domenica 29 novembre 2020

L'ultimo nastro di Krapp / Ceneri, Samuel Beckett



Dopo aver affrontato, qualche tempo fa, il celeberrimo testo di Aspettando Godot, ho deciso di approfondire la mia conoscenza di Samuel Beckett attraverso la lettura di questo volumetto: una manciata di pagine che risultano, però, pregne di significati ed essenziali nella comprensione del valore artistico dell'autore, vincitore del Nobel per la letteratura 1969. 
Il libricino contiene due opere: 
1) L'ultimo nastro di Krapp: opera teatrale in atto unico
2) Ceneri: radiodramma breve in atto unico 
In questa sede, mi dedicherò esclusivamente all'analisi del primo testo: un inarrivabile monologo che è allo stesso tempo una tra le più celebri rappresentazioni teatrali di Beckett.

Krapp, il protagonista, descrive le sue giornate in un vecchio registratore, che utilizza a mo' di diario. L'atto unico inizia con l'anziano Krapp intento ad ascoltare una vecchia registrazione risalente a parecchi anni prima, quando era ancora pieno di entusiasmo nei confronti della vita. Ora, invecchiato e vicino alla morte, non può far altro che deridere sé stesso e la propria totale incapacità di dare un senso alla propria fallimentare esistenza di uomo e di scrittore.

"Diciassette copie vendute, di cui undici con lo sconto speciale a biblioteche circolanti nei territori oltremare”

Un vecchio, perseguitato dal proprio dramma interiore, che si stringe ai ricordi e rimpianti. Un anziano bucaniere della vita che riascolta con rabbia frammista a nostalgia alcuni reperti smozzicati. Un uomo sul viale del tramonto che, con lentezza di movimenti e lunghe pause, si libera attraverso un inarrestabile flusso di coscienza. Questi sono gli elementi che emergono dalla lettura di questo testo teatrale dal carattere frammentato e reiterato, ma in cui le cesure al "filo del discorso" seguono un ritmo definito e funzionale alla messa in scena.
Krapp, come i precedenti eroi beckettiani, viene colto nell'esatto momento che precede la fine e che egli cerca inconsciamente di rimandare. Attraverso una rappresentazione tragicomica, adottando una sorprendente economia di parole, Beckett riesce a evidenziare il senso del rapporto tra l'essere umano e il tempo che passa, ma anche il controverso connubio tra l’artista e il fallimento dell’arte stessa.
Certo, a qualche profano le storie di Beckett potrebbero sembrare prive di un senso logico. Sarebbe però un errore madornale perché, in opere come questa, il senso c’è... anche se non riesce ad esplicitarsi compiutamente per un eccesso di "esserci". Il fatto dell' "essere qui", già presente in Godot, costituisce infatti il disvelamento della funzione primaria della rappresentazione teatrale che si realizza attraverso la scrittura di Beckett.


Consigliato a: chi ama i monologhi teatrali incentrati sul rapporto tra il tempo e l'essere umano e a chiunque si senta attratto dal teatro dell'assurdo beckettiano.


Voto: 7/10 








sabato 28 novembre 2020

Un caso maledetto, Marco Vichi


Un caso maledetto è il nono romanzo con protagonista il commissario Bordelli: uno dei personaggi più amati all'interno del vasto contenitore della letteratura gialla di casa nostra. Questa volta ritroviamo il nostro poliziotto in procinto di andare in pensione, dopo quasi un quarto di secolo trascorso nella Pubblica Sicurezza; un lungo periodo di tempo in cui ha assistito alla radicale trasformazione di un paese uscito con le ossa a pezzi dalla guerra, passando attraverso eventi epocali come la rivoluzione sessantottina.
Partiamo, come sempre, da un rapido abbozzo della trama...

Siamo a Firenze, nel gennaio del 1970. In una via del centro viene perpetrato un brutale delitto: un anziano nobile omosessuale viene barbaramente ucciso nella sua lussuosa abitazione. Dell'omicidio rimane una nitida traccia audio in quanto il vecchio licenzioso aveva l'abitudine di registrare i suoi focosi incontri (ovviamente all'insaputa dei suoi amanti passeggeri). 
Questo, per Franco Bordelli, potrebbe essere l'ultimo caso della carriera. Aiutato dal fedele Piras - nel frattempo promosso vice-commissario - si butterà a capofitto nelle indagini con la speranza di consegnare il prima possibile i colpevoli alla giustizia. 

