domenica 27 dicembre 2020

Il Gattopardo, Giuseppe Tomasi di Lampedusa


In questa annata così particolare (non credo occorra spiegare il perché) ho deciso di recuperare alcuni classici che ancora non avevo letto. Dopo La storia, Todo modo, La chimera e Il deserto dei tartari è finalmente giunto il momento di Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: un romanzo che, oltre ad essere uno dei più celebri della letteratura italiana del XX secolo, è al tempo stesso uno straordinario affresco di un mondo giunto sul viale del tramonto.

“Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi.”

Partiamo dal contesto storico. Il libro ha come sfondo le trasformazioni avvenute all'interno della società siciliana nel corso del Risorgimento, nel momento di transizione tra il regime borbonico e il Regno d'Italia, all'indomani della spedizione dei Mille.
Vengono narrate le vicende di una famiglia dell'alta aristocrazia, colta nell'esatto momento del passaggio di regime; la vicenda ruota però, essenzialmente, attorno a un unico personaggio, il principe Fabrizio Salina, il cui inesorabile declino procede di pari passo a quello di un'epoca. Assistiamo quindi a una sorta di requiem dell’aristocrazia che si vede costretta a cedere il passo a una nuova civiltà; ad una raffinata decadenza di un'intera classe sociale che si manifesta nel principe attraverso un diffuso e doloroso malessere esistenziale.

Sarebbe errato, probabilmente, catalogare Il Gattopardo nel novero dei romanzi storici tout court; all'interno della trama, infatti, non troviamo personaggi realmente esistiti e i grandi accadimenti dell'epoca, come la spedizione garibaldina, emergono esclusivamente all'interno dei discorsi dei protagonisti.
Questo romanzo rappresenta un ritratto piuttosto fedele del carattere dei siciliani: un popolo che  storicamente è sempre stato oggetto di colonizzazione e di dominio da parte di governi stranieri ma che, malgrado tutto, oppone un risoluto e sdegnoso rifiuto all'idea di un rinnovamento. 
Ad emergere, con lo scorrere delle pagine, è soprattutto un doloroso senso di sconfitta. La società isolana dell'epoca diventa la vittima delle proprie antiche tradizioni, legate ad una connotazione quasi feudale del potere e ad un'arretratezza ideologica e culturale irrisolvibile. Ma, soprattutto, è la Sicilia stessa - arida, riarsa ed inclemente - ad essere ritratta alla stregua di un ambiente avverso e sfavorevole, in cui l’uomo sconta quotidianamente i propri peccati e dove solo la terra, incurante delle umane vicende, continua a perpetuarsi all'infinito.
La scrittura è bella, lirica e ricercata, forse un pochino invecchiata dal passare inarrestabile del tempo; le descrizioni dei palazzi nobiliari, degli arredi e dei banchetti sono notevoli e fanno ormai parte della storia della letteratura.
Un classico che mi sento in dovere di consigliare a chiunque nutra il desiderio di farsi il giusto ritratto di un'epoca al confine tra un mondo che sta scomparendo e un altro - sicuramente più moderno ma, in fondo, niente affatto migliore - che sta prendendo il suo posto.


Consigliato a: chiunque voglia recuperare un classico che ha fatto la storia della letteratura italiana e a coloro che vogliono capire che cosa sia oggi la Sicilia (ri-scoprendola all'interno di un libro "di ieri").


Voto: 7,5/10


Gio 




sabato 26 dicembre 2020

L'uomo che dorme, Corrado De Rosa


La collana Nero Rizzoli mi lascia un pochino perplesso. Dalla sua nascita in avanti ha pubblicato ottimi romanzi di valenti professionisti del noir (Piergiorgio Pulixi, Enrico Pandiani e Bruno Morchio in primis), edizioni italiane di opere straniere davvero notevoli (basta citare Tra due mondi di Norek e La città è dei bianchi di Mullen) ma anche alcuni libri che non sono né carne né pesce. 
Non so se si tratti di una mera casualità, ma quando ci si imbatte in giornalisti di costume come Enrico Franceschini, educatori professionali come Giuseppe Fabro, membri di un collettivo di scrittura come Marco Felder o scrittori/redattori come Girolamo Di Michele che, di punto in bianco, decidono di fare un improvviso balzo nella narrativa di genere... il dubbio si sviluppa alla velocità della luce: non è che al curatore della collana è saltato per la mente di contattare meritevoli personaggi del mondo della cultura italiana (sul valore di questi personaggi non sussiste alcun dubbio!) chiedendo espressamente la stesura di un libro noir? Perché - e su questo non ci piove - al mondo nulla si improvvisa; neanche Manzoni, Verga e Pirandello avrebbero la capacità di improvvisarsi giallisti, figuriamoci chiunque altro! (P.S. consiglio, a questo proposito, la lettura di Il più splendido gioco del mondo di John Dickson Carr).
Ecco, in questa categoria di ibridi poco riusciti inserirei sicuramente L'uomo che dorme di De Rosa: un libro scritto da uno stimato esperto di psichiatria, già perito in celebri vicende giudiziarie, che però, più di un noir, pare l'elegia di un personaggio narcisista e abbastanza insopportabile. 

Il protagonista, Antonio Costanza, è uno psichiatra - nonché consulente del Tribunale per i crimini violenti - che nel corso della sua attività viene a contatto con psicopatici, mafiosi e truffatori seriali che fingono la malattia per scongiurare il carcere. 
Nonostante abbia appena quarant'anni, si dimostra vittima di una sorta di pigrizia esistenziale che si manifesta anche nei singoli dettagli della quotidianità (se non ci fosse il genitore/galoppino, manco le bollette si ricorderebbe di pagare!) 
Gli efferati omicidi di due anziane prostitute giungeranno improvvisamente a risvegliare Costanza dal suo torpore: anche su una città tranquilla come Salerno pare allungarsi l'ombra tetra e angosciante di un serial killer. 

Si capisce sin da subito che l'uomo che dorme del titolo è lo stesso dottor Costanza: un personaggio che fa dell'indolenza (quasi sconfinante nella letargia) un vero e proprio stile di vita. 
Indubbiamente, l’autore ha riversato nel personaggio gran parte delle sue esperienze lavorative; però - ammesso che si voglia considerare questo libro un noir in senso lato - l'esperimento non funziona un granché: la trama gialla è inconsistente (non ci sono dubbi sin da subito sul nome dell'assassino), le procedure investigative assenti e mancano del tutto le svolte repentine e i colpi di scena: ciò che sono il sale e il pepe della letteratura di genere. E così, pagina dopo pagina, continuiamo a seguire il buon Costanza mentre spende la sua esistenza - fatta di incontri, relazioni familiari e vicende sentimentali - che scorre via come acqua fresca senza lasciare nulla.     
Sarebbe sbagliato, però, vedere tutto in negativo; alcuni aspetti rilevanti ci sono sicuramente: la scrittura buona e perfettamente funzionale al tono della storia; l’approccio che, malgrado le tematiche trattate, rimane ironico. Troppo poco, però, per salvare un romanzo che rischia di cadere nel dimenticatoio appena chiusa l'ultima pagina.


Consigliato a: chi ama i personaggi apatici e indolenti e a chiunque apprezzi i libri che cercano di far coesistere in un problematico viluppo psichiatria e letteratura noir.


Voto: 5,5/10


Gio     



giovedì 24 dicembre 2020

Questo bacio vada al mondo intero, Colum McCann


Anche se in molti hanno catalogato - forse un po' troppo frettolosamente - quest'opera come "il romanzo definitivo sull'11 settembre", la narrazione si svolge parecchi anni prima: in una torrida giornata dell'agosto 1974, quando l'acrobata Philippe Petit camminò su un filo teso tra le Torri Nord e Sud del World Trade Center, ora cancellate per sempre. Un evento in gran parte rimosso dalla memoria collettiva fino al documentario premio Oscar Man on Wire (2008) e al film di Zemeckis The walk (2015).
Proprio da quell'evento, che fece fermare per qualche momento il tempo in un'America scombussolata dai recenti accadimenti - lo scandalo Watergate e la guerra del Vietnam in primis - trae ispirazione il libro di McCann che si concentra su una serie di individui che, in quella giornata, si fermarono  ad osservare la pericolosa passeggiata nel vuoto. 

