martedì 26 febbraio 2019

Tutti giù per terra, Giuseppe Culicchia


Era il lontano 1994 quando uscì questo libro, opera prima di un giovane scrittore torinese di nome Giuseppe Culicchia. Nonostante siano ormai trascorsi parecchi anni – nel frattempo l’autore ha persino riproposto una versione aggiornata (“remixed”) del romanzo - la lettura di Tutti giù per terra continua ad essere estremamente utile, sia per aver fornito un’accurata descrizione di che cosa sono stati gli anni ottanta sia per aver descritto in maniera esemplare il momento del passaggio dal mondo scolastico a quello lavorativo

Walter, il protagonista, è il più comune tra i ragazzi comuni, quelli che incontriamo ogni giorno per la strada o sull’autobus. Vive con grande difficoltà un’esistenza di precariato, priva di certezze e senza prospettive concrete. Per uscire dall’impasse sceglie di svolgere il servizio civile presso un’associazione che si occupa dell'integrazione degli zingari; nel mentre è iscritto alla facoltà di filosofia senza riuscire a dare un solo esame. I litigi quotidiani col padre - che lo incita a farsi una posizione - la difficoltà a coltivare le amicizie ed i rapporti problematici con le ragazze sono i paletti attraverso cui si snoda il suo quotidiano percorso.
Riuscirà Walter, prima o poi, a trovare il proprio posto in un mondo che vortica in un incessante giro-girotondo (come nella filastrocca)?

Si tratta di una lettura estremamente gradevole, che possiede l’ingenuità dell’opera prima ma anche una freschezza ed una vitalità sorprendente. Riesce nell’intento di fotografare con estrema semplicità l'epoca che precede quella sorta di “decadenza” a cui avremmo assistito con l’incedere del nuovo secolo.
L'ambientazione torinese, con le sue peculiarità multietniche, rappresenta la cornice più adatta per raccontare una sorta di fiaba metropolitana con stile semplice e leggero, pieno di gustosa ironia.
La struttura del testo - con capitoli brevi e svelti – rende la lettura scorrevole e ci consente di leggere tutta d’un fiato una storia comune, non scevra di riferimenti socio-culturali, che ci riporta alla memoria un epoca neanche troppo lontana.

P.S. Di buon livello anche la trasposizione cinematografica, con un giovanissimo Valerio Mastandrea nei panni di Walter...


Consigliato a: chi vuol comprendere che cosa siano stati davvero gli anni ottanta ed a chiunque ami le letture ironiche, gradevoli e scorrevoli.


Voto: 7/10



domenica 24 febbraio 2019

Il cinese, Andrea Cotti





In un periodo in cui la letteratura noir di casa nostra sembra ormai procedere col “pilota automatico”, allineandosi ai soliti triti e ritriti cliché narrativi, è stata davvero una bella sorpresa scoprire quest’opera di Andrea Cotti: un autore che, in passato, ha alternato l’attività di poeta e romanziere a quella di sceneggiatore di fiction tv di successo (L’ispettore Coliandro e Squadra antimafia, per fare qualche esempio).
Utilizzando gli stilemi del noir classico, lo scrittore di San Giovanni in Persiceto è riuscito a raccontare al lettore le problematiche di un mondo nascosto e semisconosciuto, come è per l'appunto quello della comunità cinese in Italia.

Luca Wu, il protagonista, è un vicequestore italiano di origini cinesi, che dirige il commissariato di Tor Pignattara, a Roma Est: un quartiere molto particolare, caratterizzato da profondi intrecci multiculturali.
Quando due rapinatori, nel corso di una rapina, uccidono un commerciante cinese con la figlioletta, la situazione rischia di precipitare. Toccherà proprio a Luca – che sta cercando di fare i conti con la sua stessa identità, perennemente spaccata in due - cercare di rimettere le cose a posto: solo lui è in grado di scoprire che cosa si celi dietro il delitto, diventando un trait d’union tra due mondi che – seppur coesistenti e compenetrati – faticano a comprendersi l’uno con l’altro.

