta ma progressiva evoluzione del suo personaggio. Ex soldato del San Marco, straordinario poliziotto, amante del buon cibo e dei bei libri, Franco Bordelli è un uomo molto attento allo "spirito dei tempi" ed è ben conscio di vivere un periodo di rapida ma inesorabile trasformazione socio-politica. Allo stesso tempo, l'autore ci parla della Firenze di fine anni Sessanta: una città che ormai non c'è più, completamente diversa da quella che conosciamo, immersa in un'atmosfera di rivolta e cambiamento.

Siamo nel gennaio del 1969. Mentre gli italiani sono seduti davanti al televisore per assistere alla finale di Canzonissima, Bordelli deve recarsi sul luogo di un cruento delitto. Una ragazza è stata violentata ed uccisa, proprio mentre andava in onda la sigla della trasmissione...
Sarà capitato anche a voi / di avere una musica in testa / sentire una specie di orchestra / suonare suonare suonare suonare / zum zum zum zuuum zum... 
Da quel momento in avanti, le giornate del commissario si complicheranno. Oltre al caso della ragazza uccisa, dovrà dedicarsi alla risoluzione di altri due enigmi: dovrà aiutare un antico compagno di scuola che teme per la propria incolumità fisica e proseguirà la caccia ad un assassino seriale che sta facendo strage di prostitute nei paesi del circondario fiorentino.

Come ben sappiamo, per Marco Vichi il giallo rappresenta un grimaldello per penetrare lo spirito di un'epoca lontana; un periodo in cui colloca perfettamente i suoi personaggi al fine di raccontarne le vicende individuali, incentrate su uno sfondo storico realistico e ben definito.
Per l'autore toscano ciò che conta non è tanto il "delitto" in sé, ma le varie storie che gli gravitano attorno. Ci troviamo così immersi in una narrazione avvincente, piena di eventi, di situazioni e di misteri, che è al tempo stesso un viaggio in un mondo letterario (alla scoperta dell'autrice Alba de Cespedes), artistico (lungo le strade gravide d'arte del capoluogo toscano) e, perché no, culinario (con sedute a tavola al cospetto di piatti prelibati).
Romanzo dopo romanzo - dicevamo prima - il commissario è profondamente cambiato. Le esperienze umane e lavorative hanno profondamente inciso sulla personalità di Bordelli e, accostandoci alla sua figura, percepiamo fino in fondo i segni del tempo che passa, con il vento della storia che soffia incessante sulla sua esistenza e su quella di coloro che gli stanno attorno.  
La vera abilità di Vichi si rivela soprattutto nel tratteggiare quei primissimi mesi del 1969: un anno fondamentale dal punto di vista politico e sociale, che cambierà per sempre la storia... non solo del nostro paese, ma del mondo intero. 


Consigliato a: coloro che amano i gialli pieni di atmosfera, con personaggi realistici e ben definiti, che riescono a raccontarci lo spirito di un'epoca facendoci percepire odori, sapori e sensazioni lontane nel tempo ma mai sopite.


Voto: 7,5/10


martedì 19 novembre 2019

La donna mancina, Peter Handke


Se questo è il capolavoro di Peter Handke… siamo fritti.
Dopo la consegna del Premio Nobel, ho deciso di andare alla scoperta di questo autore austriaco che conoscevo già come ottimo sceneggiatore – Il cielo sopra Berlino di Wenders è opera sua – ma di cui ignoravo del tutto l’attività di scrittore. Purtroppo La donna mancina non mi ha per niente esaltato: l’ho trovato un romanzetto qualunque, pura acqua fresca che scivola via senza lasciare traccia, e pertanto lontano anni luce da quell’opera memorabile che mi aspettavo da un narratore insignito della massima onorificenza in campo letterario.
Partiamo, come di consueto, dalla trama…

Marianne è sposata con Bruno, direttore vendite di una ditta di porcellane, ed è madre di un ragazzino di otto anni di nome Stefano. Quando il marito fa ritorno a casa, dopo una trasferta dl lavoro in Finlandia, le dichiara il proprio amore assoluto e totale. Lei, del tutto inaspettatamente, gli risponde invece di volersi separare.
La donna, restando ferma sulle sue posizioni, si dedicherà ad un’esistenza solitaria: riprenderà il lavoro di un tempo in campo editoriale, affrontando la vita racchiusa nel proprio eremo e disdegnando nuovi legami sociali e sentimentali.