Tra i personaggi che si muovono nelle strade newyorchesi, con lo sguardo calamitato dall'insolito spettacolo, seguiamo le vicende di un monaco di strada che assiste le prostitute del Bronx; di una di loro - giovane e bella - che spartisce il marciapiede con la madre; di un'artista piena di dubbi e di rimorsi; di alcune madri in lutto dopo aver perduto i loro figli nel sanguinoso conflitto del sud est asiatico.  
Le esistenze di questi uomini e donne si sfiorano, talvolta si intersecano e compenetrano sotto le ombre dei poderosi grattacieli di una metropoli che sta vivendo un periodo di sconforto e violenza.   

Il romanzo è strutturato in quattro libri e dodici capitoli; ogni singolo capitolo viene però raccontato dal punto di vista di un diverso narratore appartenente a un differente strato sociale. Si tratta di un un romanzo straziante, ma che non risulta affatto deprimente: vivendo la loro situazione di dolorosa angoscia, i vari personaggi riescono a trovare conforto, arrivando a una sorta di redenzione.
D'altra parte, l'epoca oggetto del racconto è quella in cui il popolo newyorkese guardava le torri gemelle con stupore, piuttosto che con l'orrore di chi si specchia in uno spazio vuoto.
McCann ha indubbiamente messo tanta carne al fuoco; ha comunque saputo gestir bene gli intrecci ed i collegamenti, costruendo una serie di storie emozionanti (anche se, purtroppo, non tutte hanno lo stesso spessore e l'adeguato approfondimento psicologico). 
Il capitolo conclusivo, narrato a distanza di parecchi anni dalla figlia di uno dei personaggi, risulta forse pleonastico e attenua un po' troppo il senso di distanza che il testo possedeva rispetto agli eventi dell'11 settembre: a mio personalissimo parere, sarebbe stato meglio concludere la narrazione in quelle complesse e tormentate giornate dell'agosto del 1974.


Consigliato a: chi vuole leggere un romanzo corale, con personaggi che si incrociano arrivando talvolta a interagire l'uno con l'altro, ed a chiunque sia curioso di farsi un'idea dell'America dei primi anni settanta: una nazione sofferente e lacerata, che sta scontando le conseguenze dei suoi peccati.


Voto: 7/10


Gio  

lunedì 21 dicembre 2020

L'uomo con la faccia da assassino, Matti Rönkä


Matti Rönkä è un volto noto della televisione finlandese –  già giornalista e reporter di Yle TV1 - che ad un certo punto della carriera ha deciso di dedicarsi alla scrittura. Il protagonista dei suoi romanzi, Viktor Kärppä, è un personaggio che incarna alla perfezione la zona d'ombra che intercorre tra "buono" e "cattivo", giusto e sbagliato, russo e finlandese: tutte situazioni che si ripropongono all'interno della sua storia personale. Proprio per questi motivi, la sua conoscenza della spietata criminalità russa è notevole ed approfondita. 
L'uomo con la faccia da assassino è il primo volume di una serie che in patria ha riscosso un notevole successo di pubblico, tanto da essere oggetto di una trasposizione televisiva.
Partiamo, come sempre, dalla trama. 

Viktor Kärppä è una sorta di detective privato di origine russa ma naturalizzato finlandese che vive ai confini della legge. Oltre a comuni indagini private, è solito sbrigare qualche lavoretto per la mafia russa di Helsinki. Quando gli viene commissionato l'incarico di ritrovare Sirje, la giovane moglie del libraio Aarne Larsson, tutto farebbe pensare a un compito di ordinaria amministrazione. Viktor scoprirà che Sirje non è una donna qualunque: è la sorella del trafficante estone Lillepuu, soprannominato "il terrore del Baltico". 
L'indagine diventerà così più complicata del previsto e il passato sovietico tornerà ben presto a presentargli il conto. 

Il protagonista di questo romanzo - Viktor Kärppä - è una sorta di Alligatore in salsa finlandese. Sono numerosi i punti in comune col personaggio ideato da Massimo Carlotto: al di là del fatto di esercitare la professione in maniera semiclandestina e del muoversi sul sottile crinale che separa la legalità dal crimine, vanno sottolineate la malinconia di fondo che pervade il racconto e la capacità di utilizzare il noir per evidenziare gli aspetti nascosti di una società malata in cui assume notevole rilevanza il problema delle minoranze etniche. 
Rönkä, probabilmente, è riuscito a fornire una nuova prospettiva alla letteratura poliziesca nordica, trascinandola al di fuori del solito contesto "crimine-soluzione" per farne quasi uno strumento sociologico: l'ambientazione si alterna infatti tra Helsinki e la Carelia, una delle zone più "calde" del mondo nonché terra di confine tra civiltà che devono imparare a convivere.
La scrittura è semplice e diretta, in grado di costruire atmosfere "fredde" non soltanto per ciò che riguarda la temperatura. La psicologia dei personaggi, purtroppo, non risulta troppo approfondita; speriamo che nei successivi romanzi che compongono la serie Rönkä riesca a dare più sostanza a Viktor e alle figure che gli gravitano intorno.


Consigliato a: coloro che vogliono fare la conoscenza di un insolito detective russo-finlandese e a chiunque apprezzi l'hard-boiled, questa volta collocato in una particolare ma affascinante ambientazione nordica.


Voto: 7/10


Gio     




sabato 19 dicembre 2020

Lo spettatore, Anton Soliman


Dopo qualche tempo torniamo alle nostre mitiche letture di coppia. 
Premesso che nessuno dei due ha idea di chi sia questo Anton Soliman - e una minuziosa ricerca su Google non ci ha per nulla aiutato a colmare la lacuna - questo racconto (lungo una cinquantina di pagine) è stato acquistato da Mely sull'impulso del momento; dopo aver letto la trama - che pareva assai promettente - ha deciso di regalarmelo inserendolo come cadeaux nel calendario dell'avvento da lei predisposto.
Ne abbiamo condiviso la lettura durante una delle ormai ricorrenti giornate in "zona rossa", chiusi in casa al calduccio, e alla fine ci siamo confrontati per comprendere il significato di una storia abbastanza inusuale. 
Com'è andata? Se andate avanti... presto lo saprete! 

Trama:
Un signore di nome Oskar, un bel giorno, riceve un invito per una prima teatrale che si terrà in città. Nonostante la sorpresa, l'uomo considera questa premiere un'occasione irripetibile per entrare in contatto con personaggi di alto lignaggio che, se sarà fortunato, gli daranno l'opportunità di migliorare la sua posizione sociale. 
Anche se la serata pare essere foriera di sorprendenti novità, il povero Oskar non sospetta di sicuro che, dietro allo spettacolo teatrale, si celi un perverso e infrangibile meccanismo: verrà così intrappolato in una messa in scena che si protrarrà nel tempo, per lunghissimi anni.