Del commissario Bordelli si è già detto tutto (o quasi). Questo Maigret di casa nostra non supporta le sue indagini con intuizioni geniali e prodigiose ma predilige il duro lavoro investigativo: quello che opera attraverso meticolosi riscontri e attente ricostruzioni. 
Sempre accompagnato da quella malinconia sottile e lievemente increspata di amarezza, Vichi fa agire il suo protagonista in una Firenze che rappresenta l'immagine reale di una nazione uscita da un sanguinoso conflitto e che sta vivendo gli ultimi strascichi del boom degli anni sessanta.
L'autore toscano non ama correre a perdifiato; preferisce di gran lunga i ritmi lenti che risultano, spesso, strettamente connessi con le tradizioni e le usanze dei tempi che furono.  
Il libro risulta scorrevole nella lettura, sorretto da un plot solido e ben costruito. Riesce ad intrecciare alla perfezione la trama gialla con la storia più o meno recente della penisola; al tempo stesso tiene deste le coscienze narrando di fatti quotidiani che si manifestano come piaghe nella fragile pelle della società contemporanea. Unico difetto, probabilmente, è il modo un po' casuale in cui Bordelli e Piras giungeranno alla soluzione dell'enigma...ma al nostro caro commissario siamo disposti a perdonare questo ed altro.   

P.S. La mia speranza, come quella di tanti altri lettori, è quella che il commissario non vada in definitivamente pensione: speriamo di poter leggere ancora tanto di lui, negli anni a venire.


Consigliato a: coloro che amano i gialli italiani con una solida ambientazione storica e con personaggi ottimamente caratterizzati ed a chiunque apprezzi i libri che sanno raccontare con garbo e realismo la società italiana all'inizio degli anni Settanta.     


Voto: 7,5/10


lunedì 23 novembre 2020

L'ultimo viaggio di Amundsen, Monica Kristensen

 


Roald Amundsen - se qualcuno non lo sapesse - è stato un esploratore leggendario, le cui gesta e conquiste rimangono indimenticabili. In Norvegia, sua terra di origine, è considerato un vero e proprio eroe popolare nonché simbolo dell'identità nazionale.
In questo volume, che possiamo collocare sul sottile crinale che separa il saggio dal romanzo, viene raccontata l'ultima avventura del celebre esploratore, scomparso nel corso di una pericolosa operazione di ricerca. Ma andiamo con ordine...       

l 25 maggio 1928 il dirigibile Italia di Umberto Nobile, di ritorno dal Polo Nord, si schiantò nei pressi delle isole Svalbard. L'evento diede il la ad una delle operazioni di soccorso più sensazionali della storia polare. Tutti i governi che avevano l'intenzione di affermarsi nell'estremo nord, infatti, organizzarono spedizioni per ritrovare i sopravvissuti del disastro.
Questa poderosa azione di salvataggio divenne ben presto parte di un subdolo gioco politico. Il vecchio leone Roald Amundsen si unì ben presto alla corsa decollando con l'aereo francese Latham. Poche ore dopo la sua partenza, però, lui e il suo equipaggio scomparvero senza lasciare traccia.

Questo libro, di genere storico e documentario, si dedica all'articolata e attenta ricostruzione  di due spedizioni in terra polare: quella di Nobile e quella di Amundsen. Basato essenzialmente su fatti reali, grazie ad una meticolosa attività di ricerca da parte dell'autrice (a sua volta glaciologa e esploratrice), lascia successivamente spazio ad una serie di ipotesi/teorie sulle modalità con cui Amundsen affrontò la sua fredda morte.
Si tratta di un'opera che, oltre a raccontare una pagina importante di storia - collocata in un periodo in cui le spedizioni artiche avevano un'importanza notevole nel contesto politico-geografico e nelle diatribe tra i vari stati - consente al lettore di viaggiare in luoghi sconosciuti e inospitali che vengono descritti in maniera quasi tangibile.  
Monica Kristensen disegna con accorata partecipazione il ritratto del vecchio Amundsen - icona per il resto del mondo ma dallo status abbastanza sbiadito in patria - che viene descritto come un uomo stanco, introverso e sull'orlo della rovina economica.
Il libro è ben scritto e risulta essenziale al fine di approfondire alcuni eventi non troppo noti; l'unico difetto sta, a mio parere, nell'eccessiva mole di dati, di luoghi e personaggi che, col fluire delle pagine, finiscono col rendere un po' confusa la lettura.


