venerdì 16 febbraio 2018

Breve storia del giallo italiano: da Augusto De Angelis a Antonio Manzini (Seconda parte)


È nota a tutti la storia del brutto anatroccolo destinato a trasformarsi in un cigno meraviglioso.
Le vicende del giallo di casa nostra non sono poi troppo diverse: dopo anni difficili, vissuti "in trincea" per difendersi da accuse di vacuità ed inconsistenza, la letteratura poliziesca italiana è improvvisamente uscita dalle zone d’ombra in cui pareva confinata per accaparrarsi le luci della ribalta.
Se dobbiamo cercare le radici di questo successo  – giunto in maniera del tutto inaspettata – non possiamo di certo sottovalutare l’importanza di alcuni personaggi che, nati quasi per scommessa, sono stati in grado di penetrare l’immaginario collettivo diventando vere icone della narrativa. Dal Commissario Montalbano in avanti, infatti, la crime-fiction si è arricchita di una serie di nuovi protagonisti capaci di catturare le simpatie del lettore più disincantato, diventando nel contempo simboli di un’italianità esemplare. Poliziotti e Marescialli dell’Arma, Avvocati e Magistrati si sono così trasformati da mere figure istituzionali nello strumento attraverso cui la nuova generazione di autori è riuscita a raccontare il Paese dei nostri giorni, con tutte le sue contraddizioni e le sue peculiarità.
In questa seconda parte ci occuperemo degli scrittori che, facendo tesoro degli insegnamenti dei precursori, sono riusciti a “sdoganare” definitivamente un genere troppo spesso sottovalutato, ritenuto precipitosamente una sorta di "fratello minore" della detective story d’oltreoceano.
Anche in questo caso, limitare la scelta ad appena cinque nomi non è per niente facile: sono davvero tanti i giallisti che, incuneandosi nel solco di una tradizione recente ma ormai consolidata, hanno regalato al pubblico romanzi memorabili, in grado di coniugare la tensione del poliziesco con elementi tipici del "sentire comune" italiano. Faremo comunque questo tentativo, accendendo il riflettore su cinque scrittori che hanno fornito un innegabile contributo alla crescita e alla stabilizzazione di un certo tipo di letteratura che, da qualche anno a questa parte, si è trasformata in una delle chiavi di volta su cui poggia l’intero mercato editoriale.      

Il consolidamento di un genere


Andrea Camilleri (1925): 
Il 1994 rappresenta una data-chiave nella storia del poliziesco italiano. In quell'anno viene pubblicato La forma dell’acqua, primo romanzo incentrato sulla figura del Commissario Montalbano. L’autore, Andrea Camilleri, è vicino alla soglia dei settant'anni ed ha alle spalle un passato di sceneggiatore/regista. Con un linguaggio originalissimo, basato su una commistione di italiano e siciliano, lo scrittore inventa un nuovo tipo di romanzo in cui la trama gialla si interseca con uno stile narrativo da "commedia all'italiana". Sarà il primo libro di una lunga serie, ambientata nell'immaginaria cittadina siciliana di Vigata.
Salvo Montalbano è un poliziotto dal carattere un po’ burbero, ma che sa essere anche gentile e comprensivo. Si trova ad indagare sui più svariati eventi criminosi della sua terra, che si tratti di delitti di stampo mafioso, di omicidi o di rapimenti. Unendo la forza dell’ingegno allo spirito di abnegazione, il commissario siculo riesce di volta in volta a ricostruire la realtà dei fatti, trovando la giusta soluzione.
Il successo di pubblico di Camilleri è stato strepitoso, tanto da fare di lui il vero fenomeno letterario degli ultimi decenni. Questo trionfo di popolarità non ha mai avuto, però, adeguati riscontri da parte della critica nostrana, che ha sempre mostrato nei suoi confronti un malcelato snobismo: di volta in volta le accuse sono state di stucchevolezza, di faciloneria o di una patologica assenza di disincanto. Al di là delle accuse mosse dai detrattori, è importante sottolineare come questa assenza di sacralità, questo tentativo di voler sdrammatizzare a tutti i costi, lo fanno avvicinare ad alcuni grandi della letteratura mondiale quali Georges Simenon e Graham Greene.
In sintesi, Andrea Camilleri rappresenta uno spartiacque tra ciò che c’era prima e ciò che avverrà successivamente: dopo la sua comparsa, il giallo italiano non sarà più lo stesso.