La trama è ben congegnata, scorrevole e può contare su personaggi ben costruiti. È davvero interessante il punto di partenza: l’idea di un poliziotto italiano di origine orientale che indaga sulla mafia cinese della capitale e che, visti gli sviluppi socio-demografici del nostro paese, potrebbe diventare una sorta di archetipo dell’Italia di domani (chissà quanti poliziotti di origine extracomunitaria avremo negli anni a venire?)
Raccontato in prima persona dalla voce del protagonista – che parla sempre al tempo presente – tiene desta l’attenzione attraverso due diversi meccanismi di suspense: quello, ovviamente, relativo all’indagine ma anche quello che riguarda l’identità del vicequestore, che a tratti arriva a sentirsi una sorta di “banana” (gialla fuori e bianca dentro).
Si tratta di un romanzo che riesce a superare gli angusti confini del genere, raccontando un mondo che, seppur monitorato dalle Forze dell’ordine, rimane spesso estraneo alla conoscenza della maggioranza delle persone. Un libro che mi sento di consigliare a coloro che non cercano solo un giallo in senso lato, ma un testo che racconti problematiche dell’Italia di oggi con una scrittura fluida ed una narrazione che, nonostante le oltre 500 pagine del libro, risulta estremamente avvincente e priva di cadute di ritmo.


Consigliato a: coloro che vogliono leggere un libro intenso ed avvincente, in cui i risvolti umani si armonizzano perfettamente col fluire della narrazione, ed a chiunque cerchi un noir diverso dal solito.


Voto: 8/10



martedì 19 febbraio 2019

Il teatro di Sabbath. Philip Roth





Nonostante si tratti di un romanzo estremamente difficile da raccontare a chi non l’ha letto, Il teatro di Sabbath rappresenta una delle migliori prove letterarie di Philip Roth: un’opera potente, spiazzante e travolgente, capace come poche altre di riassumere la visione del mondo dell’autore recentemente scomparso.
Eros e thanatos – ovvero le due colonne portanti della produzione dell’autore – si miscelano, si attraggono e si respingono nel corso della narrazione, fino a regalarci un libro di una forza inaudita e spregiudicata.    

Il protagonista Morris Sabbath, detto Mickey, è un anziano burattinaio con le mani distrutte dall'artrite che vive nel villaggio immaginario di Madamaska Falls. È, prima di ogni altra cosa, un essere immorale, adulatore e provocatore.
La morte dell’amante Drenka - l'unica donna che sia riuscita a saziare i suoi smodati ed originali appetiti sessuali - lo fa piombare nella disperazione più nera. Inizia così il suo racconto, in precario equilibrio tra un passato rivestito di ombre impenetrabili ed un presente estremamente visionario.
Gli eventi pregressi scorrono davanti agli occhi dell’incredulo lettore alla stregua di un'onirica e surreale rappresentazione teatrale. Mickey, infatti, è stato un burattinaio provocatore nella New York degli anni cinquanta; un mozzo in cerca di amore mercenario in Sud America; lo sposo di Nikki, una giovane e talentuosa attrice svanita improvvisamente nel nulla (per colpa di Sabbath?); il marito di Roseanne, un’insegnante alcolizzata; il fratello di Morty, caduto nel Pacifico durante il secondo conflitto mondiale.