Consigliato a: chi ama la storia romanzata ma allo stesso tempo accuratamente documentata e a chi chiunque voglia lanciare lo sguardo sulle spedizioni artiche che hanno contraddistinto l'inizio del Ventesimo secolo.


Voto: 7/10



 

sabato 21 novembre 2020

Mucho mojo, Joe R. Lansdale

 


Mucho moyo è il secondo romanzo che ha come protagonisti Hap Collins e Leonard Pine, una coppia di detective improvvisati estremamente diversi l'uno dall'altro: Leonard è nero, omosessuale, repubblicano e piuttosto cinico; Hap è bianco, etero, democratico e di inclinazioni romantiche. Mentre il primo volume della serie - Una stagione selvaggia - non mi aveva del tutto convinto, il sequel mi è parso di un livello decisamente superiore (tanto da spingermi a rimpolpare il numero dei libri in attesa sugli scaffali).   

La storia ruota attorno alla morte di Chester Pine, lo zio di Leonard, la cui casa si trova nei pressi di una fumeria di crack. 
Il nipote, ritrovatosi unico erede, decide di restaurare il vecchio fabbricato per poterlo poi mettere in vendita. Chiede quindi ad Hap di assisterlo ma, nel corso dei lavori, sotto le assi del pavimento vengono rinvenuti lo scheletro di un neonato e diverse riviste a carattere pedopornografico. 
Leonard si rifiuta di credere al coinvolgimento del vecchio in una simile atrocità, perciò cercherà di risolvere il mistero con l'aiuto del suo migliore amico.

Non sussistono dubbi sul fatto che Joe Lansdale sia un grande narratore. Questo pioniere dello splatterpunk, capace di miscelare come nessun altro il macabro, la suspense e l'ironia, possiede uno stile rapido e dinamico, in cui proliferano slang, parolacce, battute ciniche e risposte taglienti. Oltre a costruire ottimi prodotti di genere, riesce a raccontare i mali della sua terra ergendosi a difensore di tutti coloro che sono vittime di povertà e discriminazioni. 
Mucho mojo, pur non essendo certo memorabile dal punto di vista del colpo di scena finale, risulta pieno di spunti intriganti e capace di contemperare alla perfezione thriller e commedia, humor nero e uno spiccato senso di umanità. Con lo scorrere delle pagine, l'azione non rimane mai fine a stessa ma si trasforma in un'azzeccata meditazione sulla natura del bene e del male, sulla razza, la sessualità e la classe di appartenenza.
Il romanzo è ben scritto, vivace e pieno di dialoghi irresistibili. La trama. piuttosto lineare, è infarcita di storie parallele; il ritmo è incalzante e non perde un colpo fino all'ultima riga.
Un romanzo che mi sento di consigliare a coloro che cercano una lettura scorrevole e piena di ritmo, ma capace al tempo stesso di esplorare il lato più oscuro dell'essere umano.


Consigliato a: coloro che amano l'hard-boiled classico nella sua declinazione più pulp e a chiunque voglia fare la conoscenza di una delle coppie di detective più originali e memorabili della letteratura contemporanea.


Voto: 7,5/10


Gio        



domenica 15 novembre 2020

Il settimo giorno, Yu Hua

 


Con Il settimo giorno Yu Hua squarcia il velo dietro cui si nasconde la Cina contemporanea, costruendo una critica spietata a una nazione che si è venuta a trovare sospesa - e in equilibrio piuttosto precario -  fra comunismo e capitalismo.
Allo stesso tempo riesce a trasmettere una surreale rappresentazione di cosa accade al momento della morte, senza disdegnare uno sguardo struggente nei confronti delle relazioni che instauriamo nel corso della nostra esistenza terrena.
Da tutto ciò scaturisce un libro malinconico e poetico, che risulta però ricoperto da una patina di feroce ironia
Partiamo dalla trama. 