Carlo Lucarelli (1960): 
Personaggio poliedrico, che ha rivestito con successo il ruolo di regista, sceneggiatore, giornalista e conduttore televisivo (oltre ovviamente a quello di scrittore), rappresenta il primo grande "sperimentatore" nell'ambito della crime-fiction nostrana: ha attraversato sottogeneri diversi del giallo, riuscendo sempre a far presa sull'esigente popolo dei lettori.
Con la serie dedicata al Commissario De Luca, Lucarelli ha puntato sul romanzo a sfondo storico, operando una riuscita fusione tra l’invenzione letteraria e le solide basi documentali a cui ha attinto. Ambientate tra il 1945 e il 1948 – dagli ultimi istanti della Repubblica di Salò alla nascita della Repubblica Italiana – le vicende di De Luca sono legate ad inchieste in cui la storia e la cronaca nera diventano inscindibili.
Il personaggio di Coliandro – un poliziotto con caratteristiche profondamente diverse da quelle degli investigatori tradizionali – rientra invece in quel filone di giallo all'italiana in cui gli elementi da commedia arrivano di frequente a contaminare la trama poliziesca. Il poliziotto, pasticcione ed impulsivo, si trova spesso alle prese con vicende delittuose e complotti eversivi, a cui riuscirà nonostante tutto a dare un’adeguata risposta.
I romanzi con protagonista Grazia Negro strizzano invece l’occhio al thriller americano: le indagini narrate riguardano la ricerca di spietati serial killer dai nomi terrificanti (l’Iguana, il Pitbull), con la poliziotta specializzata nel dar loro la caccia.
Se bisogna trovare un tratto in comune tra i vari romanzi – spesso differenti per epoca storica, caratterizzazione dei personaggi e accentuazione drammatica – possiamo denotare come Lucarelli riesca sempre ad estrapolare l’essenza della società contemporanea: quello che rappresenta il "succo sociale" del nostro tempo ovvero dell’epoca evidenziata di volta in volta all'interno della vicenda.


Massimo Carlotto (1956): 
Molto amato da pubblico e critica, è considerato come uno dei migliori scrittori di noir e hard boiled a livello internazionale. Il suo personaggio più noto è quello dell’Alligatore, ovvero Marco Buratti, un originale detective privato che assume incarichi che gli altri investigatori non accetterebbero per niente al mondo.
Il quadro che scaturisce dai romanzi di Carlotto è quello di una società ormai priva di valori morali, che non è più in grado di riconoscere il senso del limite ed in cui si sviluppa una smodata propensione ad agire in maniera violenta e sconsiderata. Le vicende narrate sono spesso ambientate nel ricco nord-est: in quel territorio che è considerato come la realtà economica portante dell’intero "Sistema-Italia". L’autore individua all'interno delle sue opere una sorta di "zona grigia": una terra di nessuno in cui la criminalità organizzata entra in collusione con le istituzioni politiche e con i rappresentanti del grande capitale.
Ma l’importanza di Carlotto all'interno del giallo nazionale non si ferma qui. Va sottolineata la sua indubbia abilità di talent-scout: con l’ideazione della collana Sabot/Age delle Edizioni e/o, con cui ha dato il via ad un interessante esperimento – quello di utilizzare il romanzo di genere per raccontare la società che ci circonda – ha fatto conoscere ai lettori autori emergenti come Piergiorgio Pulixi e Matteo Strukul (per citare due nomi a caso).
Inoltre, non può essere sottaciuta la sua attenzione per il noir d’oltre confine: è stato proprio lo scrittore di origine padovana ad introdurre in Italia i romanzi di Jean-Claude Izzo, un autore con cui mostra parecchie similitudini e di cui può essere considerato, a torto o ragione, il continuatore dell’opera.
Ambientando i propri romanzi all'interno della realtà quotidiana, Carlotto è riuscito a restituire alla narrativa poliziesca alcuni quarti di nobiltà, dimostrando che il noir può diventare il genere più adatto per interpretare a fondo la crisi contemporanea.

