Orhan
Pamuk è un narratore straordinario, su questo credo che non ci siano dubbi. Se dovessimo
andare alla ricerca di un filo conduttore all’interno della sua opera omnia, la
risposta sarebbe scontata: raccontare la Turchia attraverso le vicende dei suoi
abitanti, eternamente sospesi tra Oriente e Occidente. Questo romanzo – seppur lontano
dai fasti di altre sue fatiche letterarie – riesce pienamente nell’intento di descrivere la storia di un’ossessione amorosa, incuneandosi nei meandri di un travagliato dramma sentimentale.
Il
trentenne Kemal Basmaci, erede di una ricca famiglia di Istanbul, incontra in
un negozio una commessa di straordinaria bellezza: la diciottenne Füsun, che è
anche sua lontana cugina. Sarà l’inizio di una passione irrefrenabile, che
coinvolgerà completamente i due amanti. Kemal, però, si rifiuterà di lasciare la
fidanzata Sibel, di cui è promesso sposo. Di fronte a questa scelta, Füsun
scomparirà lasciando l’innamorato in balia di una passione accecante, che lo
spingerà a sciogliere il fidanzamento.
Parecchio tempo dopo Kemal ritroverà la ragazza, sposata ad un altro uomo, e si renderà conto che nulla potrà più essere come prima. Continuerà però a frequentare Füsun per otto lunghi anni,
durante i quali si dedicherà alla disperata raccolta di qualunque oggetto utile ad immortalare i ricordi del tempo trascorso insieme a lei.
Con
una scrittura splendida, dal ritmo lento ma estremamente coinvolgente, Pamuk ci
racconta una disperata storia d’amore che è anche un riuscito affresco della
Istanbul tra gli anni 70 ed 80: un passato neanche troppo lontano ma che appare
parecchio distante se viene considerato da una prospettiva politico-sociale.
La
componente maniacale del protagonista – vittima di quella cha pare un'insanabile psiconevrosi –
viene descritta in maniera notevole; gli oggetti raccolti da Kemal nel corso degli
anni si caricano di un potenza evocativa impressionante.
Quasi
600 pagine per raccontare una storia del genere, però, appaiono troppe: l’autore
si dilunga spesso in ridondanti descrizioni e di tanto in tanto si lascia andare
a ripetizioni che, talvolta, appesantiscono la narrazione.
Al
di là di tutto, Il museo dell’innocenza
resta un libro da leggere: la dimostrazione che, talvolta, il Premio Nobel
per la Letteratura non viene assegnato a sproposito.
P.S.
Va sottolineato che Pamuk ha davvero creato il suo “museo dell’innocenza”: un’esposizione di oltre mille oggetti che si
trova a Istanbul, nel quartiere di Çukurcuma (dove è ambientato il romanzo).
Consigliato a:
coloro che amano gli Scrittori con la S maiuscola, capaci di utilizzare microvicende
individuali per raccontare la storia di un popolo e di una nazione, ed a
chiunque voglia fare la conoscenza di uno dei più straordinari narratori
contemporanei.
Voto:
7/10