Il protagonista Yang Fei esce di casa, una mattina, e scopre di essere in ritardo per la propria cremazione. Inizia così l'allucinato viaggio nell'Aldilà di un uomo che ha vissuto sulla sua pelle le contraddizioni della Cina di oggi. Nel suo viaggio lungo sette giorni, incontrerà persone scomparse da tempo che gli faranno capire che il vero inferno si cela nell'Aldiquà. 
Col suo lento procedere, si troverà ad affrontare brutture difficili da accettare: corruzione, traffico di organi, cibo adulterato, feti gettati nel fiume e demolizioni forzate. Al termine del suo percorso il buon Yang Fei comprenderà come la morte porti in sé l'innata capacità di livellare le diseguaglianze tra gli esseri umani (principio già sostenuto dall'esimio Marchese De Curtis in La livella).  

La Cina del ventunesimo secolo viene rappresentata, in questo romanzo, come un Paese sospeso tra “aldiquà” e “aldilà”. L'intento di denuncia sociale è evidente: viene raccontato il disagio di un popolo che si dimostra incapace di affrontare i rapidi cambiamenti all’interno di una nazione in difficoltà, che pare aver lasciato per strada valori fondamentali come il rispetto, la pietà e l’amore per i propri simili. 
Pur facendoci transitare attraverso il paese dei morti, l'autore ci fa comprendere che la destinazione finale di questo viaggio è rappresentata dall’amore per la vita: la chiusura del romanzo, a questo proposito, è esemplare.
Lo stile narrativo è dinamico, a tratti sperimentale, ma intriso da un lirismo struggente che non è mai sdolcinato. Forse, di tanto in tanto, si percepisce la mancanza di un vero e proprio filo conduttore: ci sono salti temporali e di ambientazione che stridono un po' con l'impianto generale. 
Le similitudini con I tredici passi del connazionale Mo Yan sono notevoli, quasi ci fosse un urgenza - da parte della letteratura dell'estremo oriente - di raccontare un momento storico complicato appellandosi a una visione fantastica, quasi onirica delle cose.     
Al di là di tutto, nonostante il sottoscritto preferisca lo Yu Hua più (neo)realista - quello di Vivere e di Cronache di un venditore di sangue - ritengo che Il settimo giorno sia un libro necessario per la sua capacità di rappresentare in maniera precisa e puntuale le contraddizioni del mondo contemporaneo.


Consigliato a: chi vuole comprendere le storture e le contraddizioni della Cina di oggi attraverso un'opera di fantasia, provocatoria e surreale, ma capace di ritrarre la realtà in maniera più efficace di tanti saggi sull'argomento.


Voto: 7/10


Gio   



sabato 14 novembre 2020

L'autopompa fantasma, Maj Sjöwall e Per Wahlöö



Negli anni compresi tra 1965 e il 1975 la coppia costituita da Maj Sjöwall e Per Wahlöö pubblicò dieci libri gialli, gettando di fatto le basi per il romanzo poliziesco contemporaneo. Queste opere, ormai considerate dagli addetti ai lavori come veri e propri classici moderni, sono diventate fonte di ispirazione per tanti scrittori giunti successivamente, tra cui lo stesso Henning Mankell. 
L'autopompa fantasma è il quinto episodio della serie, incentrata sul commissario di polizia Martin Beck (che siamo abituati ad associare all'attore Walter Matthau, suo volto al cinema); nonostante la trama investigativa sia un po' debole, riesce comunque a rispettare le promesse e a dimostrarsi come esempio di letteratura di genere essenziale e senza fronzoli. 
Partiamo, come sempre, da un rapido sunto del plot

Siamo alla periferia di Stoccolma, nel 1968.
Il poliziotto Gunvald Larsson sta organizzando un'operazione di sorveglianza. Nel corso dell'appostamento, il palazzo in cui si trova il sospetto prende improvvisamente fuoco e tre persone coinvolte nell'incendio perdono la vita. Gran parte degli inquirenti è convinta che si sia trattato di un fatale e imprevedibile incidente. Una valutazione che, col prosieguo delle indagini, si dimostrerà parecchio lontana dalla verità. A tutto ciò, si aggiunga il fatto che, non appena l'incendio è deflagrato, qualcuno ha telefonato ai vigili del fuoco... ma l'autopompa non è mai giunta sul posto.