Si tratta di un romanzo breve – una novantina di pagine in tutto - abbastanza tradizionale per quanto concerne la struttura e lo sviluppo della trama.
Handke utilizza la vicenda di Marianne per raccontare una storia di solitudine auto-inflitta, che flirta da vicino con l’apatia, attraverso un pot-pourri di microeventi quotidiani che vengono accostati, talvolta, senza troppo rispetto per il continuum narrativo.  
Con uno stile fotografico, teso ad inculcare nel lettore alcune immagini nitide e ben definite, l’autore abbraccia un afflato minimalista, senza troppi guizzi o particolarità stilistiche.
Il tutto puzza un pochettino di artefatto e di stantio: pare di assistere ad una piece-teatrale un po’ bislacca, priva di qualsiasi trasporto emotivo/passionale, con cui Handke cerca di descrivere la battaglia di una donna contro la consuetudine, nel tentativo di sganciarsi dal proprio ruolo di moglie/madre per inseguire una nuova identità.
I dialoghi appaiono stringati, quasi schematici; le descrizioni di luoghi ed ambienti sono ridotte all’osso e piuttosto insignificanti.
Ala fine la domanda sorge spontanea: che cos’hanno fatto di male all’Accademia del Nobel scrittori grandissimi come McCarthy, DeLillo, Ford e Marias, senza tralasciare la buonanima di Philip Roth, per vedersi preferire un autore che non si distingue certo per originalità o brillantezza letteraria? Probabilmente non lo sapremo mai… 


Consigliato a: coloro che vogliono fare la conoscenza dell'ultimo Premio Nobel ed a chiunque apprezzi la narrazione di stampo sintetico e minimalista.


Voto: 5/10



domenica 17 novembre 2019

La misura del tempo, Gianrico Carofiglio


La misura del tempo è il sesto romanzo che Gianrico Carofiglio - ex magistrato ed ex parlamentare - dedica alla figura dell’avvocato Guido Guerrieri: un personaggio riluttante e melanconico, stropicciato ed affascinante, che si muove in una Bari in cui coesistono ambienti raffinati e luoghi underground.
Dopo aver accantonato il personaggio per qualche libro, lasciando spazio al maresciallo dei carabinieri Pietro Fenoglio, Carofiglio ci ripropone un Guerrieri un po' invecchiato ed alle prese con un caso quasi impossibile, che lo spingerà a confrontarsi con vicende di quasi trent'anni prima.

In un tardo pomeriggio di fine inverno, Guido Guerrieri riceve la visita di Lorenza, una sua vecchia fiamma. La donna è profondamente cambiata: l'affascinante e scintillante creatura che aveva conosciuto un tempo non esiste più; la persona che si ritrova davanti è scialba, opaca, vittima inerme del trascorrere dei lustri. 
Lorenza è arrivata da Guido in cerca di aiuto: suo figlio Iacopo è stato condannato per omicidio volontario ed è detenuto in carcere. 
Pur non essendo del tutto convinto, l'avvocato Guerrieri accetta ugualmente di dedicarsi alla difesa del ragazzo. Ha così inizio un nuovo percorso processuale, che si rivelerà tormentato e pieno di contraddizioni.

