venerdì 23 marzo 2018

La peste, Albert Camus



Il mio approccio con Camus, purtroppo, non è stato positivo.
Sono consapevole del fatto che La peste venga annoverato tra i maggiori capolavori del Novecento ma, in tutta sincerità, raramente mi sono imbattuto in un libro più noioso di questo (ho faticato le proverbiali sette camicie per terminarlo!) Nonostante l’inizio molto promettente, che mi aveva fatto sperare in un romanzo memorabile, ad un certo punto la storia ha finito per “incartarsi” su se stessa e si è sclerotizzata in una serie di ripetizioni di argomenti e situazioni che mi hanno lasciato basito. Ma andiamo con ordine…

Siamo nella località costiera di Orano, negli anni quaranta, quando l’Algeria si trovava sotto la dominazione francese. Un'improvvisa moria di ratti giunge improvvisamente a turbare il tran tran della quieta e indolente cittadina: migliaia di animali vengono ritrovati morti ad ogni angolo, ma nessuno vi presta la dovuta attenzione. Sarà l’inizio di una tremenda e spietata pestilenza, che porterà all'isolamento del luogo attraverso un cordone sanitario, lasciando la popolazione confusa e stremata.  
Gli abitanti di Orano cercheranno di compensare le difficoltà dell’isolamento nei modi più diversi: abbandonandosi ai piaceri materiali, chiedendo aiuto alla fede religiosa o mostrandosi semplicemente indifferenti. Il morbo farà risaltare una profonda decadenza dell’animo umano e si rivelerà come simbolo del Male assoluto (che troverà la sua sublimazione con il nazismo e la Seconda Guerra Mondiale).

Il nocciolo del romanzo appare evidente: la peste è la metafora di una guerra in cui si perdono per strada concentrazione e senso delle cose. Di fronte al dilagare del contagio la gente si ritrova inerme, in attesa di una risoluzione che può avvenire o con la morte o attraverso la guarigione.
Come in Cecità di Saramago o in Il signore delle mosche di Golding ci ritroviamo ad osservare un gruppo di persone isolate dal resto del mondo, ad esaminare i loro gesti e le loro reazioni. Purtroppo – ed è qui che il racconto mostra la corda – ci si ritrova con lo spiare dal buco della serratura una serie di dialoghi che appaiono ridondanti, filosofeggianti e poco interessanti. Sicuramente, sul mio giudizio, ha avuto un discreto impatto la traduzione bolsa e un po’ antiquata (ho saputo dopo che, nel 2017, è uscita una nuova versione italiana sicuramente più apprezzabile). Al di là di tutto, ho trovato l’impianto narrativo piuttosto dispersivo, per nulla equilibrato e a tratti ridondante.
Mi riprometto di leggere Lo straniero – considerato il capolavoro di Camus – per poter approfondire la conoscenza di questo scrittore. Al momento, però, rimango piuttosto freddo nei riguardi di una prosa e di una elaborazione narrativa con cui ho faticato ad entrare in sintonia.


Consigliato a: coloro che vogliono conoscere uno dei più celebri romanzi del Novecento, in cui il Male viene raccontato attingendo alla metafora di un’epidemia dilagante, ed a chi vuole affrontare uno scrittore per nulla semplice ma indubbiamente capace di raccontare la sua epoca.  


Voto: 5,5/10



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