martedì 20 febbraio 2018

Tutto quello che non ricordo, Jonas Hassen Khemiri

Poiché inizierà a breve il festival dei Boreali, mi sembra opportuno recuperare la recensione di un testo portato in Italia lo scorso anno da Iperborea.


Questo libro parla di Samuel, un giovane che ha perso tragicamente la vita e la cui figura viene costruita a poco a poco da tutte le persone che lo conoscevano.

La struttura del romanzo è particolare: la suddivisione in capitoli è funzionale alla narrazione e permette di dedicare l’opportuno spazio ai vari personaggi che entrano in scena di volta in volta.
Il racconto dell’amico di Samuel ci accompagna per tutto il libro e si alterna con le testimonianze di altre persone, intervistate dallo scrittore nell'intento di dare forma, pagina dopo pagina, alla vita del ragazzo e scoprire ciò che si nasconde dietro la sua morte.
I personaggi che scorrono davanti agli occhi del lettore sono ben costruiti, ognuno celato dietro ad una sorta di maschera che nasconde la sua vera personalità: una dissimulazione che emergerà pian piano dall’accostamento di racconti tra loro discordanti.
Notiamo così che Samuel possedeva un’indole camaleontica che gli permetteva di modificare il suo modo di essere a seconda delle persone con cui entrava in contatto; Laide, la fidanzata, si dimostra un’antipatica e arrogante depositaria della verità assoluta (devo dire che un odio così intenso l’avevo provato solo per Edith, la moglie del famoso Stoner di John Williams); Vandad, l’amico del ragazzo, è un pezzo di Marcantonio che sembra non rendersi conto della sua stazza e della soggezione che la sua imponenza fisica può provocare negli altri.
Proseguendo nella disamina delle altre comparse, incontriamo la Pantera – una ragazza totalmente folle, come dev’essere ogni artista che si rispetti – e la nonna di Samuel, che riesce a far sorridere con i suoi offuscamenti di memoria dovuti all’età avanzata.
Lo scrittore, che ha un passato di autore teatrale, agisce dietro le quinte di questo spettacolo come una sorta di deus ex machina e, alla fine della rappresentazione, fa l'ingresso sulla scena per recitare la sua parte e dare un senso all’intera opera.

Nel complesso il romanzo è piuttosto gradevole, seppur non privo di difetti. Dopo un inizio un po’ difficile, in cui si corre il serio rischio di perdersi tra le varie voci narranti, il lettore riesce a trovare la strada giusta per destreggiarsi tra le parti, immergendosi nella storia. Il testo si sviluppa in maniera sempre più coinvolgente creando aspettative forse un po’ troppo alte, tanto che alla fine ci si ritrova a pensare: “ma come, è davvero tutto qua?”
Nonostante la lunghezza dei capitoli, la divisione in brevi paragrafi aiuta a riordinare le idee e a rendere la lettura più veloce e scorrevole.

La scelta editoriale del formato, caratteristica di Iperborea, è allo stesso tempo originale e intelligente: le pagine, più strette rispetto al modello classico, implicano una disposizione del testo che l’occhio riesce a leggere senza troppi affaticamenti.
E’ molto interessante la scelta grafica: l’immagine di copertina si estende al retro del libro con il medesimo disegno, ovvero una serie di casette indistinguibili l’una dall’altra, ma mostrando un cambiamento cromatico che lascia libero spazio all’interpretazione.



Personalmente, ritengo che il disegno voglia rappresentare un cambiamento assoluto, come il passaggio dal giorno alla notte. Una visione alternativa potrebbe invece sollecitare nel lettore una maggiore attenzione ai dettagli, con un monito del tipo: “Attenzione! Alla luce le cose sembrano essere andate in un certo modo, ma è nell’ombra che si cela la verità dei fatti.”

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