Giudizio di Mely:
Non mi è piaciuto per niente, sia per il genere (troppo lontano dai miei gusti) sia per l'inconsistenza della trama. Pur essendo una lettura piuttosto breve, è riuscita a risultare ugualmente lenta e noiosetta; il protagonista, alla fine, si dimostra un vero e proprio pollo perché non ha fatto altro che perdere un sacco di tempo dietro a una persona che non se lo filava minimamente. 
Voto: 2/10 

Giudizio di Gio:
Lo spunto di partenza non sarebbe male, con lo sviluppo del plot che segue incessantemente l'idea del palcoscenico come metafora della vita. Purtroppo, dopo un inizio promettente, la narrazione si perde un po' per strada e il racconto si incarta su se stesso nell'attesa di un qualcosa che non accadrà. Soliman strizza l'occhio a Samuel Beckett e al suo Godot... ma rimane anni luce lontano dall'originale. La scrittura un po' piatta non asseconda le buone intenzioni dell'autore e, alla fine, il messaggio che cerca di trasmettere al lettore è abbastanza scontato.
Voto: 5/10    

Come vedete, questa volta siamo abbastanza d'accordo: entrambi non abbiamo apprezzato granché quest'opera, ritenendola piuttosto velleitaria e non all'altezza (anche se, leggendo tra le righe, il giudizio di Mely è stato molto più cattivo e tranciante di quello di Gio). 
Ringraziandovi per l'attenzione, vi diamo appuntamento ad una delle prossime letture di coppia. 
A presto!





   


martedì 15 dicembre 2020

La famosa invasione degli orsi in Sicilia, Dino Buzzati


«Dunque ascoltiamo senza batter ciglia / la famosa invasione degli orsi in Sicilia.»

Questo è l'incipit di una fiaba deliziosa, piacevole e divertente, che risulta ancora attualissima nonostante siano passati ormai 75 anni dalla sua pubblicazione. Come nei racconti degli antichi cantastorie ogni singola vicenda ne racchiude altre, che si sviluppano a loro volta in svariati percorsi secondari e che costituiscono una gioia per tutti coloro che hanno il piacere e la voglia di immergersi in un mondo immaginario e coinvolgente.

Il libro narra le vicende di un gruppo di orsi che vive sulle montagne siciliane sotto l'illuminata guida del Re Leonzio. Nel corso di un gelido inverno, gli orsi rimangono privi di cibo; decidono quindi di invadere il Granducato di Sicilia per cercare di sopravvivere. Il sovrano degli orsi spera anche di ritrovare il figlio Tonio, che alcuni anni prima era stato rapito dai cacciatori.
Dopo aver sconfitto l'esercito del Granduca, inizia il regno di Leonzio all'insegna della pacifica convivenza tra orsi e uomini.
Col passare del tempo, però, gli orsi cominceranno a corrompersi, assumendo le peggiori abitudini umane: bere, rubare e giocare d'azzardo.  

Una Storia con la S maiuscola, che sarebbe riduttivo considerare alla stregua di un libro per bambini. Nonostante il racconto sia semplice - dedicato al popolo dell'infanzia - anche ai grandi non sfugge il profondo significato del testo e la critica che porta dentro di sé.
L'elemento principale della narrazione è il tema del cambiamento: quella graduale variazione di abitudini e di modi d'essere che si viene a creare nel momento in cui gli orsi entrano in contatto con gli esseri umani, iniziando a vivere come loro e arrivando a conoscerne anche gli aspetti più negativi (e questo ha fatto scattare dentro di me un necessario paragone con La fattoria degli animali di George Orwell).
Quest'opera, oltre ad essere un accorato omaggio alla Sicilia dei tempi che furono, è al tempo stesso una chiara metafora della guerra - che l’Italia stava vivendo durante la stesura della storia -  di cui riesce a mettere in risalto tutta l’assurdità.
La narrazione si articola nel susseguirsi di agili capitoletti, ciascuno dei quali termina sul più bello: un ottimo impulso per spingere il lettore a proseguire nella lettura senza interruzioni. La presenza di bellissime illustrazioni, opera del medesimo Buzzati, si concilia alla perfezione col magico fluire della narrazione.


Consigliato a: coloro che amano i libri per l'infanzia in grado di parlare anche al mondo degli adulti ed a chiunque voglia tuffarsi in un mondo fiabesco capace di coinvolgere, ammaliare e far riflettere.


Voto: 8/10



sabato 12 dicembre 2020

It, Stephen King

 


Parto da tre piccole premesse:
1) Se avessi letto questo libro a vent'anni invece che a cinquantatré suonati, probabilmente il mio giudizio sarebbe stato diverso;
2) Purtroppo, non amo per nulla il soprannaturale e ciò che esula dalla realtà tangibile; horror, fantasy e fantascienza sono troppo lontani dalle mie corde e, proprio per questo, non riesco ad apprezzare neanche le cose migliori dei menzionati generi (per dire... mi sono addormentato durante la visione di Il signore degli anelli);
3) Di Stephen King ho apprezzato soprattutto quei romanzi in cui il contenuto di fantasia era limitato o ridotto ai minimi termini: 22.11.63 e Il miglio verde, ad esempio, li ho trovati davvero notevoli
Detto questo, è logico che il mio giudizio su It non possa essere del tutto positivo. Dopo un inizio folgorante, capace di coinvolgere il cuore e la mente del lettore trascinandolo in una straordinaria discesa agli inferi, il prosieguo del romanzo non l'ho trovato all'altezza. Per usare una metafora che mi aiuti a spiegare le sensazioni che mi ha dato questo libro, posso farvi pensare all'immagine di un bel soufflé - soffice ed appetitoso - che lievita pian piano nel forno ma alla fine, malauguratamente, si sgonfia senza rimedio. 

Credo che la trama la conosciate ormai tutti. 
Impossibile che non abbiate mai sentito parlare della piccola cittadina di Derry; della tremenda sorte toccata al piccolo Georgie mentre cerca di recuperare una barchetta di carta da un canale di scolo; di quell'oscura presenza - denominata It, per l'appunto - che si manifesta sotto le sembianze di un clown. 
Chiunque - almeno credo - conosce alla perfezione la vicenda di quella creatura mostruosa risvegliata dalle tenebre e della sua terrificante sfida ad un gruppo di ragazzini; così come il 99% della popolazione mondiale sa benissimo che, a distanza di anni, quando il mostro riprenderà a chiedere il suo tributo di sangue, i ragazzini di un tempo lasceranno alle loro spalle famiglia e lavoro per tornare a combatterlo. 

La storia funziona alla perfezione finché resta nel territori del romanzo di formazione. In questo contesto, ritroviamo infatti i temi cari al Re del Brivido: il potere della memoria, il mito dell'innocenza perduta, i traumi propri dell'infanzia, la violenza occultata dietro una sottile patina di serenità.
Purtroppo, da un certo momento in avanti, pare che Re Stefano abbia un po' perso di mano le redini del racconto. La vicenda fuoriesce dai binari, come un treno che viaggia troppo veloce, e infierisce in maniera grottesca producendo schiere di mostri famelici e cruenti, effetti grandguignoleschi da film splatter di serie B e snodi narrativi abbastanza sconclusionati (almeno, a mio personalissimo parere).
Il libro scorre benissimo fino ad un certo punto; nella seconda parte finisce per perdersi producendo situazioni confusionarie e poco plausibili. Nonostante abbia divorato in pochi giorni i primi tre quarti del testo, la parte finale è stata per me una sorta di agonia (tanto che mi è quasi passato per la mente di abbandonare!) 
Fatto sta che la mia valutazione non collima per niente con quella di chi ritiene che It sia il migliore libro di King: lo scrittore di Portland ha fatto decisamente di meglio! 


Consigliato a: coloro che amano i romanzi di formazione permeati da una decisa ed esuberante vena "horror" e a chiunque ami i tomoni avvincenti e trascinanti (almeno... fino ad un certo punto).     


Voto: 6,5 (media tra l'8 della prima parte e il 5 della seconda).


Gio    

venerdì 11 dicembre 2020

Anatomia di un istante, Javier Cercas

 


In Anatomia di un istante - così come aveva già fatto nel precedente romanzo sulla guerra civile, Soldati di Salamina - Javier Cercas ha esaminato un momento chiave della storia spagnola contemporanea: il tentativo di colpo di stato del 23 febbraio 1981 che è di fatto l'unico golpe mai catturato dal mezzo televisivo mentre questo stava accadendo (il che, come sostiene lo stesso autore, "garantiva sia la sua realtà che la sua irrealtà").