Questa storia poliziesca è gradevole, ben scritta e si basa su tempi di narrazione quieti, quasi indolenti; è perciò lontana anni luce dai ritmi ansiogeni e sostenuti a cui ci hanno abituato gli scrittori contemporanei. Con un buon senso dell'umorismo e un chiaro intento politico, gli autori descrivono alla perfezione la disintegrazione della società del benessere, fornendoci un quadro variegato di quella che era la Svezia della fine degli anni Sessanta. 
Il romanzo, come gli altri della serie, mostra la sua particolarità nel fatto che non ci sia un unico ispettore protagonista, ma un manipolo di poliziotti che, in maniera talvolta anarchica e non troppo organizzata, indaga sul medesimo caso. Tra di loro, ovviamente, spicca la figura di Martin Beck: un investigatore che, pur non essendo dotato di un talento eccezionale, né di un'intelligenza fuori dal comune né di un coraggio che si eleva su quello degli altri, è la chiara dimostrazione del celebre assunto aristotelico: che il tutto è maggiore delle sue parti.
Nonostante siano passati cinquant'anni dalla prima pubblicazione - e che romanzi come questo possano risultare un poco datati nella forma e nella struttura - i libri di Sjöwall e Wahlöö sono ancora estremamente utili: ci consentono di lanciare uno sguardo sulla società svedese dell'epoca, sull'evoluzione dei costumi e degli stili di vita, facendoci comprendere che, nonostante i cambiamenti, il delitto mantiene sempre intatte le sue caratteristiche. In ogni luogo e in ogni epoca. 


Consigliato a: coloro che vogliono fare la conoscenza dei veri genitori del giallo svedese - parecchi anni prima che arrivassero Henning Mankell e Stieg Larsson - e a chiunque apprezzi i polizieschi capaci di indagare a fondo sulla società e la sua evoluzione.


Voto: 7/10


Gio     

giovedì 12 novembre 2020

M. L'uomo della provvidenza, Antonio Scurati


Bisogna essere obiettivi: talvolta le biografie redatte dagli storici di professione possono risultare un po' tediose; il ritratto di Mussolini costruito da Scurati, invece, sa essere avvincente e coinvolgente, proprio per la capacità dell'autore di miscelare in maniera perfetta l'abilità del romanziere con la documentazione quasi maniacale dello studioso di professione.
Mentre nel libro precedente M. Il figlio del secolo (Premio Strega 2019) veniva raccontata la violenza perpetrata dal fascismo ai fini della conquista il potere, in questo secondo volume lo scrittore si concentra, soprattutto, sulle capacità di governo del Duce e sui controversi rapporti con i personaggi che facevano parte del suo entourage.

Secondo capitolo, dicevo poc'anzi. Scurati ricostruisce con dovizia di particolari il periodo storico in cui ha luogo il consolidamento del Regime Fascista: un lasso di tempo che va dall’assassinio di Giacomo Matteotti alle celebrazioni del decennio della nascita del partito e in cui - per utilizzare le parole del più oltranzista dei gerarchi, Roberto Farinacci - il fascismo non è solo più un partito ma una religione. 
Le innumerevoli violenze dei primi anni vengono superate e a poco a poco disconosciute, col Regime che comincia ad urlare al mondo intero il proprio inestinguibile desiderio di conquista, incamminandosi su una sorta di "terza via" tra capitalismo e comunismo.
L'autore indugia senza paure nella descrizione dell'uomo-Mussolini, facendo risaltare i suoi problemi di salute, la sua brama di dominio e l'energia profusa nel programma di fascistizzazione della società. Allo stesso tempo, disegna una notevole galleria di fatti e di personaggi che prendono vita con qualità e rigore; in particolare, riesce a descrivere in maniera convincente i rapporti intercorrenti tra Mussolini e i gerarchi a lui più vicini, rapporti che si sono spesso rivelati fonte di conflitto e di rivalità.

Qualcuno ha detto: buttate questo libro dalla finestra e leggete opere più serie sull'argomento, come quelle di Renzo De Felice. Non concordo assolutamente...
I saggi di De Felice sono in commercio da decine di anni e non mi pare che abbiano raggiunto un grosso pubblico al di fuori del cerchio degli studenti e dei professoroni. Scurati è riuscito, invece, a raccontare la Storia (con la S maiuscola, of course!) rendendola appetibile anche al più comune dei lettori, utilizzando lo "strumento-romanzo" come una sorta di grimaldello per penetrare la barriera che, molto spesso, veniva posta di fronte a determinati argomenti, ritenuti troppo lontani dal mondo della letteratura. Una scelta che ha portato ad ottimi risultati e che, a mio parere, merita di essere lodata senza "se" né "ma".      
Ed ora non ci resta che attendere il prossimo lavoro dell'autore, con cui si concluderà il trittico sul Duce e sul Fascismo: è lecito aspettarsi grandi cose! 