Il passato è una terra straniera si intitolava uno dei primi romanzi di Gianrico Carofiglio. Mai espressione potrebbe risultare più calzante per descrivere la trama di questo ultimo libro: un continuo gioco di rimandi tra presente e passato, in cui il peso gravoso dei ricordi diventa quasi il metro ideale per misurare lo scorrere implacabile del tempo. I capitoli in cui viene rappresentato il presente - dedicati alla sfida processuale - sono intervallati da altri ambientati ventisette anni prima, in cui l'avvocato rivive il proprio passato ed il contrastato rapporto con Lorenza.
Carofiglio coglie l'occasione per condurre il lettore in un viaggio nei meandri della giustizia di casa nostra, sottolineando per altri versi la provvisorietà delle umane vicende.
Purtroppo, le eccessive digressioni legali/giudiziarie appesantiscono un poco il racconto, ed il codice di procedura penale - gravido di tecnicismi - prevale un po' troppo sulla narrazione, non rendendo affatto agevole la lettura (almeno per i non addetti ai lavori).
Il romanzo si salva grazie alla buona scrittura e, soprattutto, all'ottima costruzione dei personaggi: uomini e donne realistici e nostalgici, costretti volente o nolente a fare i conti col tempo che vola via.


Consigliato a: coloro che amano i legal-thriller all'italiana, gli accesi confronti tra accusa e difesa nelle aule di tribunale e l'esplorazione delle contraddizioni che si annidano nella giustizia di casa nostra. 


Voto: 6,5/10


Gio        

venerdì 15 novembre 2019

Le sere, Gerard Reve


Gerard Reve, nonostante sia poco noto in Italia, è considerato uno dei tre grandi della letteratura olandese del secondo Novecento (gli altri due sono Willem Frederik Herman e Harry Mulisch). Scrittore atipico, provocatorio e controverso, nel 1947 - appena ventitreenne - pubblicò questo romanzo che all'epoca divise critica e pubblico ed è oggi giudicato come uno dei capolavori della narrativa continentale.

Siamo ad Amsterdam, nel secondo dopoguerra. Frits van Egters, il protagonista, è un giovane impiegato che trascorre il tempo libero girovagando per le strade della capitale, raccontando storielle di humour nero e crogiolandosi al fuoco della propria ruvida ed insistente vena ironica. 
La sua quotidianità è uno sforzo titanico con cui il ragazzo cerca di dare un senso alle lunghe "sere", che fanno seguito a giornate inutili vissute tra la noia del lavoro in ufficio ed il sofferto rapporto con i genitori. La sua esistenza, che si srotola tra incontri con gli amici, dialoghi difficili con padre e madre e momenti al night e al cinematografo, si trasforma a poco a poco in una sorta di "black comedy" che finisce per risucchiarlo in una spirale da cui non c'è via di uscita.

Si tratta di un'opera intrisa di un umorismo grottesco e liberatorio, che diventa lo specchio di quella generazione cresciuta e maturata nel corso del secondo conflitto mondiale. 
Le paure neanche troppo recondite di Frits - per il proprio futuro, per la vecchiaia e per l'inizio di un declino fisico che il giovane crede di osservare nei suoi amici più intimi - sono il perno attorno cui ruota l'intera narrazione. 
A volte sembra quasi di impantanarsi in una specie di loop - vista la reiterata ripetizione di gesti e stati d'animo del protagonista - ma questa è solo apparenza: credo che la volontà di Reve sia quella di operare una destrutturazione del tempo fisico che concerne la vita umana e di riadattarla in una sorta di schema in cui le ore produttive scivolano via in una manciata di righe mentre il tempo libero diventa un buco nero da riempire.  
L'indolenza di Frits, la sua noia e la sua assoluta mancanza di sessualità diventano così lo strumento per parlare del "niente": un nemico che ostacola qualsiasi cambiamento e che permea di sé ogni singola cosa che sta attorno. Il protagonista, con la sua indole dissacrante e declamatoria, cerca in ogni modo di liberarsi dalle pastoie di una vita piena di tedio ed impazienza: distrugge le certezze di coloro che lo frequentano, coinvolge i genitori in discussioni al limite dell'assurdo, utilizza le parole come frecce acuminate per scalfire un silenzio assordante. Continua però a vagare come un sonnambulo in un'esistenza che è come una carrozza impazzita di cui fatica ad afferrare le redini.