“Qualunque destino, per lungo e complicato che sia, consta in realtà di un solo momento: quello in cui l’uomo sa per sempre chi è”

Proprio partendo da questa considerazione di Jorge Luis Borges, Cercas rinuncia del tutto (o quasi) alla fiction per raccontare i fatti nudi e crudi; quelli che si verificarono dal momento in cui il colonnello Tejero entrò armato nel parlamento di Madrid. 
Ciò che l'autore scorge in quell'istante - mentre le pallottole fischiavano nell'aria e i parlamentari si rintanavano sotto i banchi come bestie smarrite - è la reazione di tre uomini: il primo ministro Adolfo Suàrez, il tenente generale Gutiérrez Mellado e il segretario del partito comunista Santiago Carillo; tre personaggi che, pur essendo sicuramente ascrivibili a valori diversi (talvolta addirittura contrastanti), rimasero seduti sul loro scranno a sfidare il golpe imminente.
Quel gesto - diretta conseguenza del retroterra personale e politico dei personaggi - diventa così il punto di partenza attraverso cui analizzare le vicende - passate, presenti e future - di un Paese approdato alla democrazia dopo lunghi anni trascorsi sotto il Franchismo.  

Una perfetta ricostruzione storica. Sarebbe errato sostenere che quest'opera costituisca un ibrido tra il resoconto puntuale dei fatti e la storia romanzata; questo libro è, in realtà, una cronaca scritta in forma di saggio, supportata da uno stile avvincente, in cui lo scrittore si addentra in un'indagine psicologica degli interpreti di un momento topico della storia spagnola.
A metà strada tra l'inchiesta giornalistica e la riflessione storica, Anatomia di un istante racconta con accuratezza gli avvenimenti di quelle lunghe ore in cui il mondo intero rimase col fiato sospeso, utilizzando quel preciso momento come una sorta di "spioncino" attraverso cui si può contemplare un'epoca e un paese. 
Con una notevole abilità nella gestione delle fonti documentarie e una padronanza assoluta della narrazione, Cercas riesce così a ricostruire la cronaca di una giornata memorabile per l'avvenire della Spagna contemporanea.  


Consigliato a: coloro che amano la storia, raccontata magari con le modalità e gli strumenti del romanzo, ma assolutamente fedele e attendibile per ciò che concerne spirito, impatto emotivo e gestione delle fonti documentali.


Voto: 8/10


Gio    

venerdì 4 dicembre 2020

Il delirante circolo degli uccelli ubriachi, Juan Aparicio-Belmonte

 


Se con Mala suerte avevo fatto la conoscenza di Juan Aparicio-Belmonte e della sua notevole capacità inventiva, con questa sorta di sequel - atipico, debordante e sopra le righe - ho invece scoperto un fior fior di romanziere, capace di congegnare trame dalla struttura geniale e di dar vita a personaggi e a situazioni esilaranti.
Questo romanzo è una sorta di ottovolante, lanciato ad alta velocità, che travolge il lettore con il suo ritmo inarrestabile e vertiginoso.
Partiamo dalla trama, al cui interno troviamo di tutto e di più....

Abbiamo uno scrittore arrestato per un brutale delitto, un messia sceso dal cielo che preannuncia una prossima apocalisse, un'artista concettuale che ha ideato una colossale vagina esplosiva, il primo ministro spagnolo impegnato in una liaison clandestina, un poliziotto sadico ed ermafrodita... e, dulcis in fundo, ritroviamo la bellissima e sexy investigatrice Sarita Lagos - già protagonista dell'opera precedente - impegnata a combattere un bizzarro complotto di alcune inquietanti donne delle pulizie. 

Si tratta di un romanzo dall'inventiva sfrenata, che interseca diverse storie ed è sorretto da un umorismo incontrollato che, di tanto in tanto, flirta da vicino con l'assurdità e l'incongruenza. Dirò di più: all'interno del testo è contenuto un vero e proprio "romanzo nel romanzo" che, ad un certo punto, riesce quasi a trarre in inganno l'inconsapevole lettore... tanto che non si riesce più a capire quale sia la parte romanzata e quella attribuibile alla realtà.
Belmonte lavora di fino sulla struttura del noir classico, destrutturando e ricostruendo senza preoccuparsi di plausibilità e verosimiglianze; miscela perfettamente ironia, stravaganze, irrazionalità e fantasie deliranti, facendo leva su una prosa che possiede le qualità del ritmo e dell'agilità. Certo, a tratti pare di assistere ad una colossale follia narrativa: i salti repentini da un personaggio all'altro, da un narratore all'altro, da un'avventura all'altra, possono, alla lunga, stancare un poco. 
Rimane comunque il mio giudizio assolutamente positivo su questo libro che riesce, attraverso un umorismo originale e sfrontato, a ritrarre il senso di spaesamento che pervade gran parte della nostra società.


Consigliato a: chi ama la letteratura sperimentale, originale e sfrontata e a chiunque voglia fare la conoscenza di un autore emergente che è considerato dalla critica spagnola come "un vero e proprio sabotatore del noir".


Voto: 8/10



giovedì 3 dicembre 2020

Il cerchio celtico, Björn Larsson


Conoscete tutti la mia smisurata passione per i prodotti Iperborea. Questa volta mi sono dedicato a quello che è considerato uno tra gli autori di punta della casa editrice, specializzata nella letteratura del Nord Europa: Björn Larsson.
Di questo prolifico autore svedese, fino ad ora, avevo letto unicamente il libro/confessione Diario di bordo di uno scrittore; ho ritenuto giusto, quindi, dedicargli un po' di attenzione anche per ciò che riguarda la sua attività di romanziere.  

In una notte scura, nel porto danese di Dragor, Ulf riceve un giornale di bordo da un marinaio finlandese di nome Pekka, che poi scompare improvvisamente. Gli strani eventi narrati nel registro riportano i dati della navigazione fra la Finlandia e la Scozia; da un certo punto in avanti, però, iniziano a raccontare di alcune misteriose vicende legate ai luoghi della tradizione celtica.
Sulla spinta di tutto ciò Ulf, accompagnato dall'amico Torben, deciderà di compiere un'audace traversata invernale del Mare del Nord verso la Scozia; nel corso del viaggio, irto di pericoli e difficoltà, si troverà ad affrontare trafficanti di armi e seguaci di un antico culto druidico.

Il vecchio e caro romanzo d'avventura, privo di elementi di fantasia o fantascienza, è diventato oramai una rarità. Larsson riesce a rivitalizzarlo attraverso un'originale storia in cui coesistono mare, amicizia, intrighi, efferati omicidi e la volontà di rinascita di un popolo, troppo a lungo soffocato dalla Storia.
Certo, la premessa di una cospirazione celtica non è molto plausibile - vista l'accresciuta autonomia concessa di recente a Scozia e Galles - però la storia risulta avvincente a prescindere per la sua capacità di miscelare mitologia e magia con il mystery di stampo classico.
Questo libro ha l'innegabile merito di farci sentire il sapore del mare aperto, delle coste frastagliate e dei canali scozzesi; allo stesso tempo ci regala un'interessante rappresentazione della storia e della tradizione celtica. 
Peccato solo che Larsson si dilunghi eccessivamente nelle descrizioni nautiche, infarcite da sin troppi dettagli. Per coloro che non hanno dimestichezza con la navigazione, alcuni passaggi del romanzo sono arabo allo stato puro! 
La lettura è scorrevole, senza cali di ritmo o di tensione; credo comunque di aver ravvisato alcuni problemi - dovuti probabilmente alla traduzione - che riguardano l'utilizzo dissonante dei tempi verbali. 


Consigliato a: coloro che amano il mare e l'avventura e a chiunque si appassioni alle vicende in cui imperversano mitologia, riti ancestrali e culti druidici.