Consigliato a: coloro che amano la storia, raccontata con passione romanzesca ma anche con precisione documentale, e a chiunque nutra il desiderio di rispolverare uno dei periodi più drammatici della Storia Patria, col suo corollario di cambiamenti politici e sociali.


Voto: 7,5/10


domenica 8 novembre 2020

Il falco maltese, Dashiell Hammett



Il falco maltese è un classico della letteratura gialla americana. Si può sostenere, senza tema di smentita, che sia uno dei romanzi che ha dato il via alla lunga stagione della letteratura hard-boiled: un sottogenere del mystery caratterizzato da una scrittura asciutta, da personaggi sprezzanti ma, soprattutto, dalla posizione di primo piano assegnata all'investigatore che conduce le indagini. 
In questo romanzo fa la sua comparsa la figura di Sam Spade: un detective privato cinico e disilluso - che siamo abituati ad associare all'immagine dell'attore Humphrey Bogart, che lo interpretò nel celebre lungometraggio Il mistero del falco di John Huston - e che rappresenta uno dei più amati e carismatici personaggi della letteratura poliziesca. 
Partiamo, come sempre, dalla trama.

L'occhio privato Sam Spade viene assunto dall'affascinante Miss Wonderley per rintracciare la di lei sorella, fuggita in compagnia di un malfattore dii nome Floyd Thursby. Dietro Miss Wonderley, nella realtà, si cela la bellissima e perfida Brigid O'Shaughnessy: una dark lady pronta a tutto per raggiungere i suoi scopi. 
Nel momento in cui il socio di Sam - l'ambiguo Miles Archer, che si trova sulle tracce di Thursby - viene assassinato, il nostro eroe si vedrà costretto a indossare la duplice veste di cacciatore e preda. Si ritroverà a rischiare più volte la pelle mentre i personaggi che gli gravitano attorno sembrano avere l'unico obiettivo di rintracciare un manufatto del XVI secolo dal valore notevole: un uccello tempestato di pietre preziose.

Come avrete certamente capito, Sam Spade non è un uomo che ha bisogno di andare in cerca di guai: sono loro a trovarlo direttamente. Così accade in questo primo (ed unico) romanzo incentrato sulla sua figura: un libro fondamentale che rappresenta un caposaldo della narrativa di genere.
La storia è ben costruita, piena di suspense e ricca di colpi di scena. La tensione viene alimentata dalla vividezza delle scene e dal ritmo narrativo impresso dall'autore. Un altro elemento da non sottovalutare è rappresentato dal "colorato" cast di personaggi: oltre al detective antieroe Sam Spade e alla bellezza ingannevole Brigid, sono indimenticabili l'effeminato levantino Joel Cairo, il corpulento e sinistro Casper Gutman e l'infido scagnozzo di Gutman, Wilmer.
Hammett, alla pari degli illustri predecessori Wilkie Collins e Arthur Conan Doyle, è stato l'artefice di un nuovo modello letterario, che si rivelerà profondamente influente negli anni successivi tanto da conferirgli lo status di autore "classico". Il vero merito dello scrittore, al di là di tutto, è stato quello di portare l'omicidio "fuori dal salotto" - dove era stato a lungo relegato dagli antesignani del genere - per ricondurlo nelle strade e nei vicoli a cui, di fatto, appartiene.


Consigliato a: coloro che vogliono affrontare un classico della letteratura poliziesca, un testo intramontabile che servirà da punto di riferimento a una nuova generazione di autori che ad esso - più o meno direttamente - si ispireranno. 


Voto: 8/10



sabato 7 novembre 2020

Il deserto dei tartari, Dino Buzzati



Finalmente mi sono deciso ad affrontare Il deserto dei tartari di Dino Buzzati: uno dei più celebri romanzi italiani del Novecento, che avevo in attesa da un bel po', e ne sono rimasto pienamente soddisfatto. Pagina dopo pagina ho potuto apprezzare un classico dal significato ancora attuale, che parla dello scorrere inesorabile del tempo e che trasmette al lettore una preziosa e fondamentale lezione di vita.
Ma andiamo con ordine, partendo da un accenno della trama...  