Consigliato a: coloro che vogliono scoprire uno scrittore da noi poco noto ma che in patria è considerato tra i grandi ed a chiunque voglia farsi avvolgere da una prosa ossessiva e circolare che come un metronomo dal ritmo irregolare scandaglia il passare del tempo. 


Voto: 7,5/10






martedì 12 novembre 2019

Tutti i miei errori, Dennis Lehane


Con questo romanzo si conclude la trilogia della famiglia Coughlin, che Dennis Lehane aveva inaugurato con Quello era l'anno e proseguito con La legge della notte (vincitore di un Edgar Award). Si tratta di tre romanzi fortemente connessi tra loro - anche se ognuno può essere letto autonomamente - ambientati sullo sfondo della turbolenta storia americana tra il primo e il secondo conflitto mondiale.

Siamo nel 1943. Mentre divampa la guerra, la mafia statunitense sta vivendo un momento particolarmente fortunato. L'ex boss Joe Coughlin, diventato consigliere della famiglia Bartolo, gestisce una serie di attività in Florida, a Bo­ston ed a Cuba, facendo da intermediario tra il crimine organizzato e l'alta società. 
Sono passati sette anni dal tragico decesso della moglie Graciela, uccisa in un agguato, e Joe si è rifatto una vita insieme al figlioletto. 
Dietro il successo, però, i fantasmi del passato continuano a premere con insistenza: c'è qualcuno che lo ha preso di mira e vorrebbe vederlo morto. Ed il tempo a disposizione per capire chi si nasconda dietro alle minacce è davvero ridotto all'osso.

Dennis Lehane ha costruito una saga criminale davvero notevole, piena di personaggi ben disegnati e con una trama che non concede un attimo di tregua. Il genere "gangster book" diventa, tra le mani dell'autore, una perfetta metafora del capitalismo sfrenato e ci fa capire in quale spaventoso mostro potrebbe trasformarsi l'economia americana in assenza di freni o regolamentazioni.
La parabola di Joe Couglin dimostra come il potere assoluto, nella realtà dei fatti, sia un colosso dai piedi d'argilla: nel momento in cui qualcuno si trova ai vertici, c'è già qualcun altro che trama nell'ombra per cercare di scalzarlo dal posto di comando. 
I rapporti umani e famigliari vengono scandagliati in profondità, attraverso un percorso che si fa pagina dopo pagina sempre più teso, amaro e crudele. Facendo leva su una scrittura pregevole, capace di sostenere fino in fondo l'evoluzione della trama, Lehane ci regala un libro avvincente e pieno di colpi di scena, che rappresenta un convincente spaccato di un'America lontana nel tempo ma i cui riflessi si riverberano ancora sui giorni nostri.
Un plauso - meritatissimo - va al traduttore italiano, Mirko Zilahy, che è riuscito a restituirci in maniera intatta e precisa la prosa di uno dei più grandi autori del thriller/noir contemporaneo.


Consigliato a: coloro che amano i thriller/noir ben costruiti, storicamente fondati e capaci di tener desta l'attenzione fino alla fine ed a chiunque apprezzi le storie di gangster, specchio segreto di un'America che ormai non c'è più.