Voto: 7/10


domenica 29 novembre 2020

L'ultimo nastro di Krapp / Ceneri, Samuel Beckett



Dopo aver affrontato, qualche tempo fa, il celeberrimo testo di Aspettando Godot, ho deciso di approfondire la mia conoscenza di Samuel Beckett attraverso la lettura di questo volumetto: una manciata di pagine che risultano, però, pregne di significati ed essenziali nella comprensione del valore artistico dell'autore, vincitore del Nobel per la letteratura 1969. 
Il libricino contiene due opere: 
1) L'ultimo nastro di Krapp: opera teatrale in atto unico
2) Ceneri: radiodramma breve in atto unico 
In questa sede, mi dedicherò esclusivamente all'analisi del primo testo: un inarrivabile monologo che è allo stesso tempo una tra le più celebri rappresentazioni teatrali di Beckett.

Krapp, il protagonista, descrive le sue giornate in un vecchio registratore, che utilizza a mo' di diario. L'atto unico inizia con l'anziano Krapp intento ad ascoltare una vecchia registrazione risalente a parecchi anni prima, quando era ancora pieno di entusiasmo nei confronti della vita. Ora, invecchiato e vicino alla morte, non può far altro che deridere sé stesso e la propria totale incapacità di dare un senso alla propria fallimentare esistenza di uomo e di scrittore.

"Diciassette copie vendute, di cui undici con lo sconto speciale a biblioteche circolanti nei territori oltremare”

Un vecchio, perseguitato dal proprio dramma interiore, che si stringe ai ricordi e rimpianti. Un anziano bucaniere della vita che riascolta con rabbia frammista a nostalgia alcuni reperti smozzicati. Un uomo sul viale del tramonto che, con lentezza di movimenti e lunghe pause, si libera attraverso un inarrestabile flusso di coscienza. Questi sono gli elementi che emergono dalla lettura di questo testo teatrale dal carattere frammentato e reiterato, ma in cui le cesure al "filo del discorso" seguono un ritmo definito e funzionale alla messa in scena.
Krapp, come i precedenti eroi beckettiani, viene colto nell'esatto momento che precede la fine e che egli cerca inconsciamente di rimandare. Attraverso una rappresentazione tragicomica, adottando una sorprendente economia di parole, Beckett riesce a evidenziare il senso del rapporto tra l'essere umano e il tempo che passa, ma anche il controverso connubio tra l’artista e il fallimento dell’arte stessa.
Certo, a qualche profano le storie di Beckett potrebbero sembrare prive di un senso logico. Sarebbe però un errore madornale perché, in opere come questa, il senso c’è... anche se non riesce ad esplicitarsi compiutamente per un eccesso di "esserci". Il fatto dell' "essere qui", già presente in Godot, costituisce infatti il disvelamento della funzione primaria della rappresentazione teatrale che si realizza attraverso la scrittura di Beckett.


Consigliato a: chi ama i monologhi teatrali incentrati sul rapporto tra il tempo e l'essere umano e a chiunque si senta attratto dal teatro dell'assurdo beckettiano.


Voto: 7/10 








sabato 28 novembre 2020

Un caso maledetto, Marco Vichi


Un caso maledetto è il nono romanzo con protagonista il commissario Bordelli: uno dei personaggi più amati all'interno del vasto contenitore della letteratura gialla di casa nostra. Questa volta ritroviamo il nostro poliziotto in procinto di andare in pensione, dopo quasi un quarto di secolo trascorso nella Pubblica Sicurezza; un lungo periodo di tempo in cui ha assistito alla radicale trasformazione di un paese uscito con le ossa a pezzi dalla guerra, passando attraverso eventi epocali come la rivoluzione sessantottina.
Partiamo, come sempre, da un rapido abbozzo della trama...

Siamo a Firenze, nel gennaio del 1970. In una via del centro viene perpetrato un brutale delitto: un anziano nobile omosessuale viene barbaramente ucciso nella sua lussuosa abitazione. Dell'omicidio rimane una nitida traccia audio in quanto il vecchio licenzioso aveva l'abitudine di registrare i suoi focosi incontri (ovviamente all'insaputa dei suoi amanti passeggeri). 
Questo, per Franco Bordelli, potrebbe essere l'ultimo caso della carriera. Aiutato dal fedele Piras - nel frattempo promosso vice-commissario - si butterà a capofitto nelle indagini con la speranza di consegnare il prima possibile i colpevoli alla giustizia. 

Del commissario Bordelli si è già detto tutto (o quasi). Questo Maigret di casa nostra non supporta le sue indagini con intuizioni geniali e prodigiose ma predilige il duro lavoro investigativo: quello che opera attraverso meticolosi riscontri e attente ricostruzioni. 
Sempre accompagnato da quella malinconia sottile e lievemente increspata di amarezza, Vichi fa agire il suo protagonista in una Firenze che rappresenta l'immagine reale di una nazione uscita da un sanguinoso conflitto e che sta vivendo gli ultimi strascichi del boom degli anni sessanta.
L'autore toscano non ama correre a perdifiato; preferisce di gran lunga i ritmi lenti che risultano, spesso, strettamente connessi con le tradizioni e le usanze dei tempi che furono.  
Il libro risulta scorrevole nella lettura, sorretto da un plot solido e ben costruito. Riesce ad intrecciare alla perfezione la trama gialla con la storia più o meno recente della penisola; al tempo stesso tiene deste le coscienze narrando di fatti quotidiani che si manifestano come piaghe nella fragile pelle della società contemporanea. Unico difetto, probabilmente, è il modo un po' casuale in cui Bordelli e Piras giungeranno alla soluzione dell'enigma...ma al nostro caro commissario siamo disposti a perdonare questo ed altro.   

P.S. La mia speranza, come quella di tanti altri lettori, è quella che il commissario non vada in definitivamente pensione: speriamo di poter leggere ancora tanto di lui, negli anni a venire.


Consigliato a: coloro che amano i gialli italiani con una solida ambientazione storica e con personaggi ottimamente caratterizzati ed a chiunque apprezzi i libri che sanno raccontare con garbo e realismo la società italiana all'inizio degli anni Settanta.     


Voto: 7,5/10


lunedì 23 novembre 2020

L'ultimo viaggio di Amundsen, Monica Kristensen

 


Roald Amundsen - se qualcuno non lo sapesse - è stato un esploratore leggendario, le cui gesta e conquiste rimangono indimenticabili. In Norvegia, sua terra di origine, è considerato un vero e proprio eroe popolare nonché simbolo dell'identità nazionale.
In questo volume, che possiamo collocare sul sottile crinale che separa il saggio dal romanzo, viene raccontata l'ultima avventura del celebre esploratore, scomparso nel corso di una pericolosa operazione di ricerca. Ma andiamo con ordine...       

l 25 maggio 1928 il dirigibile Italia di Umberto Nobile, di ritorno dal Polo Nord, si schiantò nei pressi delle isole Svalbard. L'evento diede il la ad una delle operazioni di soccorso più sensazionali della storia polare. Tutti i governi che avevano l'intenzione di affermarsi nell'estremo nord, infatti, organizzarono spedizioni per ritrovare i sopravvissuti del disastro.
Questa poderosa azione di salvataggio divenne ben presto parte di un subdolo gioco politico. Il vecchio leone Roald Amundsen si unì ben presto alla corsa decollando con l'aereo francese Latham. Poche ore dopo la sua partenza, però, lui e il suo equipaggio scomparvero senza lasciare traccia.