Romanzo urticante e disturbante, che tratta il tema dell'infelicità propria del vivere, Il teatro di Sabbath si sviluppa attraverso due distinti piani narrativi. Se nel primo seguiamo in presa diretta gli accadimenti successivi al decesso di Drenka; nel secondo, retrospettivamente, assistiamo alla ricostruzione delle memorie - non sempre attendibili – dell’esagerato Mickey.
Questo romanzo presenta una capacità di introspezione più unica che rara, che stupisce sin dalle prime battute. Dopo aver voltato l’ultima pagina, ci rendiamo conto di aver affrontato un libro che racconta l’odissea – talvolta comica ma spesso dolorosa – di un personaggio che viene a trovarsi in una situazione di sfacelo emotivo, in cui l’odio, le perversioni e la disobbedienza diventano quasi dei passaggi obbligati nel declino psico-fisico che conduce alla morte.


Consigliato a: coloro che vogliono gustarsi l’ennesimo libro memorabile di un autore unico, capace come pochi altri di sondare le profondità dell’animo umano, ed a chiunque sappia apprezzare le storie che mostrano un’eccellente attenzione per la psicologia dei personaggi.


Voto: 8/10



giovedì 14 febbraio 2019

5 cose che... 2

BUONGIORNO!!!
Buon san Lavandino a tutti, miei cari innamorati di libri!!!

Gio ha gentilmente scelto per me l'argomento di cui parlarvi oggi, quindi prepariamo pop-corn e fazzoletti perché facciamo un salto nella mia infanzia.


5 film Disney preferiti

Ad essere onesta non sarà facile neanche questa volta, ma con un paio vado convinta e diretta.

1. MULAN
Ehm... mica vi aspettavate gonne rosa e uccellini cinguettanti, vero? Perché, visto il mio carattere (del cavolo), la mia principessa preferita poteva essere solo lei: la salvatrice della Cina. Mi piace la storia, mi piace lei, mi piacciono le canzoni, mi piacciono le arti marziali... se non vi piace tutto ciò, disonore su di voi e sulle vostre mucche!

2. BASIL L'INVESTIGATOPO
Sherlock Holmes dei topi, Basil è un investigatore mica da poco.
Con le sue conoscenze, aiuterà il dottor Watson a ritrovare la piccola Olivia e a mandare all'aria il piano del malvagio Rattigan. Anche qui mi piace tutto, storia - personaggi - canzoni, ma soprattutto adoro la parte in cui Watson si reca da Basil e si vede tutto quel marchingegno di cose chimiche. 
Non vi nascondo, però, che da piccola c'erano alcune scene che mi facevano paura... xD
Piccolo aneddoto: non so come mai, ma succedeva che alle volte la maglietta di Watson cambiava colore! Non so spiegarmelo, ma certe volte era a righe rosse ed altre a righe blu. MAH. I misteri della tecnologia...

3. FANTASIA
Penso che tutti sappiano di cosa stiamo parlando, perciò mi limito a dire che le mie parti preferite in assoluto erano i funghetti e l'apprendista stregone... (ok, forse questo era scontato e prevedibile).

4. ATLANTIS
Ditemi che conoscete la storia del cartografo e linguista Milo!!!
Trattasi di un giovane che si ritrova spedito in una compagnia alla ricerca di Atlantis, la città perduta.
Indovinate qual è la parte che preferisco di più? Esatto, proprio quella in cui lui spiega la sua scoperta, all'inizio.

5. LA BALENA UGOLA D'ORO
Non so se sia corretto citarlo qui, dato che è più che altro un lungometraggio, però non sapevo che altro scegliere e mi è venuto in mente il povero Gianni, la balena che voleva cantare all'Opera e che puntualmente mi faceva liberare un paio di lacrime.


Insomma, vedendoli così elencati viene da notare che mi piacevano (e mi piacciono) i cartoni con elementi di cultura nella trama o con principesse con le palle quadre. Difatti, per quanto apprezzi anche gli altri classici Disney, questi sono quelli che ho guardato e riguardato più volte e con più interesse e trasporto.

