Stati
Uniti e Premio Nobel… un connubio che in passato ha consacrato alla storia
della letteratura scrittori stratosferici come Ernest Hemingway, William
Faulkner e John Steinbeck.
Dagli
anni Sessanta in avanti, però, pare che qualcosa si sia rotto e che le scelte
dell’Accademia di Svezia si siano un poco allontanate dagli scrittori del Nuovo
Mondo. È vero che ci sono stati ancora un paio di sussulti – come scordarsi di Saul
Bellow (1976) e di Toni Morrison (1993) – ma nell’ultimo trentennio
il Grande Romanzo Americano è stato completamente dimenticato e relegato in
secondo piano rispetto alla letteratura del resto del mondo.
Se si
parla di autori premiati negli ultimi anni, non possiamo di certo scordare come
gli USA abbiano portato a casa due riconoscimenti: Bob Dylan nel 2016 e Louise
Glück nel 2020. A mio personalissimo parere, però, questi due Nobel
(assolutamente imprevedibili e, probabilmente, non indispensabili) hanno ancora
di più accentuato una situazione diventata insostenibile. Il Romanzo Americano
degli ultimi decenni è stato rappresentato da autori straordinari che sono stati
totalmente dimenticati al momento della scelta.
Partiamo
da Philip Roth, scomparso nel 2018, probabilmente uno dei più grandi
narratori americani di sempre. Un artista nel giostrarsi in quel turbinoso
gioco di specchi che spesso si viene a instaurare tra un autore e i suoi personaggi,
tra la parola scritta e l’esistenza reale e vissuta. Roth, con la sua scrittura
solo apparentemente autobiografica, è riuscito a raccontare qualsiasi argomento
della contemporaneità: il sesso, la malattia, il “mestiere di vivere” e le angherie
della vecchiaia che sopraggiunge.
Un
altro autore venuto a mancare troppo presto è l’immenso e problematico David
Foster Wallace. Scrittore dotato di un talento e di una sensibilità fuori dal
comune, la cui scrittura era costantemente rivolta alle relazioni umane e al
rapporto che si instaura tra sé stessi e gli altri. Nella sua breve esistenza ha
prodotto formidabili distillati di ironia quasi-kafkiana, sapientemente mediati
da una pregnante riflessione sullo scorrere del tempo e sull’inevitabilità
della morte.
Come
scordarci, poi, del grandissimo Cormac McCarthy: un personaggio rimasto
sempre lontano dagli ambienti letterari e per cui la scrittura ha rappresentato
una pratica viscerale, esplicitata attraverso uno stile ascetico e radicale? Un
autore di romanzi unici, dall’afflato potente e insieme enigmatico, scritti con
un uno stile visionario, al confine tra l’arcaico e la modernità.
Proseguiamo
poi con Don De Lillo, probabilmente il più autorevole tra gli scrittori
americani contemporanei. Un autore che ha abbinato una straordinaria maestria narrativa
– definita ingiustamente “troppo cerebrale” - a una scelta crepuscolare e
personale, dimostrando nella propria evoluzione una notevole coerenza abbinata
a una invidiabile produttività.
Come
non parlare di Paul Auster, vero e proprio cantore dell’America e della
città di New York, la cui vicenda letteraria si intreccia alla perfezione con
quella cinematografica? Un narratore dotato di uno sguardo capace di osservare
e giudicare il mondo circostante, comprensivo dei riflessi di politica e società.
E
ancora possiamo proseguire con Thomas Pynchon, un genio maniacale e matematico
alla Stanley Kubrick, alfiere del postmodernismo e capace di condensare, all’interno
della sua opera, la percezione esaustiva di un'epoca in cui passato, presente e
futuro si cementano in un tratto indissolubile.
Potrei
proseguire ancora a lungo, citando Jonathan Franzen, Jonathan Safran
Foer, Richard Ford, Joyce Carol Oates e tanti altri…
Non credo
che ci sia molto altro da aggiungere. La letteratura made in USA contemporanea
rappresenta una miniera inesauribile di autori straordinari, portatori di idee
e suggestioni letterarie difficilmente eguagliabili.
La mia
speranza – e quella di tanti altri – è che prima o poi l’Accademia Svedese si
renda conto dell’unicità di questo movimento e provveda, seppur in ritardo, a
consegnare l’ambito Nobel a uno di questi autori ineguagliabili.
Se
così non fosse, la dimenticanza salterebbe all’occhio di noi contemporanei… ma
ancora di più a quello delle generazioni che seguiranno.
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