Voto: 7,5/10





domenica 10 novembre 2019

Che cos'è la lettura... per me


Che cos'è veramente la lettura?
È pensiero o divertimento? Riflessione o mero intrattenimento?
Un libro deve stimolare, provocare e pungolare colui che lo tiene in mano o deve essere relegato nel novero dei semplici passatempi come una partita a bowling o una serata in un pub?
Sono anni che me lo sto chiedendo, senza però riuscire a darmi una risposta precisa.
Anche perché nella mia vita di lettore-seriale, bibliofilo e divoratore di romanzi, ho quasi sempre applicato il ferreo principio dell'alternanza. Ad un libro "serio" (non è che gli altri non lo siano, ma durante la loro lettura lo spirito ludico prevale su qualsiasi intento di ponderazione) faccio sempre seguire un libro per rilassarmi/divertirmi... e via così all'infinito, senza mai trasgredire questa piccola regola che mi sono auto-imposto. 
Forse penserete che sono pazzo - e magari avrete anche un po' di ragione - ma sono fermamente convinto che adagiarsi su un genere capace di provocare sempre le medesime sensazioni non sia un atteggiamento che invoglia alla lettura continuativa. Questa considerazione non è proprio campata in aria, ma deriva da alcune sperimentazioni che - più o meno inconsciamente - ho messo in atto nel corso degli anni.
Provate a leggere 10 romanzi gialli (o di avventura, o di fantascienza... fate voi) consecutivamente e ditemi se non vi viene un senso di appagamento totale, paragonabile a quello di colui che si è pappato una cena pantagruelica e non è in grado di mandare giù nel gargarozzo neanche un ultimo cucchiaino di sorbetto!
D'altro canto, provate a spararvi uno dopo l'altro 10 tomoni di autori grandissimi ma allo stesso tempo difficili e che, di conseguenza, richiedono un'attenzione e un impegno non paragonabile a quello della letteratura d'intrattenimento!


Ecco... avete capito dove volevo arrivare!
Lo ripeto per l'ennesima volta: l'alternanza, l'alternanza, l'alternanza...
...è per me l'unica soluzione. Io ho optato per questa scelta con esiti notevoli. Sono circa quarant'anni che leggo - eh sì, sono ormai un vecchierello cinquantaduenne - e non mi è mai capitato di patire di quel male oscuro e fastidioso universalmente conosciuto come "blocco del lettore".
Se mangiassi pesce tutti i giorni, finirei prima o poi con l'odiare visceralmente i piatti a base di fauna marina. La stessa cosa accadrebbe se la portata principale del mio pasto quotidiano fosse sempre a base di carne. Cambiando quotidianamente menù, invece, difficilmente correrei il rischio di stancarmi: salvaguarderei la passione per il cibo e la gioia sublime di ingurgitarlo a più non posso. 
Questa metafora, ovviamente, calza alla perfezione con il mio animo di divoratore seriale di libri, onnivoro e insaziabile. Amo moltissimo leggere - credo che sia uno dei grandi piaceri della vita - ma voglio gustare piatti sempre diversi l'uno dall'altro. E così ad un romanzo del grande Philip Roth posso far seguire un giallo di casa Sellerio; dopo un'opera di un Nobel come Mo Yan posso scegliere di dedicarmi ad un thriller di Michael Connelly.


Ogni tanto ci rimango male quando - dopo aver postato il commento ad un noir italiano - qualche lettore un po' troppo borioso e saputello mi apostrofa dicendo: "non leggo questa robaccia... c'è ben altro in giro". D'altra parte, non mi fa certo piacere leggere commenti alle mie recensioni di libri di Pamuk, Franzen o Saramago del tipo: "ma come fai a leggere roba così pallosa?
Ognuno è libero di fare ciò che vuole e non vorrei che qualcuno prendesse questo mio sfogo/confessione come la farneticazione solipsistica di un Signor Sconosciuto che pretende di possedere la verità assoluta.
Leggo sempre un centinaio di volumi l'anno, equamente divisi tra letteratura di qualità e letteratura di evasione (anche se - bisogna ammetterlo - esistono tantissime opere che appartengono ad entrambe le categorie), e continuo il mio percorso senza mai aver avuto un cedimento o un rilassamento. Divorare un romanzo dietro l'altro mi piace troppo; molto spesso mentre sto voltando l'ultima pagina di un libro pregusto già la scelta del successivo. Ed il fatto che, dopo una cena sapida e sostanziosa, ci sia la possibilità di gustarsi un fresco e rigenerante dessert... bé, ritengo che sia una cosa meravigliosa.