Quali sono stati, invece, i VOSTRI cartoni Disney preferiti???
Fatemelo sapere nei commenti!

lunedì 11 febbraio 2019

La camera azzurra, Georges Simenon




Sull’amor fou, sulla passione impetuosa ed inarrestabile che sconvolge la tranquilla esistenza di due amanti clandestini e delle loro famiglie, sono stati scritti decine di romanzi. Questo libro di Simenon si inserisce a pieno titolo nel solco della tradizione, attraverso una narrazione che si differenzia dalla struttura classica del giallo per il fatto di non tener nascosto fino alla fine il nome dell'assassino bensì quello della vittima.
“Se io mi ritrovassi libera... faresti in modo di renderti libero anche tu?”
Siamo in un piccolo paesino della provincia francese. Tony, il protagonista è felicemente (almeno in apparenza) sposato con Gisèle e padre della piccola Marianne. La sua vita, improntata sul lavoro e su un immutabile tran tran quotidiano, viene improvvisamente travolta dall’infuocata passione per Andrée, un’ex compagna di scuola. La donna è però coniugata con il ricco ma malato Nicolas Despierre. Il decesso di quest'ultimo, avvenuto in circostanze piuttosto strane, segnerà l’inizio di una lenta discesa all’inferno per Tony, che si troverà imbrigliato in una situazione senza via di uscita.

Attraverso la storia affascinante di due amanti che si trovano prigionieri del medesimo destino, Simenon racconta la storia di una passione insaziabile e devastante. 
Con il solito stile asciutto, veloce ed inesorabile, l’autore riesce a trarre il massimo da una trama per niente indimenticabile ma che – grazie ai magnifici flashback, all’attenzione per la psicologia dei personaggi e ad una narrazione fluida – coinvolge senza cadute di ritmo o di stile fino all’inaspettato finale. 
Nonostante il romanzo sia narrato in “terza persona”, il lettore percepisce gli avvenimenti secondo il punto di vista di Tony - che racconta la sua storia nel corso di lunghi interrogatori rilasciati agli inquirenti - tanto da essere spinto all’immedesimazione con il protagonista.
La camera azzurra è un romanzo da leggere, su questo non ci sono dubbi. Sebbene non costituisca la miglior opera del genio belga (personalmente preferisco libri dalla trama più strutturata, come L’orologiaio di Everton, Il piccolo libraio di Archangelsk o L’uomo che guardava passare i treni), riesce comunque nell’intento di raccontare la profonda solitudine dell'essere umano, che viene prima o poi a ritrovarsi isolato all’interno della società in cui vive.


Consigliato a: chi ama i romanzi incentrati sulla passione famelica e devastante ed a chiunque voglia misurarsi con la bravura di un autore straordinario.


Voto: 7,5/10




venerdì 8 febbraio 2019

Rien ne va plus, Antonio Manzini





E anche Manzini, alla fine, ci è cascato!
Se Camilleri disse, tempo fa, che il giallo di casa nostra è una filiazione diretta del melodramma, i suoi eredi putativi – soprattutto De Giovanni e Manzini - l’hanno preso un po’ troppo alla lettera: specialmente se consideriamo il fatto che viviamo in un paese in cui il “melò” si è spesso identificato con produzioni televisive dallo svolgimento interminabile.       
E così anche la serie di Rocco Schiavone comincia a mostrare un po’ la corda, soprattutto per la riproposizione in forma esponenziale delle medesime situazioni e caratterizzazioni, rimescolate di volta in volta.
A differenza di De Giovanni, però, lo scrittore romano riesce a rimanere a galla soprattutto grazie al suo protagonista: un personaggio ben costruito e pieno di sfaccettature che, nonostante l’assoluta mancanza di originalità della trama, continua ad appassionare migliaia di lettori.    