In una mattina di settembre, il sottotenente Giovanni Drogo prende servizio alla Fortezza Bastiani: un avamposto militare posto ai confini con "il deserto dei Tartari".
Drogo, appena ventenne, arriva ai bastioni carico di speranze e aspettative: è certo che il futuro che ha davanti a sé sarà splendente e lo gratificherà di una bella carriera militare. Gli anni, però, scorrono via come sabbia tra le dita e il nostro protagonista finirà con l'invecchiare senza rendersi conto del tempo che è volato via.
Giovanni vedrà passare davanti a sé l’occasione di poter cambiare gli eventi, ma non riuscirà ad afferrarla: terminerà quindi la sua esistenza tra le inquietanti mura della Fortezza.

Si tratta di un romanzo dalla forte impronta allegorica: la storia di Giovanni Drogo, infatti, non è altro che una metafora dell'umana esistenza che a poco a poco si consuma nell'attesa di un evento (che, probabilmente, non accadrà mai). 
Oltre ad esprimere in maniera semplice e convincente il senso della vita, infatti, Il deserto dei tartari riesce a trasmettere in maniera assolutamente geniale il momento dell'attesa: come in Aspettando Godot di Samuel Beckett, il vero protagonista dell'opera è il tempo, con il suo inarrestabile scorrere verso il nulla.
L'attesa, dicevamo prima, piena di speranze deluse e di occasioni perse, racchiude dentro di sé il significato dell'intero romanzo. A poco a poco ci si trova immersi in un'atmosfera di ineffabile staticità, carica di simbolismo, che arriva a toccare una serie di temi eterogenei: la solitudine, le illusioni, la speranza disillusa e il sopraggiungere della morte. 
L'inerzia di Giovanni Drogo diventa così un importante stimolo alla riflessione: ogni lettore si renderà conto di quanto sia importante fare qualcosa della propria esistenza al fine di darle un senso compiuto. 
Buzzati racconta la storia con un linguaggio semplice ma pieno di ritmo, che mantiene per tutto il testo la giusta musicalità e non disdegna - specialmente in alcuni passi - un notevole innalzamento poetico: citiamo, a mero titolo di esempio, l'eroica morte di Angustina, la presa di coscienza di Giovanni sul proprio invecchiamento e, infine, la morte del protagonista che conclude il romanzo. E, giunti all'ultima riga del testo, ci si rende conto di aver letto un testo imprescindibile della letteratura italiana contemporanea.   


Consigliato a: coloro che vogliono leggere un classico senza tempo - che parla, per l'appunto, del passare del tempo - e a chiunque ami i testi allegorici, capaci di rendere attraverso un racconto di fantasia il senso preciso della vita umana. 


Voto: 8,5/10


venerdì 6 novembre 2020

La morte è il mio mestiere, Michael Connelly

 


Con La morte è il mio mestiere Connelly "resuscita" uno dei suoi personaggi più riusciti: il giornalista investigativo Jack McEvoy - già protagonista di Il poeta e L'uomo di paglia - che rappresenta una sorta di alter-ego dello scrittore statunitense. Per il reporter, costantemente a caccia di scoop, la cronaca nera è un vero e proprio stile di vita: nel corso della sua lunga carriera ha raccontato i crimini più cruenti, inseguito gli assassini più inafferrabili e in più di un'occasione si è ritrovato a tu per tu con la morte.
Cosa accadrà questa volta? Leggete e lo scoprirete! 

Ritroviamo il nostro Jack nella veste  di cronista per Fair Warning, un sito web di notizie a protezione dei consumatori. Quando una donna con cui aveva condiviso una notte di passione viene ritrovata senza vita, il nostro amico finisce improvvisamente nella cerchia dei sospettati. 
McEvoy intraprenderà un'indagine del tutto personale, scoprendo che quel delitto è collegato ad altre morti sospette avvenute in tutto il Paese. Si renderà presto conto che c'è in giro uno stalker che perseguita le donne, selezionandole in base ai loro dati genetici.