Fatemi sapere che cosa pensate di ciò che ho scritto... se condividete il mio pensiero o se pensate che abbia messo giù solo un'accozzaglia di fesserie. Sono aperto ad ogni critica e ad ogni confronto.
Ciao a tutti...


Gio   
     
   

venerdì 8 novembre 2019

Tutto potrebbe andare molto peggio, Richard Ford


La vita, come riflette il protagonista Frank Bascombe, è "una questione di sottrazione graduale".
Se nei romanzi precedenti Ford aveva raccontato la giovinezza (Sportswriter), l'età adulta (Il giorno dell'indipendenza) e la maturità (Lo stato delle cose) del suo personaggio, collocando la narrazione in tre diverse stagioni - primavera, estate e autunno - in questo quarto libro ritroviamo un Frank invecchiato, in un inverno che rappresenta un po' il tramonto di una lunga esistenza: il momento in cui "l'ombra copre l'ultimo filo d'erba". 

Frank, ormai sessantottenne, si è ritirato a vita privata. Dopo aver venduto la casa con vista-oceano dove si era trasferito con la seconda moglie Sally, ha deciso di tornare a Haddam, la città a cui da sempre è legato. L'uragano Sandy, che ha travolto la costa del New Jersey, distruggendo abitazioni e vite umane, rappresenta l'occasione per evocare un passato che torna a farsi vivo attraverso l'incontro con vecchi clienti, amici moribondi o un'ex moglie sofferente di Parkinson.

Strutturata in quattro parti - ognuna delle quali può essere letta come una storia a sè stante - quest'opera rivela per l'ennesima volta tutto il talento di uno dei più grandi scrittori americani contemporanei.
Raccontando le vicende di Frank Bascombe, Ford ha di fatto dato il via ad un'epica della middle-class. Il suo protagonista - un uomo qualunque, di mentalità progressista, capace di mantenere il giusto distacco da ciò che gli accade intorno - narra in prima persona lo svolgimento di piccoli e grandi eventi, con uno stile minimalista in cui emerge una passività quasi comica dell'individuo (Frank, infatti, è tutt'altro che padrone del suo destino!)
La scrittura di Ford sa essere allo stesso tempo amara e brillante, ilare e drammatica, precisa nelle descrizioni di luoghi ed individui. Si tratta probabilmente di uno dei pochissimi autori capaci di catturare ciò che appare "inafferabile": un piccolo gesto o movimento sfuggente, un profumo o un colore.... Come se la provvisorietà dell'esistenza – quello che in fondo rappresenta il punto focale della sua indole letteraria – vivesse all'interno di quei piccoli particolari che passano davanti agli occhi e che, molto spesso, siamo portati a trascurare.


Consigliato a: chi ama la letteratura statunitense ai suoi massimi livelli e a chi apprezza la scrittura capace di penetrare "lo stato delle cose" con un'acutezza ruvida e tagliente che però non degenera mai in cinismo.


Voto: 7,5/10 


martedì 5 novembre 2019

Alle porte della notte, Paolo Roversi


Torna Enrico Radeschi, lo scanzonato giornalista-hacker, in sella al suo mitico Giallone: una Vespa classe 1974 su cui scorrazza in lungo e in largo per la metropoli milanese. 
Anche stavolta - e siamo all'avventura numero sette, ammesso che il sottoscritto non abbia sbagliato i calcoli - il nostro simpatico cronista ficcanaso riesce a cacciarsi in una storia nera che più nera non si può, piena di implicazioni drammatiche ed in cui dovrà sudare le proverbiali sette camicie per riuscire a portare in salvo la pelle. 
Ma andiamo per ordine, cominciando dalla trama...
  