Questo libro, di genere storico e documentario, si dedica all'articolata e attenta ricostruzione  di due spedizioni in terra polare: quella di Nobile e quella di Amundsen. Basato essenzialmente su fatti reali, grazie ad una meticolosa attività di ricerca da parte dell'autrice (a sua volta glaciologa e esploratrice), lascia successivamente spazio ad una serie di ipotesi/teorie sulle modalità con cui Amundsen affrontò la sua fredda morte.
Si tratta di un'opera che, oltre a raccontare una pagina importante di storia - collocata in un periodo in cui le spedizioni artiche avevano un'importanza notevole nel contesto politico-geografico e nelle diatribe tra i vari stati - consente al lettore di viaggiare in luoghi sconosciuti e inospitali che vengono descritti in maniera quasi tangibile.  
Monica Kristensen disegna con accorata partecipazione il ritratto del vecchio Amundsen - icona per il resto del mondo ma dallo status abbastanza sbiadito in patria - che viene descritto come un uomo stanco, introverso e sull'orlo della rovina economica.
Il libro è ben scritto e risulta essenziale al fine di approfondire alcuni eventi non troppo noti; l'unico difetto sta, a mio parere, nell'eccessiva mole di dati, di luoghi e personaggi che, col fluire delle pagine, finiscono col rendere un po' confusa la lettura.


Consigliato a: chi ama la storia romanzata ma allo stesso tempo accuratamente documentata e a chi chiunque voglia lanciare lo sguardo sulle spedizioni artiche che hanno contraddistinto l'inizio del Ventesimo secolo.


Voto: 7/10



 

sabato 21 novembre 2020

Mucho mojo, Joe R. Lansdale

 


Mucho moyo è il secondo romanzo che ha come protagonisti Hap Collins e Leonard Pine, una coppia di detective improvvisati estremamente diversi l'uno dall'altro: Leonard è nero, omosessuale, repubblicano e piuttosto cinico; Hap è bianco, etero, democratico e di inclinazioni romantiche. Mentre il primo volume della serie - Una stagione selvaggia - non mi aveva del tutto convinto, il sequel mi è parso di un livello decisamente superiore (tanto da spingermi a rimpolpare il numero dei libri in attesa sugli scaffali).   

La storia ruota attorno alla morte di Chester Pine, lo zio di Leonard, la cui casa si trova nei pressi di una fumeria di crack. 
Il nipote, ritrovatosi unico erede, decide di restaurare il vecchio fabbricato per poterlo poi mettere in vendita. Chiede quindi ad Hap di assisterlo ma, nel corso dei lavori, sotto le assi del pavimento vengono rinvenuti lo scheletro di un neonato e diverse riviste a carattere pedopornografico. 
Leonard si rifiuta di credere al coinvolgimento del vecchio in una simile atrocità, perciò cercherà di risolvere il mistero con l'aiuto del suo migliore amico.

Non sussistono dubbi sul fatto che Joe Lansdale sia un grande narratore. Questo pioniere dello splatterpunk, capace di miscelare come nessun altro il macabro, la suspense e l'ironia, possiede uno stile rapido e dinamico, in cui proliferano slang, parolacce, battute ciniche e risposte taglienti. Oltre a costruire ottimi prodotti di genere, riesce a raccontare i mali della sua terra ergendosi a difensore di tutti coloro che sono vittime di povertà e discriminazioni. 
Mucho mojo, pur non essendo certo memorabile dal punto di vista del colpo di scena finale, risulta pieno di spunti intriganti e capace di contemperare alla perfezione thriller e commedia, humor nero e uno spiccato senso di umanità. Con lo scorrere delle pagine, l'azione non rimane mai fine a stessa ma si trasforma in un'azzeccata meditazione sulla natura del bene e del male, sulla razza, la sessualità e la classe di appartenenza.
Il romanzo è ben scritto, vivace e pieno di dialoghi irresistibili. La trama. piuttosto lineare, è infarcita di storie parallele; il ritmo è incalzante e non perde un colpo fino all'ultima riga.
Un romanzo che mi sento di consigliare a coloro che cercano una lettura scorrevole e piena di ritmo, ma capace al tempo stesso di esplorare il lato più oscuro dell'essere umano.


Consigliato a: coloro che amano l'hard-boiled classico nella sua declinazione più pulp e a chiunque voglia fare la conoscenza di una delle coppie di detective più originali e memorabili della letteratura contemporanea.


Voto: 7,5/10


Gio        



domenica 15 novembre 2020

Il settimo giorno, Yu Hua

 


Con Il settimo giorno Yu Hua squarcia il velo dietro cui si nasconde la Cina contemporanea, costruendo una critica spietata a una nazione che si è venuta a trovare sospesa - e in equilibrio piuttosto precario -  fra comunismo e capitalismo.
Allo stesso tempo riesce a trasmettere una surreale rappresentazione di cosa accade al momento della morte, senza disdegnare uno sguardo struggente nei confronti delle relazioni che instauriamo nel corso della nostra esistenza terrena.
Da tutto ciò scaturisce un libro malinconico e poetico, che risulta però ricoperto da una patina di feroce ironia
Partiamo dalla trama. 

Il protagonista Yang Fei esce di casa, una mattina, e scopre di essere in ritardo per la propria cremazione. Inizia così l'allucinato viaggio nell'Aldilà di un uomo che ha vissuto sulla sua pelle le contraddizioni della Cina di oggi. Nel suo viaggio lungo sette giorni, incontrerà persone scomparse da tempo che gli faranno capire che il vero inferno si cela nell'Aldiquà. 
Col suo lento procedere, si troverà ad affrontare brutture difficili da accettare: corruzione, traffico di organi, cibo adulterato, feti gettati nel fiume e demolizioni forzate. Al termine del suo percorso il buon Yang Fei comprenderà come la morte porti in sé l'innata capacità di livellare le diseguaglianze tra gli esseri umani (principio già sostenuto dall'esimio Marchese De Curtis in La livella).  

La Cina del ventunesimo secolo viene rappresentata, in questo romanzo, come un Paese sospeso tra “aldiquà” e “aldilà”. L'intento di denuncia sociale è evidente: viene raccontato il disagio di un popolo che si dimostra incapace di affrontare i rapidi cambiamenti all’interno di una nazione in difficoltà, che pare aver lasciato per strada valori fondamentali come il rispetto, la pietà e l’amore per i propri simili. 
Pur facendoci transitare attraverso il paese dei morti, l'autore ci fa comprendere che la destinazione finale di questo viaggio è rappresentata dall’amore per la vita: la chiusura del romanzo, a questo proposito, è esemplare.
Lo stile narrativo è dinamico, a tratti sperimentale, ma intriso da un lirismo struggente che non è mai sdolcinato. Forse, di tanto in tanto, si percepisce la mancanza di un vero e proprio filo conduttore: ci sono salti temporali e di ambientazione che stridono un po' con l'impianto generale. 
Le similitudini con I tredici passi del connazionale Mo Yan sono notevoli, quasi ci fosse un urgenza - da parte della letteratura dell'estremo oriente - di raccontare un momento storico complicato appellandosi a una visione fantastica, quasi onirica delle cose.     
Al di là di tutto, nonostante il sottoscritto preferisca lo Yu Hua più (neo)realista - quello di Vivere e di Cronache di un venditore di sangue - ritengo che Il settimo giorno sia un libro necessario per la sua capacità di rappresentare in maniera precisa e puntuale le contraddizioni del mondo contemporaneo.


Consigliato a: chi vuole comprendere le storture e le contraddizioni della Cina di oggi attraverso un'opera di fantasia, provocatoria e surreale, ma capace di ritrarre la realtà in maniera più efficace di tanti saggi sull'argomento.