Michael Connelly si conferma - neanche ce ne fosse bisogno - come un vero maestro del poliziesco procedurale, unico degno erede del grande Ed McBain. La sua abilità nel descrivere le dinamiche del crimine è difficilmente eguagliabile e pure i metodi di indagine che espone all'interno dei suoi romanzi sono realistici e verosimili. 
Inoltre, l'autore di Philadelphia possiede l'invidiabile capacità di stare sempre al passo con l'attualità e il progresso tecnologico, che vengono rappresentati all'interno di una società improntata alla frenesia e all'isteria. In questo libro, in particolare, riesce a rappresentare in maniera encomiabile il declino del giornalismo e della carta stampata, l'ascesa inarrestabile delle fake news, lo sviluppo del movimento incel (conosciuto anche come celibato involontario) e i pericoli insiti nel traffico dei dati del DNA da parte di un'industria priva di freni o regolamenti governativi.
Questo romanzo ci restituisce un Connelly in forma smagliante, perfettamente in grado di far combaciare le convenzioni del thriller ai pericoli della vita reale. La scrittura è rapida, coinvolgente, secca come un colpo di fucile; la trama appassiona il lettore senza mostrare il minimo cedimento. 
Forma e sostanza; critica sociale e ritmo inarrestabile; realismo e tensione. Che cosa volere di più da un libro poliziesco?   


Consigliato a: coloro che amano i thriller con l'anima, capaci di unire la tensione della crime story all'analisi spietata dell'America di oggi, e a chiunque sia attratto dai polizieschi procedurali, basati su indagini realistiche e plausibili.


Voto: 8/10


Gio  

domenica 1 novembre 2020

L'uomo della pianura, Paolo Roversi

 

L'uomo della pianura è la quarta avventura di Enrico Radeschi, lo scanzonato hacker/cronista di nera che scorrazza per Milano in sella al suo Giallone (una Vespa del 1974 riverniciata di un colore che non passa di certo inosservato). Questa volta il nostro eroe si troverà alle prese con un avversario temibile e spietato, considerato dalle forze dell'ordine come il nemico pubblico numero uno. Come andrà a finire? 

La storia si svolge fra Milano e la Bassa Padana, dove il criminale conosciuto come Hurricane si è rifugiato da qualche tempo. La sua vita è stata a dir poco intensa: appena ventenne ha sperimentato la durezza del carcere di San Vittore e, appena uscito di galera, è diventato uno dei personaggi di spicco della criminalità meneghina, impegnato in una sanguinosa lotta per la conquista del potere combattuta a colpi d'arma da fuoco. 
Affrontare un simile avversario sarà, per il nostro Radeschi, una delle sfide più impegnative della carriera; affiancato dal vicequestore Sebastiani e dall'assistente Diego Fuster, dovrà impegnarsi al massimo per portare in salvo la pelle!
 
I libri di Poalo Roversi scorrono che è un piacere: volano via leggiadri, a tempi di record, grazie alla scorrevolezza della scrittura - semplice, frizzante e mai greve - e all'ottima costruzione dei plot, sempre intriganti e avvincenti.
Questa volta, il libro si svolge su due piani paralleli - uno ambientato nella Milano degli anni di piombo e l'altro nella Bassa padana nell'Italia di oggi - che vengono raccontati attraverso una narrazione che opta sin da subito per una sorta di montaggio incrociato (cinematograficamente parlando). Mentre il "passato", che si sviluppa nel capoluogo meneghino, pare più vicino al noir il "presente" sembra invece abbracciare una cifra stilistica più vicina al giallo classico.
Rispetto ai romanzi precedenti, l'autore lavora maggiormente sulla psicologia dei personaggi e utilizza il meccanismo del thriller come strumento di denuncia nei confronti di un mondo carcerario che non sempre riesce ad assolvere a dovere la sua funzione primaria: la riabilitazione dell'individuo. 
Il racconto di Hurricane - che ripercorre in prima persona la sua lunga carriera criminale attraverso attraverso lo strumento del flashback - rappresenta un piccolo “Romanzo Criminale” in salsa milanese e pare fare quasi da apripista alla duologia che, un paio d'anni dopo, Roversi darà alla stampe (il primo volume, Milano criminale, è del 2011).


Consigliato a: coloro che amano i gialli/noir scorrevoli e pieni di ritmo ed a coloro che sanno apprezzare la scrittura rapida e coinvolgente dal taglio quasi cinematografico.


Voto: 7,5/10