La nuova indagine si sviluppa a partire da una rapina in una prestigiosa gioielleria situata in via Montenapoleone. Radeschi ed il vicequestore Loris Sebastiani scopriranno presto un importante collegamento con un'altra effrazione milionaria avvenuta parecchi anni prima ad Anversa, i cui colpevoli non sono mai stati individuati.
Per tentare di dipanare la fitta nebbia che avvolge il caso, il dirigente della polizia belga invia in Italia Julie De Vos, una seducente poliziotta dell'Interpol che farà subito breccia nell'animo di un tombeur de femmes come il vecchio Sebastiani.
Radeschi, nel frattempo, si farà coinvolgere dal suo vecchio amico soprannominato Danese (malgrado le origini greche) in un anomalo sequestro di persona maturato negli ambienti malavitosi.

Roversi, come al solito, ha fatto centro. La scrittura è scorrevole, l'intreccio è convincente ed il ritmo serrato. 
L'ambientazione milanese, in una città "sospesa" tra la magia del Natale e i festeggiamenti di Capodanno, rappresenta lo sfondo ideale per una storia poliziesca che strizza l'occhio ai classici dell'hard boiled. I personaggi - a cui oramai siamo affezionati - sono simpatici e pieni di carisma ed è un piacere quasi fanciullesco seguire le loro peripezie passo dopo passo.  
I colpi di scena si susseguono senza soluzione di continuità fino ad arrivare ad una conclusione (di cui non dico nulla per evitare spoiler) capace di tenere il lettore con il fiato sospeso.
Voltata l'ultima pagina... rimane un solo rimpianto: bisognerà attendere un bel po' prima di poter leggere una nuova avventura di Enrico Radeschi.


Consigliato a: tutti gli amanti del noir all'italiana con ambientazione metropolitana ed a chiunque apprezzi le trame adrenaliniche, coinvolgenti e piene di colpi di scena.


Voto: 7,5/10 


domenica 3 novembre 2019

Heimat, Nora Krug


Chi pensa che le graphic novel non siano vera letteratura dovrebbe leggere questo libro per ricredersi...
Nora Krug, l'autrice, è una talentuosa illustratrice i cui lavori sono stati pubblicati su testate di livello assoluto come The New York Times e The Guardian. 
Heimat, la sua opera prima (almeno per quanto concerne l'editoria), rappresenta un esperimento davvero riuscito. Attraverso l'accostamento di disegni, cimeli, materiale fotografico, estratti di taccuini e documenti vari - corredati da pagine e pagine vergate a mano - Krug è riuscita a riportare alla luce le vicende della sua famiglia durante i lunghi anni della dittatura hitleriana. Ne scaturisce un'opera che si colloca a metà strada tra il resoconto storico e la biografia e che colpisce, al tempo stesso, l'occhio e la mente del lettore.

Mediante questo processo di rilettura del passato, l'autrice è riuscita a rappresentare l'epica dei legami famigliari, mostrandoci il dipanarsi di quella che era la "quotidianità" durante il periodo bellico. 
Venendo in contatto con le proprie radici, si è resa conto di come quella "storia" che scorreva davanti ai suoi occhi fosse in realtà una testimonianza più ampia: il resoconto di ciò che buona parte delle famiglie tedesche dovettero sopportare in quel tragico periodo.

Heimat ci racconta, con dovizia di particolari, che cosa rappresentò per la gente tedesca il secondo conflitto mondiale e di come - attraverso ricordi tramandati generazione dopo generazione - ancora oggi sia possibile fare i conti con il passato e, talvolta, venire addirittura a patti col suo sguardo truce, gravido di sensi di colpa.  
Il linguaggio scritto e quello grafico interagiscono alla perfezione in questo mosaico di immagini e parole, che rappresenta un vero e proprio viaggio storico e biografico. Attraverso questo percorso, la vicenda da individuale si trasforma pian piano in universale e vengono analizzate questioni importanti che, probabilmente, non sono mai state affrontate con tale incisività. 