Rien ne va plus parte esattamente da dove si concludeva il precedente Fate il vostro gioco. Rocco ha concluso positivamente le indagini sull'omicidio di Romano Favre, il pensionato del casinò ucciso a coltellate nella sua abitazione, assicurando il colpevole alla giustizia. Il movente, però, è rimasto misterioso.
Stavolta, il vicequestore si ritrova ad indagare su una rapina: un furgone portavalori, che trasportava l'incasso del casinò di Saint Vincent, è scomparso nel nulla.
Schiavone si renderà presto conto che le due vicende sono intimamente connesse e che la sparizione del furgone rientra a far parte di quel “gioco oscuro” che aveva in parte svelato nel precedente libro.

Più che un testo a se stante, Rien ne va plus rappresenta la seconda parte di un unico, lungo romanzo: fruire delle due opere separatamente è praticamente impossibile, perché nella mente del lettore si aprirebbero voragini incolmabili.    
Che la letteratura di genere italiana abbia ormai virato verso la ripetitività, è ormai un dato di fatto. Non sono in grado di dire se dietro questo assioma si celi un’aridità di idee o se sia il segnale – preoccupante – dell’avvenuto addomesticamento di un pubblico ormai “adagiato” sul carisma di un personaggio, disposto ad accettare qualunque cosa pur di ritrovare i propri beniamini.  
Fatto sta che anche la serie di Rocco Schiavone si sta trasformando, a poco a poco, in una sorta di copione televisivo a puntate, che ruota su se stesso e mette la struttura del giallo al servizio di personaggi icona che – con la loro personalità – finiscono col fagocitarsi tutto ciò che gira attorno.
La scrittura di Manzini, come sempre, è fluida e scorrevole… ma questo non è sufficiente per farne un romanzo memorabile.


Consigliato a: tutti i fan di Rocco Schiavone ed a chiunque ami i personaggi seriali che, libro dopo libro, arrivano a mostrare al lettore un pezzettino in più del loro modo d’essere.


Voto: 6/10



lunedì 4 febbraio 2019

La scopa del sistema, David Foster Wallace




Partiamo da una piccola premessa…
Se appartenete a quella schiera di lettori che amano le trame armoniose, con snodi narrativi accuratamente definiti, La Scopa del sistema non vi piacerà per niente. Se invece vi approccerete a questo testo in maniera diversa dal solito, con una disposizione d’animo tale da accogliere tutte le stranezze ed innovazioni presenti nella trama, alla ricerca dei significati più reconditi, allora questo sarà il vostro libro.
Geniale, anticonvenzionale, folle, paradossale (e chi più ne ha più ne metta), il primo romanzo di DFW è qualcosa di completamente diverso da ciò che la maggioranza dei lettori contemporanei è abituata ad avere tra le mani. Getta concretamente le basi di ciò che troverà compimento nel successivo Infinite jest: quella innata capacità dell’autore di confrontarsi con le convenzioni stilistiche ed intellettuali della sua epoca, mirando al loro superamento attraverso un’analisi della società che fuoriesce dai canoni di quel “sentire comune” a cui siamo profondamente ed inconsapevolmente abituati.  

Lenore Beadsman, la giovane donna attorno cui ruota tutta la vicenda, si mette alla ricerca della bisnonna – che ha il suo stesso nome di battesimo - scappata dalla casa di riposo per anziani insieme ad altri venticinque residenti. Poco per volta, con lo svolgersi del plot, faremo la conoscenza di una galleria di strampalati personaggi: una banda di autentici freak che sono lontani anni luce dallo spirito rassicurante dell’ordinario. Incontreremo cosi il problematico Rick Vigorous, direttore nonché amante di Lenore; il pappagallino Vlad l'Impalatore, che recita sermoni religiosi su una rete tv; il mastodontico Norman Bombardini, miliardario che si ingozza a più non posso con l’idea di trangugiare l’intero pianeta; il fratello LaVache, studente sopra le righe che si strafà di marjuana. Una schiera di personaggi, uno più spassoso ed assurdo dell'altro, che si agitano sullo sfondo di un'America bizzarra e delirante, ma più vera del vero.