Giorgio Faletti (1950-2014): 
Nel 2002 riuscì a stupire l’intero mercato editoriale pubblicando il suo primo thriller: Io uccido. Il successo fu notevole, con oltre quattro milioni di copie vendute.
Faletti non era certo uno sconosciuto per il pubblico italiano: aveva alle spalle una solida carriera di attore, di comico e di cantautore (con all'attivo un clamoroso secondo posto al Festival di Sanremo).
Con questo romanzo riuscì a dare un’ulteriore scossa ad un genere che, dopo l’avvento di Camilleri, era in fase di prepotente decollo.
Sebbene i lettori accorressero in massa ad acquistare i suoi libri, la critica si mostrò fredda – se non del tutto ostile – nei suoi confronti. Ad esempio, Pietro Citati (che rappresenta l’archetipo  del vecchio critico colto e noioso) affermò senza peli sulla lingua che “piuttosto che leggere Faletti sarebbe meglio non leggere niente”.
Non stiamo qui a discutere il valore letterario dei suoi romanzi, questo esula totalmente dal compito dell’articolo. L’importanza dello scrittore piemontese all'interno della narrativa del nuovo millennio non può però essere passata sotto silenzio.
Faletti arrivò in un momento opportuno: il terreno era già fertile affinché un autore di thriller raggiungesse il grande successo. Nonostante il contenuto dei suoi libri non fosse del tutto innovativo (tematiche e vicende sono simili a quelle di alcuni autori americani, come Jeffery Deaver ad esempio), l’ex comico ha assestato il colpo decisivo, quello che ha aperto la strada ad una serie di seguaci/emulatori che hanno portato il giallo di casa nostra a primeggiare all'interno del mercato librario.
I romanzi di Giorgio Faletti – ripetiamo – possono piacere o no, ma l’impulso dato ad un genere in forte ascesa mediatica e commerciale è evidente al di là di ogni minimo dubbio.

Gianrico Carofiglio (1961): 
Con alle spalle un passato in Magistratura (è stato Pretore, Pubblico Ministero ed ha svolto le funzioni di Sostituto Procuratore alla DIA di Bari), ha esordito nella narrativa con Testimone inconsapevole. Con questo romanzo si può dire che Carofiglio abbia aperto il filone del legal thriller all'italiana (un genere che, fino a quel momento, era esclusivo appannaggio di autori americani come John Grisham e Scott Turow), adattando le tortuosità procedurali del processo penale alle vicende di casa nostra.
Protagonista dei suoi romanzi è l’avvocato Guido Guerrieri: un antieroe moderno, introverso, malinconico ed amante della boxe, che si avventura spesso in cause disperate. Le sue vicende si svolgono in una Bari raffinata e allo stesso tempo underground, che rappresenta una sorta di "Milano del sud": il teatro ideale per rappresentare storie di crimini che giungono a turbare la tranquilla realtà cittadina.
Come è avvenuto per altri suoi colleghi di cui abbiamo parlato in precedenza, il successo di pubblico non è stato supportato dall'appoggio della critica: molto spesso l’autore è stato accusato di essere ripetitivo e sopravvalutato.
Al di là dei giudizi personali, non va però scordata l’abilità di Carofiglio nel trattare in maniera convincente delle tematiche che, pur non essendo del tutto nuove, riescono ad arrivare al cuore della gente. E ad accompagnare la narrazione, romanzo dopo romanzo, percepiamo quella languida sfumatura di ineluttabilità che segna una sorta di "discesa all'inferno" del protagonista.
L’autore mostra l’invidiabile capacità di prendere per mano il lettore e di condurlo sull'orlo di un baratro: solo per questo meriterebbe un posto di rilievo all'interno della letteratura del nostro paese.

E siamo arrivati agli albori del ventunesimo secolo...
Abbiamo assistito, in poco più di cinquant’anni, alla nascita e presa di coscienza di un genere che, partendo da una posizione di nicchia (quasi carbonara, in un certo senso), è giunto a risultati insperati, sconfinando talvolta nei territori della cosiddetta "alta letteratura".
Negli ultimi anni sono innumerevoli gli scrittori che sono arrivati al successo, seguendo il percorso tracciato da De Angelis e Scerbanenco. Nomi come quelli di Antonio Manzini e Maurizio De Giovanni, di Marco Malvaldi e Donato Carrisi sono ormai sulla bocca di tutti: costituiscono l’ultima generazione di giallisti, quella capace di sfornare il best-seller di rito in ogni stagione.
È importante non dimenticare, però, il lungo percorso che sta alle loro spalle: una strada costellata di sassi e di buche che alcuni audaci pionieri sono riusciti ad attraversare, preservando il poliziesco italiano affinché giungesse fino a noi.


Gio*

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