Consigliato a: chi vuole riscoprire un difficile periodo storico attraverso il passato di una famiglia qualunque ed a chiunque apprezzi le biografie capaci di restituire il senso di un'epoca che ha segnato l'intero Novecento.


Voto: 7,5/10 


venerdì 1 novembre 2019

La piscina dei misteri, Paolo Foschi


Ed eccoci di ritorno per una nuova lettura di coppia...
Non è mai facile trovare libri che possano interessare ad entrambi - per questo le nostre "condivise-matrimoniali" sono quasi una rarità - però stavolta ce l'abbiamo fatta: la nostra scelta è caduta su La piscina dei misteri di Paolo Foschi, già autore della fortunata serie incentrata sul poliziotto Igor Attila.
Nonostante si rimanga nei territori del giallo, l'autore questa volta ha radicalmente cambiato target di pubblico: siamo infatti nell'ambito della "letteratura per ragazzi" (il libro è rivolto principalmente a quella fascia d'età compresa tra gli 11 e i 14 anni). 
Ce l'avrà fatta il buon Paolo ad assolvere il suo compito? Cominciamo il nostro resoconto partendo dalla trama... 

Isabella, giovane promessa del nuoto azzurro, è considerata l'erede di Federica Pellegrini. Poco prima dei campionati italiani, però, la nuotatrice scompare nel nulla senza lasciare traccia. È stata vittima di un sequestro oppure è semplicemente scappata di casa? 
Le indagini vengono affidate allo Young Team: una squadra composta da quattro giovanissimi detective coadiuvati da un cane e da un ragazzino autistico. Inizia così una sorta di "caccia al tesoro", che si dipana tra social-network e chat per adolescenti, mentre una misteriosa presenza dall'emblematico nick di Grillo Parlante dissemina strani indizi su Facebook.

Mely: Mi è decisamente piaciuto. La scrittura è scorrevole, la storia intrigante e nel complesso si tratta di una lettura leggera e piacevole che si legge in un batter d'occhio (anche se - com'è logico che sia - per un adulto risulta un po' prevedibile). Il tema alla base della storia è molto importante: bisogna stare attenti all'utilizzo di internet, della tecnologia e delle varie applicazioni... perché il pericolo può essere in agguato ad ogni angolo. Peccato solo per alcuni inaspettati errori di battitura che si incontrano qui e là, disseminati nel testo, e possono infastidire il lettore. Ovviamente attendo il seguito (ma pare che Foschi ci stia già lavorando). 
Voto: 8/10

Gio: Parto dal presupposto che non si tratta del mio tipo di romanzo (sono decenni che non bazzico il mondo dei libri per ragazzi). Immedesimandomi per qualche ora - il tempo della lettura - nei panni del teenager, però, devo dire di aver gradito abbastanza il testo: se fossi un ragazzino brufoloso e ipertecnologico gli darei il massimo dei voti. Ritornando nelle mie sembianze di cinquantenne scafato e ipercritico devo dire che, se da un lato, ho apprezzato moltissimo l'abilità di Foschi di trasformare la sua usuale scrittura da giallista-doc, rendendola accessibile anche per un pubblico di minorenni, da un altro punto di vista ho trovato il plot abbastanza prevedibile (ho capito sin da subito chi fosse il colpevole).
Il giudizio è comunque positivo: si tratta di una storia in grado di "intrigare" il popolo degli adolescenti e che ha l'indubbio merito di affrontare in maniera leggera le problematiche dei ragazzi di oggi. 
Voto: 7/10 

Stavolta, incredibilmente, siamo quasi d'accordo (l'unanimità è difficile da raggiungere... ma ci siamo avvicinati molto).
Fateci sapere se avete letto anche voi La piscina dei misteri (e in tal caso cosa ne pensate). 
Arrivederci a presto... con altre sfiziose letture di coppia.