La scopa del sistema fu pubblicato nel 1987, quando Wallace aveva appena 24 anni (non credo siano stati molti gli scrittori in grado di produrre, a quell’età, un lavoro così consistente). Questo romanzo ci mostra come, all’interno della stessa storia, possano coesistere stili narrativi, esperimenti linguistici e registri apparentemente inconciliabili ma che, grazie al talento dell’autore, arrivano a fondersi in maniera compiuta e definita.
Opera estremamente divertente, contraddistinta da un umorismo incisivo e da una scrittura colta, garantisce numerosi spunti di riflessione per via di quei significati sotterranei che, alla stregua di una sorta di magma, ribollono senza tregua sotto il tappeto narrativo.
Come un fiume in piena – alternando narrazioni, vicende, titoli di giornale, trascrizioni di sedute e molto altro – il libro scorre via che è un piacere, lasciandoci un delizioso senso di incompiutezza come quello che si prova quando si viene trasportati a lungo attraverso un viaggio extrasensoriale di cui non è importante conoscere il finale… perché viene ampiamente superato dalla meravigliosa sensazione del viaggio stesso.


Consigliato a: coloro che vogliono conoscere un’opera chiave della letteratura americana contemporanea ed a chiunque voglia approcciarsi ad un genio della scrittura, visionario ed innovativo, scomparso – ahinoi! – troppo prematuramente.  


Voto: 8,5/10



venerdì 1 febbraio 2019

Da molto lontano, Roberto Costantini


Roberto Costantini è ormai un punto fermo nella narrativa noir italiana. Con il suo stile personale ed avvincente lo scrittore è riuscito a raccontare l’Italia degli ultimi trent’anni: attraverso interessanti riferimenti alla politica e società, ha mostrato al lettore ciò che è stato e ciò che è adesso il nostro paese.
Questo nuovo libro – nonostante una trama articolata ed a tratti più complessa del solito – mantiene ampiamente le promesse, facendoci incontrare un Mike Balistreri più tenebroso e irrequieto rispetto ai romanzi precedenti.

Siamo nel 1990, durante le “notti magiche” dei mondiali di calcio. Il figlio di un noto imprenditore e la sua ragazza svaniscono nel nulla. Balistreri indaga in maniera indolente, addentrandosi in un circolo vizioso in cui coesistono e si scontrano faccendieri e camorristi, femme fatale e magistrati pre-leghisti.
Facciamo un salto in avanti e ritroviamo il vecchio Mike che, dopo quasi quarant’anni di onorata carriera, è andato in pensione. I fantasmi del passato continuano però a tormentarlo senza sosta. L’ex commissario si troverà a dover aiutare i suoi vecchi colleghi nella risoluzione di quel caso rimasto irrisolto, riapertosi improvvisamente.

Nelle storie narrate da Costantini ci sono due costanti: i Mondiali di Calcio e la riapertura di “cold-cases” risalenti a parecchi anni prima.
Questo romanzo parte lentamente, alla stregua di un diesel, ma da un certo punto in avanti l'intrigo e la velocità della trama prendono il sopravvento, con colpi di scena che si susseguono senza tregua. La scrittura è notevole, con un’ottima caratterizzazione dei personaggi ed una descrizione di situazioni e contesti storico-sociali davvero ammirevole.
Unica pecca – forse – il finale un po’ troppo “ingarbugliato”, in cui si rischia ripetutamente di perdere il filo. Al di là di questo difettuccio, il romanzo funziona alla perfezione. 
Si può sostenere che Costantini abbia svolto egregiamente (per l’ennesima volta) il suo compito di intrattenitore/indagatore, raccontandoci una storia nera che getta le radici nei recessi più oscuri e imprevedibili dell'animo umano.


Consigliato a: coloro che amano i noir complessi ed articolati, capaci di innestare una trama di fantasia all'interno della storia socio-politica del nostro paese, ed a chiunque ami la letteratura di genere di qualità.


Voto: 7+/10