Voto: 7/10


Gio   



sabato 14 novembre 2020

L'autopompa fantasma, Maj Sjöwall e Per Wahlöö



Negli anni compresi tra 1965 e il 1975 la coppia costituita da Maj Sjöwall e Per Wahlöö pubblicò dieci libri gialli, gettando di fatto le basi per il romanzo poliziesco contemporaneo. Queste opere, ormai considerate dagli addetti ai lavori come veri e propri classici moderni, sono diventate fonte di ispirazione per tanti scrittori giunti successivamente, tra cui lo stesso Henning Mankell. 
L'autopompa fantasma è il quinto episodio della serie, incentrata sul commissario di polizia Martin Beck (che siamo abituati ad associare all'attore Walter Matthau, suo volto al cinema); nonostante la trama investigativa sia un po' debole, riesce comunque a rispettare le promesse e a dimostrarsi come esempio di letteratura di genere essenziale e senza fronzoli. 
Partiamo, come sempre, da un rapido sunto del plot

Siamo alla periferia di Stoccolma, nel 1968.
Il poliziotto Gunvald Larsson sta organizzando un'operazione di sorveglianza. Nel corso dell'appostamento, il palazzo in cui si trova il sospetto prende improvvisamente fuoco e tre persone coinvolte nell'incendio perdono la vita. Gran parte degli inquirenti è convinta che si sia trattato di un fatale e imprevedibile incidente. Una valutazione che, col prosieguo delle indagini, si dimostrerà parecchio lontana dalla verità. A tutto ciò, si aggiunga il fatto che, non appena l'incendio è deflagrato, qualcuno ha telefonato ai vigili del fuoco... ma l'autopompa non è mai giunta sul posto.

Questa storia poliziesca è gradevole, ben scritta e si basa su tempi di narrazione quieti, quasi indolenti; è perciò lontana anni luce dai ritmi ansiogeni e sostenuti a cui ci hanno abituato gli scrittori contemporanei. Con un buon senso dell'umorismo e un chiaro intento politico, gli autori descrivono alla perfezione la disintegrazione della società del benessere, fornendoci un quadro variegato di quella che era la Svezia della fine degli anni Sessanta. 
Il romanzo, come gli altri della serie, mostra la sua particolarità nel fatto che non ci sia un unico ispettore protagonista, ma un manipolo di poliziotti che, in maniera talvolta anarchica e non troppo organizzata, indaga sul medesimo caso. Tra di loro, ovviamente, spicca la figura di Martin Beck: un investigatore che, pur non essendo dotato di un talento eccezionale, né di un'intelligenza fuori dal comune né di un coraggio che si eleva su quello degli altri, è la chiara dimostrazione del celebre assunto aristotelico: che il tutto è maggiore delle sue parti.
Nonostante siano passati cinquant'anni dalla prima pubblicazione - e che romanzi come questo possano risultare un poco datati nella forma e nella struttura - i libri di Sjöwall e Wahlöö sono ancora estremamente utili: ci consentono di lanciare uno sguardo sulla società svedese dell'epoca, sull'evoluzione dei costumi e degli stili di vita, facendoci comprendere che, nonostante i cambiamenti, il delitto mantiene sempre intatte le sue caratteristiche. In ogni luogo e in ogni epoca. 


Consigliato a: coloro che vogliono fare la conoscenza dei veri genitori del giallo svedese - parecchi anni prima che arrivassero Henning Mankell e Stieg Larsson - e a chiunque apprezzi i polizieschi capaci di indagare a fondo sulla società e la sua evoluzione.


Voto: 7/10


Gio     

giovedì 12 novembre 2020

M. L'uomo della provvidenza, Antonio Scurati


Bisogna essere obiettivi: talvolta le biografie redatte dagli storici di professione possono risultare un po' tediose; il ritratto di Mussolini costruito da Scurati, invece, sa essere avvincente e coinvolgente, proprio per la capacità dell'autore di miscelare in maniera perfetta l'abilità del romanziere con la documentazione quasi maniacale dello studioso di professione.
Mentre nel libro precedente M. Il figlio del secolo (Premio Strega 2019) veniva raccontata la violenza perpetrata dal fascismo ai fini della conquista il potere, in questo secondo volume lo scrittore si concentra, soprattutto, sulle capacità di governo del Duce e sui controversi rapporti con i personaggi che facevano parte del suo entourage.

Secondo capitolo, dicevo poc'anzi. Scurati ricostruisce con dovizia di particolari il periodo storico in cui ha luogo il consolidamento del Regime Fascista: un lasso di tempo che va dall’assassinio di Giacomo Matteotti alle celebrazioni del decennio della nascita del partito e in cui - per utilizzare le parole del più oltranzista dei gerarchi, Roberto Farinacci - il fascismo non è solo più un partito ma una religione. 
Le innumerevoli violenze dei primi anni vengono superate e a poco a poco disconosciute, col Regime che comincia ad urlare al mondo intero il proprio inestinguibile desiderio di conquista, incamminandosi su una sorta di "terza via" tra capitalismo e comunismo.
L'autore indugia senza paure nella descrizione dell'uomo-Mussolini, facendo risaltare i suoi problemi di salute, la sua brama di dominio e l'energia profusa nel programma di fascistizzazione della società. Allo stesso tempo, disegna una notevole galleria di fatti e di personaggi che prendono vita con qualità e rigore; in particolare, riesce a descrivere in maniera convincente i rapporti intercorrenti tra Mussolini e i gerarchi a lui più vicini, rapporti che si sono spesso rivelati fonte di conflitto e di rivalità.

Qualcuno ha detto: buttate questo libro dalla finestra e leggete opere più serie sull'argomento, come quelle di Renzo De Felice. Non concordo assolutamente...
I saggi di De Felice sono in commercio da decine di anni e non mi pare che abbiano raggiunto un grosso pubblico al di fuori del cerchio degli studenti e dei professoroni. Scurati è riuscito, invece, a raccontare la Storia (con la S maiuscola, of course!) rendendola appetibile anche al più comune dei lettori, utilizzando lo "strumento-romanzo" come una sorta di grimaldello per penetrare la barriera che, molto spesso, veniva posta di fronte a determinati argomenti, ritenuti troppo lontani dal mondo della letteratura. Una scelta che ha portato ad ottimi risultati e che, a mio parere, merita di essere lodata senza "se" né "ma".      
Ed ora non ci resta che attendere il prossimo lavoro dell'autore, con cui si concluderà il trittico sul Duce e sul Fascismo: è lecito aspettarsi grandi cose! 


Consigliato a: coloro che amano la storia, raccontata con passione romanzesca ma anche con precisione documentale, e a chiunque nutra il desiderio di rispolverare uno dei periodi più drammatici della Storia Patria, col suo corollario di cambiamenti politici e sociali.


Voto: 7,5/10


domenica 8 novembre 2020

Il falco maltese, Dashiell Hammett



Il falco maltese è un classico della letteratura gialla americana. Si può sostenere, senza tema di smentita, che sia uno dei romanzi che ha dato il via alla lunga stagione della letteratura hard-boiled: un sottogenere del mystery caratterizzato da una scrittura asciutta, da personaggi sprezzanti ma, soprattutto, dalla posizione di primo piano assegnata all'investigatore che conduce le indagini. 
In questo romanzo fa la sua comparsa la figura di Sam Spade: un detective privato cinico e disilluso - che siamo abituati ad associare all'immagine dell'attore Humphrey Bogart, che lo interpretò nel celebre lungometraggio Il mistero del falco di John Huston - e che rappresenta uno dei più amati e carismatici personaggi della letteratura poliziesca. 
Partiamo, come sempre, dalla trama.

L'occhio privato Sam Spade viene assunto dall'affascinante Miss Wonderley per rintracciare la di lei sorella, fuggita in compagnia di un malfattore dii nome Floyd Thursby. Dietro Miss Wonderley, nella realtà, si cela la bellissima e perfida Brigid O'Shaughnessy: una dark lady pronta a tutto per raggiungere i suoi scopi. 
Nel momento in cui il socio di Sam - l'ambiguo Miles Archer, che si trova sulle tracce di Thursby - viene assassinato, il nostro eroe si vedrà costretto a indossare la duplice veste di cacciatore e preda. Si ritroverà a rischiare più volte la pelle mentre i personaggi che gli gravitano attorno sembrano avere l'unico obiettivo di rintracciare un manufatto del XVI secolo dal valore notevole: un uccello tempestato di pietre preziose.

Come avrete certamente capito, Sam Spade non è un uomo che ha bisogno di andare in cerca di guai: sono loro a trovarlo direttamente. Così accade in questo primo (ed unico) romanzo incentrato sulla sua figura: un libro fondamentale che rappresenta un caposaldo della narrativa di genere.
La storia è ben costruita, piena di suspense e ricca di colpi di scena. La tensione viene alimentata dalla vividezza delle scene e dal ritmo narrativo impresso dall'autore. Un altro elemento da non sottovalutare è rappresentato dal "colorato" cast di personaggi: oltre al detective antieroe Sam Spade e alla bellezza ingannevole Brigid, sono indimenticabili l'effeminato levantino Joel Cairo, il corpulento e sinistro Casper Gutman e l'infido scagnozzo di Gutman, Wilmer.
Hammett, alla pari degli illustri predecessori Wilkie Collins e Arthur Conan Doyle, è stato l'artefice di un nuovo modello letterario, che si rivelerà profondamente influente negli anni successivi tanto da conferirgli lo status di autore "classico". Il vero merito dello scrittore, al di là di tutto, è stato quello di portare l'omicidio "fuori dal salotto" - dove era stato a lungo relegato dagli antesignani del genere - per ricondurlo nelle strade e nei vicoli a cui, di fatto, appartiene.


Consigliato a: coloro che vogliono affrontare un classico della letteratura poliziesca, un testo intramontabile che servirà da punto di riferimento a una nuova generazione di autori che ad esso - più o meno direttamente - si ispireranno. 


Voto: 8/10



sabato 7 novembre 2020

Il deserto dei tartari, Dino Buzzati



Finalmente mi sono deciso ad affrontare Il deserto dei tartari di Dino Buzzati: uno dei più celebri romanzi italiani del Novecento, che avevo in attesa da un bel po', e ne sono rimasto pienamente soddisfatto. Pagina dopo pagina ho potuto apprezzare un classico dal significato ancora attuale, che parla dello scorrere inesorabile del tempo e che trasmette al lettore una preziosa e fondamentale lezione di vita.
Ma andiamo con ordine, partendo da un accenno della trama...  

In una mattina di settembre, il sottotenente Giovanni Drogo prende servizio alla Fortezza Bastiani: un avamposto militare posto ai confini con "il deserto dei Tartari".
Drogo, appena ventenne, arriva ai bastioni carico di speranze e aspettative: è certo che il futuro che ha davanti a sé sarà splendente e lo gratificherà di una bella carriera militare. Gli anni, però, scorrono via come sabbia tra le dita e il nostro protagonista finirà con l'invecchiare senza rendersi conto del tempo che è volato via.
Giovanni vedrà passare davanti a sé l’occasione di poter cambiare gli eventi, ma non riuscirà ad afferrarla: terminerà quindi la sua esistenza tra le inquietanti mura della Fortezza.

Si tratta di un romanzo dalla forte impronta allegorica: la storia di Giovanni Drogo, infatti, non è altro che una metafora dell'umana esistenza che a poco a poco si consuma nell'attesa di un evento (che, probabilmente, non accadrà mai). 
Oltre ad esprimere in maniera semplice e convincente il senso della vita, infatti, Il deserto dei tartari riesce a trasmettere in maniera assolutamente geniale il momento dell'attesa: come in Aspettando Godot di Samuel Beckett, il vero protagonista dell'opera è il tempo, con il suo inarrestabile scorrere verso il nulla.
L'attesa, dicevamo prima, piena di speranze deluse e di occasioni perse, racchiude dentro di sé il significato dell'intero romanzo. A poco a poco ci si trova immersi in un'atmosfera di ineffabile staticità, carica di simbolismo, che arriva a toccare una serie di temi eterogenei: la solitudine, le illusioni, la speranza disillusa e il sopraggiungere della morte. 
L'inerzia di Giovanni Drogo diventa così un importante stimolo alla riflessione: ogni lettore si renderà conto di quanto sia importante fare qualcosa della propria esistenza al fine di darle un senso compiuto. 
Buzzati racconta la storia con un linguaggio semplice ma pieno di ritmo, che mantiene per tutto il testo la giusta musicalità e non disdegna - specialmente in alcuni passi - un notevole innalzamento poetico: citiamo, a mero titolo di esempio, l'eroica morte di Angustina, la presa di coscienza di Giovanni sul proprio invecchiamento e, infine, la morte del protagonista che conclude il romanzo. E, giunti all'ultima riga del testo, ci si rende conto di aver letto un testo imprescindibile della letteratura italiana contemporanea.   


Consigliato a: coloro che vogliono leggere un classico senza tempo - che parla, per l'appunto, del passare del tempo - e a chiunque ami i testi allegorici, capaci di rendere attraverso un racconto di fantasia il senso preciso della vita umana. 


Voto: 8,5/10


venerdì 6 novembre 2020

La morte è il mio mestiere, Michael Connelly

 


Con La morte è il mio mestiere Connelly "resuscita" uno dei suoi personaggi più riusciti: il giornalista investigativo Jack McEvoy - già protagonista di Il poeta e L'uomo di paglia - che rappresenta una sorta di alter-ego dello scrittore statunitense. Per il reporter, costantemente a caccia di scoop, la cronaca nera è un vero e proprio stile di vita: nel corso della sua lunga carriera ha raccontato i crimini più cruenti, inseguito gli assassini più inafferrabili e in più di un'occasione si è ritrovato a tu per tu con la morte.
Cosa accadrà questa volta? Leggete e lo scoprirete! 

Ritroviamo il nostro Jack nella veste  di cronista per Fair Warning, un sito web di notizie a protezione dei consumatori. Quando una donna con cui aveva condiviso una notte di passione viene ritrovata senza vita, il nostro amico finisce improvvisamente nella cerchia dei sospettati. 
McEvoy intraprenderà un'indagine del tutto personale, scoprendo che quel delitto è collegato ad altre morti sospette avvenute in tutto il Paese. Si renderà presto conto che c'è in giro uno stalker che perseguita le donne, selezionandole in base ai loro dati genetici.

Michael Connelly si conferma - neanche ce ne fosse bisogno - come un vero maestro del poliziesco procedurale, unico degno erede del grande Ed McBain. La sua abilità nel descrivere le dinamiche del crimine è difficilmente eguagliabile e pure i metodi di indagine che espone all'interno dei suoi romanzi sono realistici e verosimili. 
Inoltre, l'autore di Philadelphia possiede l'invidiabile capacità di stare sempre al passo con l'attualità e il progresso tecnologico, che vengono rappresentati all'interno di una società improntata alla frenesia e all'isteria. In questo libro, in particolare, riesce a rappresentare in maniera encomiabile il declino del giornalismo e della carta stampata, l'ascesa inarrestabile delle fake news, lo sviluppo del movimento incel (conosciuto anche come celibato involontario) e i pericoli insiti nel traffico dei dati del DNA da parte di un'industria priva di freni o regolamenti governativi.
Questo romanzo ci restituisce un Connelly in forma smagliante, perfettamente in grado di far combaciare le convenzioni del thriller ai pericoli della vita reale. La scrittura è rapida, coinvolgente, secca come un colpo di fucile; la trama appassiona il lettore senza mostrare il minimo cedimento. 
Forma e sostanza; critica sociale e ritmo inarrestabile; realismo e tensione. Che cosa volere di più da un libro poliziesco?   


Consigliato a: coloro che amano i thriller con l'anima, capaci di unire la tensione della crime story all'analisi spietata dell'America di oggi, e a chiunque sia attratto dai polizieschi procedurali, basati su indagini realistiche e plausibili.


Voto: 8/10


Gio